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Gli anarchici nella Resistenza (seconda e ultima parte)

Gli anarchici nella Resistenza (seconda e ultima parte)

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Nell’alta Italia nel periodo clandestino la federazione più attiva è quella del genovesato: da Genova si irradiano per tutto il nord Italia organizzazione e propaganda apertamente anarchica. Scrive Alfonso Failla in un articolo su Umanità Nova del 15 settembre 1946: “Quei compagni (di Genova) parteciparono alla lotta partigiana in montagna e in città vincendo il settarismo di altri che ebbero sempre cura di ostacolare al massimo il risorgere del nostro movimento, che era in quella zona delle federazioni migliori d’Italia”. Diverse formazioni – tra le più importanti la “Errico Malatesta” e la “Carlo Pisacane”- combattono da Nervi a Voltri in testa a tutti, prima e dopo il 25 aprile 1945, mentre nel resto della Liguria molti anarchici partecipano in altre formazioni. Durante la Resistenza viene costituita la Federazione Comunista Libertaria, attiva in diverse fabbriche assieme alla rinata Unione Sindacale Italiana, dando vita ai Comitati di agitazione aziendale.

Il Piemonte viene influenzato dalla Liguria e anche qui gli anarchici partecipano nelle diverse formazioni non anarchiche presenti: in Valle Pellice, nell’astigiano, a Torino; numerosi cadranno in scontri armati coi nazisti, o fucilati o nei campi di sterminio. A Torino l’asse portante della lotta è Ilio Baroni assieme a Dario Cagno. Nella FIAT c’è il loro fortilizio, dove è presente una formazione SAP molto attiva. Nel corso dell’insurrezione del 1945 alle “Ferriere Piemontesi” combatte il raggruppamento anarchico denominato 33° Battaglione SAP “Pietro Ferrero”.

Grande attività anche in Lombardia. A Milano nel 1944 anarchici, socialisti e comunisti dissidenti danno vita alla Lega dei Consigli Rivoluzionari. Sempre nel capoluogo lombardo e in alcune province (Pavia e Brescia) vengono costituite le brigate “Malatesta” e “Bruzzi” organizzate da giovani libertari e da vecchi compagni che hanno subito il carcere, il confino e l’esilio: queste brigate, forti di 1300 uomini che poco prima dell’insurrezione entrano nelle formazioni “Matteotti”, scatteranno 24 ore prima delle altre durante l’insurrezione liberando molte fabbriche e conquistando alcune caserme, confiscando magazzini di viveri che vengono immediatamente distribuiti alle famiglie operaie. Uno degli organizzatori del movimento clandestino è Pietro Bruzzi, fucilato poco prima del 25 aprile.

A Canzo (Como) opera invece la formazione autonoma “A. Cipriani”.

A Verona Giovanni Domaschi fonda il primo CNL; organizzatore della lotta partigiana nella zona, viene fatto prigioniero dai tedeschi e rinchiuso in un campo di concentramento in Germania dove morirà.

Nella Carnia, anarchici e simpatizzanti sono tra i quadri della Divisione “Garibaldi Friuli”. Il primo fra gli organizzatori è stato Italo Cristofoli: come combattente e comandante partigiano collabora al disarmo di tutte le caserme dell’Alta Carnia e Cadore. Muore in combattimento.

A Trieste i libertari entrano nelle formazioni comuniste e Giovanni Bidoli è incaricato di tessere i collegamenti fra le varie formazioni: anche lui verrà deportato in Germania e non farà ritorno1.

Il problema delle alleanze

Dal quadro fin qui sommariamente descritto si evidenzia che la partecipazione anarchica alla lotta partigiana è diffusa in tutte le regioni, là dove era necessario armarsi per cacciare fascisti e nazisti. Così come si evidenzia anche la diversità e la collocazione del loro apporto alla lotta di liberazione. Il tema delle alleanze, dunque, era stato oggetto di dibattito già nell’esilio in una “intesa” fra anarchici nel 1935, in prospettiva proprio di una possibile insurrezione contro il fascismo in Italia, definendo le linee di comportamento da adottare, e le alleanze, tenendo conto di una situazione in cui il movimento era minoritario, aveva necessità di armarsi e quindi allearsi con le componenti più vicine ad esso, come Giustizia e Libertà, i sindacalisti, parte dei repubblicani e socialisti.

