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Kropotkin Piotr, “La conquista del pane”

Kropotkin Piotr, “La conquista del pane”

Ci sono testi che hanno “preso le misure” della vita umana associata, hanno in altri termini operato una analisi della realtà sociale che ha permesso a tant* di noi, in tutte le parti del mondo, di comprenderla e di agire in essa in maniera cosciente e ragionata. Questa rubrica aperiodica vuole essere una serie di schede per invitare alla lettura – od alla rilettura – di questi evergreen.

Alla fine del XIX secolo ed all’inizio del XX si sentiva la rivoluzione sociale a portata di mano. Di fatto, non ci si sbagliava: nei decenni successivi il proletariato internazionale diede vita – di là dei risultati effettivi dal punto di vista della liberazione dell’umanità dal dominio dell’uomo sull’uomo – a tutta una serie di tentativi insurrezionali ed a vere e proprie rivoluzioni, di cui quella russa e quella spagnola sono solo le più note, dal carattere spesso libertario oltre che socialista. Di conseguenza, il “che fare” al momento in cui sarebbe crollato il vecchio stato di cose era un tema all’ordine del giorno nel movimento operaio e socialista.

Nella componente marxista la questione era abbastanza semplice: il partito che rappresentava gli interessi del proletariato avrebbe dovuto prendere tramite elezioni od insurrezioni il potere dello Stato, utilizzando gli strumenti di quest’ultimo per portare alle estreme conseguenze e teoricamente al suo superamento lo sviluppo della forma di produzione capitalista (nella versione più aderente alla lettera del pensiero di Karl Marx) o (nella versione “socialdemocratica”) per operare graduali trasformazioni in direzione di una società senza classi e senza Stato.

Nella componente anarchica, invece, la questione si poneva in termini assai meno generici: rifiutando radicalmente il concetto di “fase di transizione” sia nella versione marxista sia in quella “revisionista” in quanto considerata un meccanismo ideologico volto alla perpetuazione del capitalismo e dello Stato, doveva di necessità avere a disposizione un chiaro “programma di autogoverno” per indirizzare da subito una società modellata fino a quel momento gerarchicamente verso il comunismo anarchico. Molti testi di questa fase (ed anche successivamente), pertanto sono proprio dedicati a questa tematica. Il più famoso di questi, insieme al Progetto di Comunismo Libertario della CNT del 1936 basato sugli scritti di Isaac Puente[1] che vorremmo analizzare in uno scritto successivo di questa rubrica, è sicuramente La Conquista del Pane di Piotr Kropotkin la cui prima versione risale al 1892.

Il testo – di qui il titolo – parte da un presupposto fondamentale: se si vuole che la rivoluzione sociale sia vittoriosa e le popolazioni coinvolte non si affidino ad un nuovo governo facendola fallire – come è accaduto in tutte quelle passate – occorre riuscire a garantire innanzitutto quanto meno i bisogni basilari in termini di beni e servizi e, quanto prima se non da subito, una vita migliore della precedente. Da questo punto di vista, anche se si trova ben oltre la metà del testo, il capitolo fondamentale è “Consumo e Produzione”. Qui Kropotkin opera una critica radicale all’economia politica del suo tempo: questa non è una vera scienza ma un’ideologia del capitale.

(…) giacché noi partiamo dall’individuo libero per arrivare a una società libera, invece di cominciar dallo Stato per discendere sino all’individuo, seguiamo lo stesso metodo trattando le questioni economiche. Noi studiamo i bisogni dell’individuo ed i mezzi ai quali egli ricorre per soddisfarli, prima di discutere della produzione, dello scambio, delle imposte, del governo, ecc. A prima vista, la differenza può sembrare minima. Ma in realtà essa sconvolge tutti i dettami dell’economia politica ufficiale.

