TRUMP E IL CULTO DELLA POTENZA. Una lettura del presente secondo Camus

Il potere dell’uomo sull’uomo, da sempre, si è fondato sulla forza. L’analisi hegeliana della formazione dei rapporti gerarchici – la cosiddetta “dialettica servo-padrone” – lo mostra in pieno, evidenziando come questi, alla loro origine, devono essersi formati a partire da una imposizione violenta. Nessuno, individuo o comunità, libero di scegliere accetterebbe mai di assoggettarsi a lungo e senza una valida contropartita alla volontà di un altro, di servire i suoi desideri a completo discapito dei propri. La guerra, pertanto, è alla base del potere politico e, di conseguenza, di quello economico, sociale e culturale di una minoranza di esseri umani sugli altri.

Lo stesso Hegel fa però notare che lo stato di guerra non può essere eterno, altrimenti da un lato la vita sociale avrebbe gravi difficoltà, dall’altro le stesse classi dominanti sarebbero costrette ad uno sforzo continuo e pesante per mantenersi come tali. Occorre pertanto interiorizzare idee nelle generazioni successive delle classi dominate che facciano apparire come “naturali” ed ineliminabili i rapporti gerarchici; l’aspetto della forza viene allora messo in secondo piano, per ritornare evidente di fronte alle rivolte degli oppressi. In condizioni “normali”, le classi dominanti presentano così il proprio potere in maniera edulcorata e giustificano ideologicamente il loro monopolio legittimo della forza: le stesse guerre esterne o interne vengono presentate, ad esempio, come “operazioni di polizia internazionale”, “mantenimento della pace”, “lotta al terrorismo”, “azione preventiva” – nel passato “mantenimento della pace imperiale”, “crociata”, “esportazione della civiltà”.

In alcuni momenti storici, però, soprattutto quelli in cui le classi dominate si trovano in un rapporto di forza particolarmente debole e sfavorevole, il potere politico, economico e sociale è decisamente più grossolano nel costruire giustificazioni al proprio uso, interno e/o esterno, della forza e lascia maggiormente trasparire il fondamento del dominio. Questo che viviamo, purtroppo, pare uno di questi.

Da questo punto di vista, l’ineffabile attuale presidente degli Stati Uniti d’America è sicuramente il caso più evidente sotto i riflettori. Perché intendo conquistare la Groenlandia, regione appartenente tra l’altro ad un mio formale alleato? Perché desidero prendermi le sue ricchezze. Perché intendo annettere il Canada, anche in questo caso una regione appartenente, tra l’altro, ad un mio formale alleato? Perché mi dà noia il suo vantaggioso rapporto import/export? Perché voglio conquistare Panama? Perché non voglio pagare i suoi dazi doganali e non voglio far passare da lì i commerci dei miei avversari?

L’aspetto spudorato dell’azione di Trump è quello predominante: anche quando mantiene un minimo di finzione ideologica, non nasconde più di tanto i suoi interessi, che sono a fondamento della sua azione. Il caso più eclatante è l’attuale intervento di “pacificatore” che svolge relativamente al conflitto in atto in Ucraina: vengo qui per impedire la prosecuzione di un orrendo massacro… ma, visto che ci sono, tanto per cominciare mi prendo tutte le risorse minerarie e le centrali energetiche del paese.

Un atteggiamento che sta facendo scuola, anche fuori dagli Stati Uniti d’America, anche se si manifesta soprattutto all’interno delle nazioni. In effetti, aldilà del giudizio politico complessivo che si può avere su queste vicende, l’azione del potere politico in paesi come la Romania, la Moldavia, la Turchia, la Corea del Sud e vari altri paesi contro l’opposizione interna mostra altrettanta scarsa cura nel nascondere gli interessi particolari dietro una forma giuridica o ideologica generale. Qui però vogliamo porre l’attenzione non tanto su questa dinamica in sé, ma sul fatto che oggi essa appare accettata come prassi “normale” dell’azione politica e, soprattutto, sul perché ciò è avvenuto.

Qui le riflessioni di Albert Camus, fatte all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, possono aiutarci molto. Nel suo testo maggiore,[1] “l’Uomo in rivolta”, Albert Camus anticipa la tesi dello storico inglese Hobsbawm secondo il quale il periodo 1914-1945 sia stata un’unica enorme guerra in cui sono morti almeno settanta milioni di esseri umani ma, soprattutto, si sono verificati i paradossi ideologici dei “campi di schiavi sotto il vessillo della libertà [e dei] massacri giustificati dall’amore per l’uomo o dal sogno di una super-umanità [dove] il delitto si adorna delle spoglie dell’innocenza, quella cui viene intimato di fornire le proprie giustificazioni, per una curiosa inversione propria al nostro tempo, è l’innocenza stessa”.

