Tutta la rabbia che meritano. Scuola in sciopero il 5 maggio.

Il 5 maggio la scuola è in sciopero. A promuoverlo sono alcuni sindacati di base, Unicobas, Cobas e Cobas Sardegna in risposta ad una situazione sempre più pesante. Molti sono infatti gli attacchi sferrati contro un settore su cui da decenni i governi si accaniscono, uno dei comparti pubblici su cui più si sono riversati tagli, disinvestimenti e autoritarismo. In questa situazione non nuova, ma ulteriormente aggravata dall’imposizione di quella che a tutti gli effetti è un’economia di guerra, l’attuale governo sta portando avanti con impegno devastante una demolizione iniziata da tempo. Ecco perché uno sciopero, le cui ragioni, esplicitate in piattaforma, sono le questioni con cui le lavoratrici, i lavoratori, gli studenti si scontrano ogni giorno.

Tra le questioni in gioco c’è ovviamente la regionalizzazione del sistema scolastico, con cui si prefigura uno scenario di differenze territoriali basate su diverse distribuzioni di risorse e anche su diverse retribuzioni del personale, portando a compimento la deleteria logica introdotta dell’autonomia differenziata, già avviata nel lontano 2001 dal governo Amato di “centrosinistra” con la riforma del Titolo V della Costituzione. Infatti il disegno di legge Calderoli approvato lo scorso 2 febbraio dal consiglio dei ministri non fa che portare a compimento quanto già predisposto da altri soggetti, magari gli stessi che adesso, disdegnando lo sciopero, riproducono un insensato loop attraverso la raccolta di firme per un progetto di legge di iniziativa popolare che ne contenga gli effetti (sic!).
Ma tornando alle ragioni dello sciopero, le problematiche che rappresentano l’attualità dell’attacco al settore scolastico sono anche altre e di recentissima introduzione. Secondo quanto disposto dalla legge di bilancio 2023, abbiamo l’innalzamento da 600 a 900 del numero minimo di allievi che una scuola deve avere per poter usufruire di autonomia amministrativa: un obiettivo che porterà alla riduzione di 566 scuole in Italia, con accorpamenti che faranno scendere il totale delle scuole presenti sul territorio italiano da 7519 a 6953. A farne le spese soprattutto le scuole dei centri più piccoli e quelle ad alta specificità. Questo significherà innanzitutto una consistente perdita occupazionale, soprattutto di posti di personale non docente; ma ad essere smantellata sarà anche l’autonomia didattica di molte scuole che perderanno la loro identità progettuale, le loro caratteristiche tipiche e il loro bagaglio di esperienza, andando obbligatoriamente a confluire in istituti più grandi. L’autonomia scolastica che introduceva, fra le altre deleterie cose, anche i limiti numerici di alunni, risale al 1999, governo D’Alema e ministro Berlinguer. Un altro regalino del centro sinistra a cui il governo Meloni imprime un ulteriore peggioramento.