Aprite non importa quale opera di un economista. Egli esordisce colla PRODUZIONE, l’analisi dei mezzi impiegati oggi per creare la ricchezza, la divisione del lavoro, la manifattura, l’opera della macchina, l’accumulamento del capitale. Da Adam Smith insino a Marx, hanno tutti proceduto in tal maniera. Soltanto nella seconda o terza parte della sua opera, l’economista tratterà del CONSUMO, cioè della soddisfazione dei bisogni dell’individuo; e si limiterà ancora a spiegare in qual modo le ricchezze verranno ripartite fra coloro che se ne disputano il possesso.

Si dirà forse che è logico: che prima di soddisfare i bisogni è necessario creare ciò che può soddisfarli; che occorre ‘produrre’ per ‘consumare’. Ma prima di produrre qualsiasi cosa, non se ne deve provare il ‘bisogno’? (…) Non è anche lo studio dei bisogni che dovrebbe governar la produzione? – Sarebbe dunque, per lo meno, altrettanto logico di cominciare da questo studio e vedere in seguito in qual modo occorra agire per soddisfare questi bisogni per mezzo della produzione.

Ed è appunto ciò che noi facciamo. Ma dacché la esaminiamo da questo punto di vista, l’economia politica cambia totalmente di aspetto. Essa cessa di essere una semplice descrizione dei fatti e diventa una scienza (…): si può definirla, ‘lo studio dei bisogni dell’umanità e dei mezzi di soddisfarli con la minor perdita possibile delle forze umane’. (…)

Noi diciamo: ‘Ecco degli esseri umani, organizzati in società. Tutti sentono il bisogno di abitare in dimore salubri (…) Si tratta di sapere se, data la produttività del lavoro umano, essi potranno aver ciascuno la propria casa o ciò che impedirebbe loro di averla’.

E noi ci avvediamo subito che ogni famiglia in Europa potrebbe aver perfettamente una casa confortevole (…) oppure un appartamento corrispondente. Un certo numero di giornate di lavoro basterebbe per procurare a una famiglia di sette o otto persone una graziosa casetta ariosa, ben disposta e illuminata a luce elettrica. (…)

Ma i nove decimi degli europei non hanno mai posseduto una dimora salubre, perché in ogni tempo l’uomo del popolo dovette lavorare alla giornata, quasi continuamente, per soddisfare i bisogni dei suoi governanti, e non ha mai avuto il sovrappiù necessario, in tempo e in denaro, per costruire o far costruire la casa dei suoi sogni. Ed egli non avrà casa e abiterà in un tugurio, finché le condizioni attuali non siano cambiate.

Noi procediamo, come si vede, in senso contrario agli economisti i quali perpetuano le pretese ‘leggi’ della produzione e facendo il conto delle case che ‘si edificano’ ogni anno, dimostrando, colla statistica alla mano, che le case nuove edificate, non essendo sufficienti per soddisfare tutte le

richieste, i nove decimi degli europei ‘debbono’ abitare in tuguri.

Passiamo all’alimentazione. Dopo di aver enumerato i benefici della divisione del lavoro, gli economisti pretendono che questa divisione esige che gli uni si applichino all’agricoltura e gli altri all’industria manifatturiera. Tanto essendo prodotto dagli agricoltori e tanto dagli operai, lo scambio effettuandosi in una data maniera, essi analizzano la vendita, il profitto, il prodotto netto o il plusvalore, il salario, le imposte, la banca e via di seguito.

Ma, dopo di averli seguiti sino a questo punto, noi non siamo per questo più progrediti, e se noi domandiamo loro: ‘Come avviene che tanti milioni di esseri umani manchino di pane, mentre ogni famiglia potrebbe nondimeno produrre tanto grano per dieci, venti ed anche cento persone all’anno’? ci rispondono intonandoci di nuovo la medesima antifona: divisione del lavoro, salario, plus-valore, capitale, ecc. ed arrivando a concludere che la produzione è insufficiente per soddisfare tutti i bisogni; la qual conclusione, anche se fosse vera, non risponde punto alla questione: ‘Può l’uomo, o non può egli produrre, lavorando, il pane che gli necessita? E se non può – qual cosa glielo impedisce’?

