Il governo punta a rendere opaca la gestione delle missioni all’estero
Lo scorso 26 febbraio il Consiglio dei Ministri ha deliberato in merito alle missioni militari all’estero. In tempi record, neanche 10 giorni, il Parlamento ha discusso e approvato la delibera.
12000 militari saranno impegnati all’estero tra nuove missioni e missioni prorogate, per 1,5 miliardi di spesa. Negli anni scorsi tra la delibera del governo e l’approvazione parlamentare trascorrevano diverse settimane, anche mesi. Tempi che il governo ha cercato ulteriormente di accelerare, provando – senza riuscirci – a far passare l’approvazione in procedura di urgenza, per evitare la discussione nelle commissioni competenti. Certo a fare pressione sul parlamento c’è stata anche la raffica di sei colpi sparati dal cannone 72/67 Oto Melara del cacciatorpediniere Caio Duilio che ha abbattuto un drone yemenita a 6 km di distanza. A ridosso della discussione parlamentare, il rischio di un’escalation militare e la martellante campagna sulla minaccia degli Houthi per le navi italiane presenti nel Mar Rosso, ha reso necessario un inquadramento autorizzativo per la missione navale che l’Italia di fatto stava conducendo già da dicembre. Tutto ciò ha certo dato la possibilità di forzare con una approvazione in tempi record.
Le tre missioni approvate sono appunto la missione Aspides, missione navale nel Mar Rosso, la missione Levante, che si inserisce nel quadro della guerra a Gaza in Palestina, e la missione EUAM Ukraine. Considerato che questa ultima missione è in realtà attiva dal dicembre 2014 e l’attuale approvazione riguarda solo l’invio di un magistrato nel quadro di una missione europea di supporto al sistema di sicurezza, ci concentreremo soprattutto sulle prime due.
La missione Aspides, è una missione dell’Unione Europea, avviata nel mese di febbraio, il cui comando è affidato alla Grecia ed ha sede a Larissa; l’Italia è riuscita ad aggiudicarsi solo il comando tattico delle forze operative, di cui è stato incaricato il contrammiraglio Stefano Costantino e che ha il proprio centro proprio a bordo del Caio Duilio.
La nuova missione viene fatta passare come un nuovo impegno operativo all’interno di una più generale proroga di un “dispositivo multidominio”. La scheda sull’operazione riunisce infatti ben quattro distinte missioni, la missione Atalanta targata UE a largo della Somalia, la multinazionale EMASOH nello stretto di Hormuz e la CMF a guida USA. Non è quindi specificato nella delibera governativa la precisa autorizzazione di uomini e mezzi per la missione Aspides, viene indicato l’impegno complessivo per le quattro missioni: 3 mezzi navali, 5 mezzi aerei, 642 unità di personale. Certo vedendo 3 navi impegnate su 4 diverse missioni viene da pensare ai famosi carri armati di Mussolini, ma ricondurre tutto a cialtroneria e propaganda – che certo non mancano – sarebbe fuorviante. In questo gioco delle tre carte c’è il chiaro tentativo di rendere più opaco il processo decisionale e meno definita la responsabilità per ogni singola missione. Una autorizzazione come questa lascia mano libera al governo per articolare le missioni in interventi diversi a seconda delle esigenze. Basti pensare all’area di intervento autorizzata per queste missioni, che è incredibilmente vasta: “Mar Mediterraneo, Mar Rosso e Paesi rivieraschi, Golfo di Aden, Mar Arabico, bacino somalo, Canale del Mozambico, Oceano Indiano, Stretto di Hormuz, Golfo Persico, Golfo di Oman, Bahrain, Gibuti, Emirati Arabi Uniti e altri Paesi rivieraschi”. Si tratta di quattro missioni navali di natura diversa e con regole diverse, che andrebbero inoltre ad interagire con missioni a terra.
