“La parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l’avessi.”
(Joker)
Fiumi di critiche, recensioni , opinioni e commenti sono stati scritti sul film di Todd Phillips, Joker, interpretato con maestria da Joaquin Phoenix. Il Joker di Alan Moore e di Phillips hanno tratti caratteristici comuni: l’emarginazione, l’individualismo, il rifiuto del diverso, che creano il mostro da sbattere in prima pagina.
Lo Stato, le istituzioni sacrificano sull’altare della mercificazione uomini e donne rendendo le vite degli individui semplici discorsi da spettacolarizzare – ciò che emerge dal film è un mondo nel quale nessuno si salva. La risata isterica di Joker seppellisce tutti e non lascia scampo a nessuno.
Arthur Fleck (Joker) è un clown di strada che ha subito traumi e violenze infantili che segnano la sua vita, anche se inizialmente non ne è consapevole (verrà a conoscenza delle violenze subite solo in seguito). Il sintomo più evidente della sua malattia è un’incontrollata ed irrefrenabile risata isterica che prorompe in momenti di disagio e depressione… Assistito presso l’assistenza sociale che lo cura principalmente imbottendolo di farmaci (“Arthur, lei già assume sette differenti tipi di farmaci”, dice la sua psichiatra, quando il paziente chiede di aumentare le sue medicine), a causa della mancanza di fondi verrà abbandonato anche dallo Stato.
In una New York (Gotham city) che un perenne sciopero dei netturbini la rende invivibile, dove la follia è dietro l’angolo, dove il potere con la sua arroganza promette benessere dietro le sue luccicanti enclaves protette da guardie private (il candidato sindaco Wayne, padre del futuro Batman, è l’ennesimo miliardario che si propone come governante), i mostri sembrano avere il volto umano di chi riesce a trasformare la follia in reazione, spesso incontrollata; a trasformarla in vendetta verso chi in qualche misura contribuisce all’approfondirsi del divario fra chi è dentro (l’élite economico-finanziaria) e chi è fuori ed emarginato, conseguentemente trattato da “diverso”.
Il triplice omicidio nei confronti di tre broker finanziari che in metropolitana lo prendono a calci e pugni senza motivo, sono il viatico verso la follia di Fleck-Joker. L’omicidio che polarizza l’opinione pubblica: da un lato i manovratori delle holding finanziarie (i tre lavoravano per la fondazione Wayne) e dall’altro i ribelli che si scagliano contro i potenti di Wall Street.
“A questa gente non frega niente di quelli come me” dice Joker prima di commettere l’omicidio che lo porterà ad essere l’ispiratore, suo malgrado, di una ribellione che devasta l’intera città. La risata isterica, che è il sintomo della malattia di Fleck, si incarna nella maschera di clown che molti indosseranno come simbolo di protesta.
Joker è un figlio a tutti gli effetti del marcio della società oltre che un suo simbolo. Le sue azioni incontrollate ma sempre rivolte a chi gli ha fatto del male esaltano il pubblico. Le maschere che indossano i suoi emulatori sono omologhe a quelle del giustiziere di V per Vendetta (altro personaggio di Alan Moore, lo stesso inventore del Joker dei fumetti).
Certo non è una storia originale quella di Joker: lo avevamo già incontrato nella schizofrenia metropolitana di Taxi driver, nello sdoppiamento di personalità di Tyler Durden, ma qui assume caratteristiche che rendono l’escalation incontrollabile, senza alcuna possibilità di ritorno ad una condizione precedente. Il punto è di non ritorno e non lascia speranze.
Il mostro, dicevamo, viene sbattuto sugli schermi televisivi per essere ridicolizzato e trattato come fenomeno da baraccone dal più famoso comico americano, impersonato da Robert de Niro, nemesi capovolta del Travis Bickle di Taxi driver: infine il mostro , il diverso, l’emarginato, otterrà la sua assurda rivincita in diretta televisiva.
In fin dei conti Joker ribalta i canoni consueti del thriller psicologico: tutto è talmente assurdo al punto da sembrare scontato. Tutte le critiche che sono state mosse nei confronti di Joker, considerato troppo violento tanto da spingere le forze dell’ordine a presenziare nelle sale americane, sono ciò che in maniera eloquente rivelano, come ricordava Michael Moore: “una distrazione per non guardare la vera violenza che lacera i nostri simili – 30 milioni di americani che non hanno un’assicurazione sanitaria sono un atto di violenza. Milioni di donne e bambini maltrattati che vivono nella paura sono un atto di violenza. Stipare 59 studenti come sardine senza valore nelle aule di Detroit sono un atto di violenza.”
In questa America “Trumpiana”, simbolo di un capitalismo sfrenato che non sente il bisogno di aiutare gli emarginati e i poveri, dove i ricchi sfondati lo diventano ancora di più, la risata che seppellirà tutti noi è più vicina di quanto possiamo immaginare. Un film da vedere e su cui riflettere.
Flavio Figliuolo