Lo stesso problema viene discusso nel giugno 1942 in una riunione segreta a Genova. In un documento/relazione di Emilio Grassini si legge: “… Se scoppiasse un moto rivoluzionario…Se i partiti autoritari e le masse vi prendessero parte, nessuno si sognerebbe di domandar loro perché combattono, essendo il fascismo il primo caposaldo da demolire, ogni colpo, da chiunque tirato, sarebbe sempre desiderato. E in questa azione ci troveremo gomito a gomito, con l’arma in pugno, con quegli elementi le cui finalità sono in contrasto con le nostre, o sono indefinite…”2 (si noti che questa posizione viene assunta quando ancora non vi era alcun segno di possibile insurrezione).

I partiti politici che formano i CNL normalmente si possono distinguere in partiti di destra e partiti di sinistra, ma non in tutte le località questo schema risulta conforme. In talune vi partecipano elementi di altri partiti di sinistra (libertari, sindacalisti), mentre mancano i rappresentanti di qualche partito di destra. “Trascinati dagli avvenimenti e presi dalla necessità di partecipare al movimento cospirativo, molti compagni nostri si sono trovati aderenti alla organizzazione dei CNL. Tali adesioni, spontanee certamente, sono però avvenute nel modo più disparato che sia dato da pensare e diverso da località a località…3”. E per potervi partecipare ci sono state adesioni singole come libertari e come tali accettati nei CNL di categoria o periferici; altri si sono iscritti ai partiti socialista o comunista; altri ancora, dove il movimento era più vivo, sono stati accolti nei CNL cittadini come rappresentanti di una organizzazione; altri sono stati completamente esclusi con la scusa che gli anarchici non rappresentavano un partito di massa – “circa questa asserzione di non rappresentare un partito di massa, potremmo discutere anche nei confronti di quei partiti che ancora ora, pure di far numero, sollecitano le adesioni degli elementi ex fascisti, ma non è il caso…”4 – oppure perché nel programma è presente la volontà di cacciare la monarchia e combattere la Chiesa collusa col fascismo (in Liguria); altri ancora, come nel caso delle “Bruzzi-Malatesta” in Lombardia, sono costretti ad entrare all’ultimo momento nelle “Matteotti” – tra l’altro ben accetti!- per non essere tagliati fuori all’inizio dell’insurrezione a causa di una infamia (tra le tante!) del Partito Comunista che da Radio New York lancia l’accusa che “gli anarchici sono collusi col fascismo” (sarà Pertini a mettere sull’avviso i partigiani anarchici concordando con loro l’entrata come formazioni autonome in quelle socialiste).

Tutto questo denota una mancanza di organizzazione dovuta ai numerosi arresti che il movimento ha subito nel tempo, ai confinati o inviati nei campi di concentramento, agli esiliati, alla tragica perdita di compagni capaci di creare organizzazione. “Ma è avvenuto pure per l’abitudine che abbiamo ognuno di noi di agire impulsivamente, per nostro conto, senza chiedere ed ascoltare il parere degli altri compagni, forse in omaggio alla libertà di opinione e di azione”5.

Come ha scritto Alfonso Failla, queste brevi note che comprendono solo parzialmente i fatti e i nomi dei compagni caduti nella lotta testimoniano che il movimento anarchico, nella lotta contro il nazifascismo, fu degno continuatore dell’opera per la quale centinaia di anarchici avevano già dato la loro vita nella lotta contro la dittatura, sulle piazze, nelle carceri, nelle isole e nell’esilio, e con il sacrificio estremo dei suoi Anteo Zamboni, Gino Lucetti, Michele Schirru ed Angelo Sbardellotto.

Franco Schirone

1 Nel ricostruire questa “geografia” della presenza anarchica nella lotta partigiana sono stati utili i seguenti contributi: Alfonso Failla, Gli anarchici nella lotta partigiana, in “Umanità Nova”, n. 17, 24 aprile 1955 e Italino Rossi, La ripresa del movimento anarchico italiano e la propaganda orale dal 1943 al 1950, RL, Pistoia, 1981.

2 Italino Rossi, La ripresa del movimento anarchico…, cit.

3 “Noi e il C.N.L.”, Il Comunista libertario, n. 11, 12 agosto 1945.

4 Ivi

5 Ivi

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