La tesi che ci interessa del filosofo libertario francese è però soprattutto un’altra. È avvenuto, all’interno della società, un processo di indottrinamento delle masse che lui chiama “nichilismo” e che, in tempi diversi, è stato chiamato “irrazionalismo”, “postmodernismo” o “pensiero debole”: la realtà oggettiva del mondo e/o la validità morale altrettanto oggettiva di determinati principi non esiste – nulla è vero o moralmente valido. Il nichilismo ha allora prodotto le ideologie della giustificazione degli stermini di massa perché “Se a nulla si crede, se nulla ha senso e se non possiamo affermare alcun valore, tutto è possibile e nulla ha importanza. Non c’è pro né contro, né l’assassino ha torto o ragione. Si possono attizzare i forni crematori, come anche ci si può consacrare alla cura dei lebbrosi. Malizia e virtù sono caso o capriccio”.

Il nichilismo presenta però un paradosso: se si crede che nulla ha senso, che non esistono valori morali oggettivi e tutti siano falsi, allora si afferma di fatto il valore della forza, quella del valore che è riuscito ad affermarsi e che appare, sulla scena della comunicazione sociale, come l’unico punto di riferimento oggettivo. “Se nulla può essere chiaramente concepito prima che la verità, alla fine dei tempi, sia stata messa alla luce, ogni azione è arbitraria, la forza finisce per regnare. […] Simile pretesa può provocare due soli atteggiamenti: o la sospensione di ogni affermazione fino a produzione della prova, oppure l’affermazione di tutto ciò che, nella storia, sembri destinato al successo, in primo luogo la forza. […] [Mussolini e Hitler] Per primi, hanno costruito uno Stato sull’idea che nulla avesse senso e che la storia fosse soltanto un prodotto del caso e della forza.”

Camus direbbe allora che il fascino di personaggi come Trump, del motoseghista Milei e di tanti altri del presente si basa proprio sul mettere in primo piano, nella comunicazione sociale, il valore della forza. La “morte delle ideologie” ha significato la scomparsa, in larghe fette della popolazione, di punti di riferimento forti e le ha rese facili vittime di quello che un tempo si sarebbe detto l’“uomo forte”. La mancanza di finzioni ideologiche, allora, non è un punto debole di questi personaggi, anzi; con la loro sfrontatezza è come se dicessero di essere talmente forti da non averne bisogno e, di conseguenza, aumentano il loro fascino perverso.

Un fascino che, ovviamente, è tanto più forte quanto più queste masse sono preda di quella che è la versione popolare del postmodernismo, pensiero debole, nichilismo ecc.: il culto dell’ignoranza.

Se nulla è vero e se nulla ha senso morale tranne ciò che si impone con la forza, il sapere lo si ritiene un orpello inutile e, di conseguenza, ci si getta nelle fauci del leone senza capire che lo si sta facendo, tranne quando è troppo tardi.

Una storiella del paese a stelle e strisce recita così: “Il leone si candida alle elezioni degli animali della foresta col seguente programma: ‘mangerò le vostre facce’. Eletto, si presenta a casa di un animale per mangiargli la faccia e, di fronte alle lamentele di questo, gli ricorda il programma elettorale che lui stesso ha votato e propagandato. Questi allora gli risponde: ‘Non avevo capito che era la mia faccia quella che volevi mangiare!’” Attualmente, l’amministrazione Trump sta revocando lo status legale di 530.000 cittadini cubani, haitiani, nicaraguensi e venezuelani[2] e questa storiella viene ricordata negli USA in presenza di persone che, dopo averlo in vari modi appoggiato, si vedono espulse dal paese o, nei tanti casi di coppie miste, vedono espulsi i loro affetti. Soggiogate dal culto della forza, ancora una volta non avevano davvero capito che era la loro faccia quella che il leone intendeva divorare. Così come pare non l’abbiano capito in tempo i Capi di Stato delle nazioni europee: il fascino della forza è una brutta bestia.

Enrico Voccia

[1]     CAMUS, Albert, L’Uomo in Rivolta, 1951, prima traduzione italiana di Liliana Magrini, Milano, Bompiani, 1957.

[2]     https://www.avvenire.it/mondo/pagine/trump-revoca-status-a

 

Nell’immagine: Acrilico su tela di Agnese Zari, particolare

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