Secondo le previsioni, che ormai si ripetono costantemente da mesi, la maggioranza assoluta del prossimo Parlament di Barcellona dovrebbe essere di tipo indipendentista. La componente principale di tale fronte è una coalizione che si definisce Junts pel Sí (Uniti per il Sì) e che si è formata da poco con l’alleanza di un partito di centro, più o meno cattolico, Convergencia, e di una formazione che si presentava come assai più radicale, la Esquerra Republicana de Catalunya. Il “Sí” si intende quale sostegno alla proclamazione dell’indipendenza in una sorta di plebiscito per autorizzare i successivi passi verso la separazione. La ERC, fondata nel 1931 e vincitrice delle prime elezioni politiche in Catalogna, aveva tra i propri simpatizzanti anche diversi attivisti di base della CNT, più sindacalisti che anarchici nella prassi del movimento rivendicativo. Pare che, pur risultando la prima forza, Junts pel Sí non riuscirà a formare da sola il Govern di Barcellona e dovrà ricorrere all’appoggio delle CUP, le Candidatures d’Unitat Popular, un gruppo di politici di nuova generazione che proviene da attivi movimenti di lotta sociale.
E’ interessante il fatto che il loro leader, il giornalista economista Alberto Baños, abbia proclamato che l’obbiettivo delle CUP non è tanto quello di sviluppare al massimo l’autonomia catalana bensì quello di avviare un processo constituyente-popular per iniziare a dare la effettiva sovranità al popolo. Secondo loro, il successo elettorale catalano potrebbe favorire un’analoga evoluzione nelle regioni spagnole partendo, senza titubanze, dall’abolizione della monarchia. Da un punto di vista sociologico, molti militanti delle CUP non hanno origini familiari catalane, bensì castigliane: sono i nipoti dei lavoratori immigrati nella regione più industriale della Spagna alla ricerca di lavoro.
Le CUP non si astengono dalle critiche al loro molto probabile alleato, Junts pel Sí, diretto da Artur Mas, un politico che da Governatore, negli anni scorsi, ha proceduto senza remore ai drastici tagli dei servizi sociali, dalla sanità all’istruzione. Per superare una crisi di consenso questo leader, già autonomista moderato, ha scoperto la potenziale riserva di voti degli indipendentisti.
In effetti, le mobilitazioni dell’11 settembre (giorno dell’identità catalana che ricorda la sanguinosa sconfitta del 1714 ad opera dell’esercito castigliano) hanno raccolto negli ultimi anni una partecipazione massiccia che superava regolarmente il milione di manifestanti.
Per contro, il fronte unionista che si oppone decisamente alle ambizioni separatiste, comprende il principale partito spagnolo, il conservatore e spesso reazionario, Partido Popular. Si presenta però una novità nel panorama della destra: i Ciutadans che raccolgono le tendenze anti indipendentiste con una coloritura più democratica del PP, tuttora vicino agli eredi del franchismo. Questo dovrebbe essere il secondo partito e superare numericamente ciò che resta del Partido Socialista Obrero Español, un tempo maggioritario, e della sinistra non indipendentista.
Nel complesso il quadro politico istituzionale in Catalogna è cambiato notevolmente negli ultimi due anni. Ne è una evidente prova il fatto che la nuova alcalde della metropoli sia una certa Ana Colau, un’attivista del forte movimento contro gli sfratti, più volte fermata dalla polizia (anche da quella locale che ora comanda…).
Sullo sfondo resta l’eventuale contraccolpo sul territorio spagnolo di un’accelerazione del processo indipendentista catalano. Secondo diversi analisti, la vittoria netta dei separatisti di Barcellona potrebbe rafforzare i consensi verso l’attuale governo del PP che ha già più volte dichiarato che intende opporsi, con ogni mezzo alla secessione. La minaccia implicita (nel luglio 1936 i generali insorsero contro l’ipotesi della España rota) dà un colore inquietante ad un tema dalle lunghe radici storiche e culturali.
Claudio Venza