Ecco qui 350 milioni d’Europei. Ogni anno occorre loro una data quantità di pane, carne, vino, latte, uova e burro. Occorrono loro tante case, tanti vestiti. È il minimo dei loro bisogni. Possono essi produrre tutto ciò? Se lo possono, rimarrà loro tanto tempo libero per procurarsi il lusso, gli oggetti di arte, di scienza e di divertimento – in una parola, tutto ciò che è al di fuori della categoria dello stretto necessario? – Se la risposta è affermativa, qual cosa impedisce loro di metterlo in pratica? Che devesi fare per sbarazzare dalla via gli ostacoli? (…)

Se i bisogni più imperiosi dell’uomo rimangono insoddisfatti, che occorre fare per aumentare la produttività del lavoro? Ma non vi sono altre cause? Non vi sarebbe, fra le altre, quella che la produzione, avendo perduto di vista i ‘bisogni’ dell’uomo, ha preso una direzione assolutamente falsa, e l’organizzazione ne è viziata?

E poiché noi, infatti, lo constatiamo, cerchiamo il mezzo di riorganizzare la produzione, in maniera che essa risponda realmente a tutti i bisogni.”

L’obiettivo della rivoluzione anarchica, pertanto, dovrà essere non la semplice sopravvivenza, anche questa non sempre garantita dalla società attuale ed anzi sempre in forse, ma un alto livello di benessere di ogni singolo essere umano (un capitolo ha proprio per titolo “L’Agiatezza per Tutti”). Kropotkin, allora, fa una sorta di esperimento mentale: immaginando di trovarsi in una situazione rivoluzionaria nella quale gli anarchici svolgono un ruolo importante, come trasformare nel più breve tempo possibile una società modellata sul dominio dell’uomo sull’uomo in una società egualitaria ed autogestionaria?

Kropotkin allora analizza la produzione sociale della ricchezza, che è tale a qualunque livello e comporta l’eguale importanza di ogni attività, dimostra, dati alla mano, la possibilità di un benessere generalizzato per l’intera umanità tramite il comunismo anarchico, spiega come organizzare l’espropriazione dei mezzi di produzione per distribuire al meglio ed egualitariamente le derrate alimentari, gli alloggi, i vestiti, l’arte, l’istruzione, i trasporti… Il tutto senza nascondere le difficoltà pratiche: ad esempio, che all’atto primo della rivoluzione esisteranno un gran numero di case molto modeste ed un piccolo numero di abitazioni di lusso.

Kropotkin, però, non si ferma qui: anticipando le riflessioni di Hans Jonas sul “Principio Responsabilità”[3] inserendole sulla necessità di superare le condizioni di un lavoro alienante, lo scienziato anarchico pone come obiettivo a medio/lungo termine della rivoluzione anarchica lo sviluppo di una società non solo egualitaria ed autogestionaria ma anche rispettosa dell’ambiente e delle condizioni di vita all’interno dei processi produttivi.

Il testo, ovviamente, mostra i suoi anni ma questo, stavolta, non è affatto un dato negativo: gli sviluppi tecnologici del presente che lui non poteva immaginare probabilmente semplificano di molto le cose rispetto ad oltre un secolo fa. Si tratta di riflessioni che deve fare chiunque intende cambiare davvero lo stato presente delle cose, partendo dai testi della tradizione libertaria, non fosse altro perché le altre strade proposte si sono dimostrate anche peggio che sbagliate. Anche qui un testo come La Conquista del Pane è fondamentale: i capitoli dedicati alla critica delle ipotesi marxiste e socialdemocratiche sono, riletti alla luce della storia del Novecento, appaiono davvero profetici.

Enrico Voccia

NOTE

[1] http://www.fdca.it/storico/puente/4.htm

[2] https://www.liberliber.it/online/autori/autori-k/petr-alekseevic-kropotkin/la-conquista-del-pane/

[3] JONAS, Hans, Il Principio Speranza. Un’Etica per la Civiltà Tecnologica, Milano, Einaudi, 2009.

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