Search

Vigilantismo, omicidi di stato ed apparati controinsurrezionali democratici

Vigilantismo, omicidi di stato ed apparati controinsurrezionali democratici

L’insorgenza sociale che sta attraversando gli Stati Uniti da quando, a fine maggio, la polizia di Minneapolis ha ammazzato George Floyd, oramai è arrivata quasi al quarto mese. Una cittadina del midwest come Kenosha è stata l’epicentro degli scontri del mese di agosto: l’ennesimo intervento della polizia è finito con l’afroamericano Jacob Blak gravemente finito da una scarica di colpi di pistola alla schiena. La reazione è stata immediata: migliaia di persone, appartenenti alla minoranza afroamericana ma anche tanti bianchi, si sono rovesciati in strada ed hanno attaccato sedi di tribunali, distretti di polizia, banche ed aziende private. Negli scontri che sono seguiti con gruppi di vigilanti due manifestanti sono periti ed un altro ha riportato gravi ferite.

Il caso di Kenosha è indicativo: non parliamo di una grande metropoli ma di una città di centomila abitanti nel midwest. La violenza poliziesca e il razzismo strutturale non sono solamente una questione che riguarda le grandi metropoli ma interessa tutto il territorio statunitense e non da oggi.

Le linee di razza e classe attraversano tutto il territorio, una rete di dispositivi di dominio che permea l’intero spazio, che lo plasma lungo le linee di separazione che creano quartieri bianchi e quartieri neri anche nella più tranquilla cittadina. Linee di separazione che fanno sì che un intervento poliziesco in una via si risolva con un uso minimo della violenza mentre a due chilometri di distanza si risolva con un uomo che perde l’uso delle gambe, crivellato di colpi.

Gli Stati Uniti bianchi si sentono sotto attacco e reagiscono con i metodi che storicamente sono stati adottati: da un lato bande di suprematisti attaccano le manifestazioni, a volte adottando la scusa di voler proteggere la sacra proprietà privata, coordinandosi con la polizia, dall’altro i meccanismi, sottili e ambigui, della controinsurrezione vengono messi in campo.

La classe dominante sa che l’insorgenza sociale non può essere placata solamente manu militari se non a un prezzo enorme. Le ONG che si occupano di progetti sociali nei quartieri abitati dalla popolazione razzializzata, i loro addentellati politici nel Democratic Party e l’attivismo accademico vengono messi in campo. Intendiamoci: non esiste un centro di regia occulta che decida ciò: sono reazioni sistemiche ad un’insorgenza sistemica.

Questi sistemi sono riusciti a tenere chiuso il vaso di Pandora dello scontro sociale per quasi trenta anni, dalla battaglia di Los Angeles in poi, ma sembrano essersi inceppati. Il principale strumento che il Democratic Party ha usato è entrato in una spirale discendente: la middle class nera, ancora giovane rispetto a quella bianca e quindi più esposta alle grandi crisi economiche, non funziona più come cuscinetto. Travolta dalla crisi economica come tutta la middle class ha perso la capacità di svolgere la sua funzione.

L’attivismo accademico che ha tentato di deviare sul piano simbolico le questioni strutturali è messo in crisi dai soggetti che voleva rappresentare: i proletari e i sottoproletari razzializzati ed i bianchi che decidono di tradire la loro appartenenza di razza in cui sono stati incasellati dal sistema razzista statunitense scendendo in strada e lanciandosi nell’azione diretta.

L’ambizioso piano della presidenza Obama che prevedeva di costruire una società post razziale rafforzando la middle class afroamericana non ha funzionato. La ripresa economica successiva alla crisi del 2008 si è basata su una maggiore sperequazione, per cui una parte consistente della classe media bianca e della classe dominante stessa hanno preferito puntare sulla destra trumpiana: la questione della razza è così tornata, con tutto il suo peso, sul tavolo.

Le polizie statunitensi hanno fatto sentire il loro peso politico: un nutrito blocco elettorale di destra che ha dalla sua sia la piccola che la media e la grande borghesia.

Lo stesso Democratic Party lo sa e infatti ha schierato come candidati alle presidenziali un esponente della destra del partito, Biden, come presidente ed un’ex procuratrice distrettuale californiana che teorizza il pugno di ferro contro la criminalità, Harris. Si noti bene, però, che Kamala Harris è una donna afroamericana, rappresentante di quella fascia di afroamericani che si sono scavati una nicchia entro il sistema di potere statunitense e che vede con sommo orrore la popolazione dei quartieri poveri sollevarsi.

Dodici anni fa Obama era riuscito a compattare i blocchi elettorali del Democratic Party e a convincere anche molti afroamericani non appartenenti all’esigua borghesia afroamericana. A questo giro probabilmente il Democratic Party non riuscirà nello stesso gioco. Il meccanismo si è inceppato: le linee di faglia oramai sono troppo profonde.

Intanto la repressione da parte di polizia e bande di vigilantes continua. A Portland un gruppo di suprematisti con l’appoggio della polizia ha attaccato una manifestazione. Un suprematista bianco è rimasto ucciso dalla reazione difensiva di un compagno. La polizia federale ha poi, successivamente, ucciso a sangue freddo il compagno che aveva pubblicamente rivendicato la sua azione di autodifesa. Un vero e proprio omicidio di stato perpetrato dalla polizia statunitense per vendicare un loro alleato.

Il governo federale ed i singoli Stati per ora sono riusciti a rimandare quello che nei prossimi mesi diverrà, salvo improvvisi colpi di scena, un altro fronte di crisi: a seguito della crisi economica dovuta alla pandemia di COVID-19 oramai milioni di cittadini americani sono a rischio sfratto. Tra blocchi degli sfratti e distribuzione di soldi pubblici i governi hanno per ora più o meno tamponato la situazione. È inutile dire che le pezze non reggono per sempre e finora nessuno dei candidati alle presidenziali ha proposto anche un vago piano che affronti la situazione. Probabilmente sperano in una ripresa dell’economia da qua a sei mesi che mitighi il problema ma rischiano rimanere ferocemente delusi in questa loro speranza.

La crisi che gli Stati Uniti stanno attraversando è la più grave degli ultimi decenni e, qualunque siano i risultati delle elezioni di novembre, non potrà che aggravarsi.

lorcon

Articoli correlati