Altra novità è l’introduzione, con il decreto ministeriale del 5 aprile scorso, di nuove figure di sistema tra il personale docente: avremo infatti il docente “tutor” e il docente “orientatore”, figure che andranno ad incrementare l’assetto gerarchico, diventando una sorta di “graduati” della scuola, forniti di adeguato potere gerarchico e di una seppur minima differenziazione stipendiale. Una questione strategica a cui questo governo, in linea con interventi di governi precedenti, sta mettendo mano per annullare l’egualitarismo che rappresenta un elemento di caratterizzazione del sistema scolastico. Molti sono stati infatti i tentativi di gerarchizzare un settore che, al di là di innegabili debolezze categoriali, ha comunque sempre mantenuto certe caratteristiche. Negli anni sono state puntualmente respinte varie manovre finalizzate ad introdurre sistemi premiali legati al merito: basti pensare al famigerato concorsone voluto dal ministro Berlinguer, archiviato dopo un potente sciopero del sindacalismo di base, ma anche al disegno di legge Aprea per la differenziazione di carriera e di stipendio del personale docente e, più recentemente, al bonus del merito introdotto dalla “buona scuola”di Renzi, costretto da contestazioni e disaffezioni a confluire nel più generico fondo delle scuole, slegato dal merito. Attualmente il governo ci riprova con l’introduzione di un meccanismo che attiva due figure di ” super docenti” (orientatore e tutor) che avranno il compito di tartassare gli studenti guidandoli nelle loro scelte orientative e nella costruzione del loro portfolio di competenze, ovvero nella loro schedatura e nel controllo di quelle che dovrebbero essere scelte autonome, indirizzando possibilmente laddove il mercato vuole. Tutto questo naturalmente per un ridicolo compenso che vedrà ad esempio riconoscere al docente orientatore un massimo di 900 euro annui per seguire fino a 600 studenti: significa 1,5 euro a studente l’anno. Evidentemente confidano nella cieca collaborazione di stolidi e servili personaggi a cui interessa la stella di latta indipendentemente dal beneficio economico… E in ogni caso il vero obiettivo di questa manovra è introdurre, anche se in modo misero, elementi gerarchici nel sistema scolastico e porre fine ad un pernicioso egualitarismo. Il quale egualitarismo poi è tutto relativo, considerato l’esercito di precari su cui si regge il sistema scolastico italiano da tempo immemorabile. Ed anche questo è uno dei punti inseriti nelle rivendicazioni dello sciopero del 5 maggio. Quest’anno i precari superano le 200.000 unità e l’anno prossimo batteremo anche questo record! Al di là delle solite dichiarazioni propagandistiche con cui si annunciano valanghe di assunzioni che risolveranno la questione precariato, la realtà è ben diversa. Con la scusa del calo demografico non vengono fatte le assunzioni necessarie, il turnover non viene compensato e il sistema scolastico continua a mantenersi anche grazie ad un precariato che ha garanzie contrattuali, economiche e normative assai diverse dal personale di ruolo. A dimostrare le fandonie dei proclami ministeriali sulle assunzioni c’è la realtà degli organici previsti per l’anno prossimo e resi noti alle scuole proprio in questi giorni. E’ in questo periodo infatti che il ministero determina gli organici per l’anno scolastico successivo e ancora una volta i numeri parlano chiaro e i parametri non cambiano da quindici anni. Ed anche questa è una ragione di sciopero. Non si deroga dalla volontà di costruire classi pollaio, che possono arrivare fino a 30 alunni ed oltre, spesso con la presenza di più ragazzi disabili: né il periodo covid né le risorse PNRR hanno voluto intaccare una situazione che ha la comodità di far risparmiare su edilizia e personale.

A maggio si concludono i test Invalsi. Il 5 maggio, giorno di sciopero non individuato in una data a caso, sarà una delle giornate in cui la scuola primaria è coinvolta in queste prove che puntano a misurare la standardizzazione degli apprendimenti e a classificare le scuole in base a criteri aziendalistici. Perché in Italia nella scuola i guasti si creano ad arte, con i tagli, con le classi pollaio, con l’accentuazione delle differenze sociali, con il classismo, con la selezione. Poi i guasti creati si misurano con dei test bislacchi e si mettono in atto misure improntate a proseguire e rafforzare il danno. Questa è la realtà.

Una scuola tagliata, saccheggiata e ignorata nelle sue necessità reali, ma che rappresenta invece un settore d’investimento dove riversare la campagna ideologica che il governo vuole portare avanti, dove vengono inviati puntualmente messaggi di regime, dove cresce in modo insopportabile la militarizzazione, la propaganda di logiche di guerra, di forza, di suprematismo, insomma tutto ciò che rappresenta evidentemente una finalità educativa a cui il governo e il ministero tengono moltissimo.

Su queste problematiche, su questi nodi evidenti e scottanti, che costituiscono terreno di lotta costante e quotidiano di tante lavoratrici, lavoratori e studenti sui luoghi di lavoro e di studio, su tutto questo andremo a scioperare il 5 maggio e porteremo sotto il ministero dell’istruzione e del merito tutta la protesta, l’opposizione e la rabbia che meritano.

Patrizia Nesti

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