In modo simile con la missione Levante è stato autorizzato un impegno militare molto generale, che ancora bisogna capire come si articolerà. La stampa ufficiale si è soffermata sui primi due punti degli obiettivi della missione, gli aiuti alla popolazione civile e la disposizione di un “ospedale da campo e una unità navale con capacità sanitaria”. Ma i secondi due non sono di solito menzionati: “misure precauzionali per l’eventuale evacuazione di connazionali o l’estrazione delle forze italiane dalla regione; rafforzare la presenza nel Mediterraneo Orientale”. Più che una missione di aiuto umanitario sembra una missione con lo scopo di consolidare la presenza militare nell’area e coordinare eventuali situazioni di emergenza collegate alla consistente presenza di contingenti italiani, che in misura diversa sono impegnati in Libano, Cisgiordania e Egitto. Per questa missione è autorizzato lo schieramento di un mezzo navale, un mezzo aereo, 10 mezzi di terra e 192 militari.
L’area di intervento è molto vasta anche in questo caso, e comprende “Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza, Libano, Egitto, Giordania, Cipro, EAU, Qatar e regione del Mediterraneo Orientale”.
Non credo si possa pensare che questi termini generici siano imposti dai tempi rapidi di approvazione, che al contrario necessiterebbero l’autorizzazione di un impegno più preciso e definito. Il modo in cui sono state predisposte le schede per queste due missioni sembrano anzi essere state in realtà ben preparate per anticipare le nuove procedure autorizzative per le missioni militari che il governo vorrebbe introdurre. La modifica alla legge 145 del 2016 che regola la materia è stata proposta dal governo con il DDL S. 1020, disegno di legge di riforma approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 25 gennaio. Tra i principali punti di questa proposta, ora all’esame delle Camere, segnaliamo innanzitutto quanto scritto nella relazione tecnica alla presentazione della proposta al Senato. La riforma introdurrebbe “Una maggior flessibilità nell’utilizzo degli assetti e delle unità di personale all’interno di missioni appartenenti alla medesima area geografica. Prevedendo in anticipo le possibili «interoperabilità» tra missioni nella stessa area e sottoponendole al vaglio preventivo delle Camere, la modifica consente di rispondere con maggior prontezza nell’eventualità di situazioni di crisi o emergenza, sempre più frequenti nell’attuale scenario internazionale”. Inoltre consentirebbe di “pre-individuare, attraverso le deliberazioni del Governo di cui al comma 1, forze ad alta ed altissima prontezza operativa, da impiegare all’estero al verificarsi di crisi o situazioni di emergenza […] nell’ipotesi in cui si renda necessario l’impiego in via di urgenza delle forze ad alta ed altissima prontezza operativa, la deliberazione del Governo venga comunque trasmessa alle Camere, le quali, entro cinque giorni, con appositi atti di indirizzo, secondo i rispettivi regolamenti, ne autorizzano l’impiego o ne negano l’autorizzazione”.
Il primo punto, prevedendo una maggiore flessibilità renderebbe senza dubbio più opaca la politica delle missioni militari all’estero, rendendo più difficile comprendere la portata, le responsabilità e i limiti effettivi delle autorizzazioni. In questo modo si rende più facile al governo mescolare le carte, articolare in modo diverso le operazioni militari sfruttando la copertura di missioni già autorizzate con scopi vaghi e per aree molto vaste. Il secondo punto darebbe mano libera al governo di prendere l’iniziativa per una spedizione militare. Già questo avviene da anni, con missioni autorizzate dal Parlamento dopo mesi dall’effettivo avvio. Questo provvedimento, con la scusa di riportare le procedure entro la norma, conferisce al governo maggiore potere.
Che il governo voglia estendere i propri poteri, portando gli attuali eccessi nella legalità, e che presenti come effettivamente interoperative missioni che finora erano presentate come puntuali interventi condotti in modo autonomo, rappresenta in modo chiaro dove porti la politica di guerra che il governo sta portando avanti con l’appoggio trasversale delle principali opposizioni. Se le missioni non sono più singoli interventi ma una campagna strategica, se il governo non agisce in deroga, ma assume maggiori poteri, si fanno ulteriori passi verso la guerra aperta. A fermare questa spirale di guerra non saranno leggi ed elezioni, ma le lotte sociali e l’antimilitarismo.
Dario Antonelli