Nel mese di luglio un centinaio di attivisti ha aderito all’appello internazionale arrivato dal Kurdistan per organizzare la Carovana 15 settembre in occasione del primo anniversario dell’attacco dello stato islamico (IS/Daesh) alla città di Kobane al confine nord-est turco-siriano.
L’appello è stato rivolto ad attivisti impegnati in campagne di solidarietà e sostegno alla lotta per l’emancipazione e liberazione del popolo curdo e di tutti i popoli assiri, arabi, armeni, yezidi e turcomanni che abitano questa regione, ed a tutti i solidali impegnati nella ricostruzione di Kobane.
La città di Kobane è stata liberata dall’Unità di Difesa del Popolo (YPG) e dalle YPJ (Unità di Difesa delle Donne) tra il 24 e 27 gennaio 2015 e, ad oggi, è ancora sotto embargo.
La porta di Mursiptinar, al confine, unico varco di accesso a Kobane, è sotto il controllo militare dello stato turco che decide come e quando aprire, chi e cosa far passare.
Gli attivisti solidali internazionali che hanno accolto l’appello hanno dato vita ad una carovana che si è recata nel kurdistan turco dal 12 al 17 settembre. Hanno partecipato singoli attivisti, delegati di sindacati di base, ong, associazioni, alcuni centri sociali italiani, delegati di autorità locali italiane e deputati, libertari e anarchici, attivisti di gruppi politici e sociali. I partecipanti alla carovana sono arrivati da Italia, Austria, Belgio, Svizzera, Germania, Argentina, Catalogna e Paesi Baschi.
La Carovana 15 settembre è arrivata laggiù con i propri mezzi. Alcuni attivisti solidali sono stati bloccati e rimandati a casa, altri hanno visto rallentato il loro viaggio per futili motivi. La carovana ha visitato alcuni centri sul confine turco- siriano ed alcune città colpite dagli attacchi delle forze armate nelle ultime settimane. Ha incontrato gruppi politici ed istituzionali, visitato i campi profughi ed ha consegnato attrezzatura per l’ospedale di Kobane.
La carovana ha visitato il centro culturale di Amara a Suruc dove il 20 luglio scorso l’esplosione di una bomba ha ucciso 33 attivisti la maggior parte attivisti del SGDF ( Giovani Socialisti). Nell’esplosione sono morti 5 anarchici : Alper Sapan, Evrim Deniz Erol, Medali Barutçu, Serhat Devrim e Vatan Budak .
L’appello diffuso nel mese di luglio ha invitato gli attivisti solidali a recarsi in quei territori con la finalità di portare aiuti ai civili e per la ricostruzione di Kobane divenendo testimoni dei crimini di guerra con la quale si cerca di sottomettere il popolo curdo attraverso la mano militare dello stato turco e del Daesh (stato islamico).
Il territorio, a maggioranza curda, è stato diviso nel 1923,alla fine della prima guerra mondiale, per volontà di Francia ed Inghilterra per mezzo del trattato di Losanna del 1923. E’ stato diviso tra gli stati/nazione di Turchia, Iran, Iraq, Siria. Per oltre un secolo i popoli che abitano questi territori sono stati massacrati, torturati, imprigionati dagli stati il cui obiettivo è sempre stato quello di cancellare la loro identità politica e culturale. Invane sono state le loro richieste di sedersi ad un tavolo di pace e molteplici le richieste di cessate il fuoco.
Un’ altro grande attacco a queste terre è portato dallo stato islamico sostenuto economicamente dal governo turco di Erdogan e dal suo partito AKP .
Il presidente turco Erdogan e l’AKP hanno formato squadre di fascisti e nazionalisti per linciare e terrorizzare i civili curdi. Hanno attaccato le case in diversi quartieri di Istanbul, Ankara, Kirsehir, Kocaeli, Smirne, Balikesir, Malatya, Mulga e Mersin.
Hanno impegnato nelle operazioni migliaia di poliziotti, soldati e corpi speciali turchi ed hanno attaccato le città curde con armamenti pesanti.
Intanto migliaia di persone in fuga dalla guerra, dalla miseria per mancanza di aiuti, dalla persecuzione e dalla rappresaglia si sta riversando verso l’Europa del nord.
I curdi hanno organizzato nei territori, nei quartieri, nei villaggi strutture di autogoverno ed autodifesa resistente per sopravvivere alla guerra interna ed esterna a loro dichiarata che ha come unici obiettivi la loro schiavitù ed il loro sterminio.
Molti attivisti in diverse parti del mondo sono impegnati a raccogliere e diffondere notizie su quanto sta accadendo in quei territori, fatti altrimenti resi quasi invisibili dai media, giornali e televisioni internazionali.
Gli attivisti che hanno partecipato alla Carovana sono impegnati a portare aiuto alle persone sopravvissute agli attacchi militari, ai rastrellamenti continui nelle città, nei quartieri, nei villaggi, sono impegnati a portare aiuto agli attivisti politici, civili e ai solidali al popolo curdo e a tutti questi popoli che stanno lottando con determinazione per la propria vita, per l’emancipazione e liberazione dall’oppressione della tirannia degli stati e dalla guerra delle nazioni.
La crudeltà della polizia turca e del Daesh si è scatenata in particolar modo nei confronti di donne e bambine contro i cui corpi gli stati tiranni, oltre all’uccisione, all’ imprigionamento ed alla tortura, hanno compiuto stupri, hanno ucciso per poi fare scempio dei cadaveri. Hanno trascinato i cadaveri delle donne con i carri armati ed usato i loro corpi come bottino di guerra.
Nel mese di agosto Kevser Elturk (Ekin Van), combattente delle YJA Star, è stata torturata e uccisa dai militari turchi ed esposta nuda. I militari turchi si son fatti fotografare accanto al suo corpo straziato ed hanno diffuso le foto sui social network.
La Resistenza dell’ Unità di Difesa del Popolo ( YPG) e l’Unità di Difesa delle Donne (YPJ) non è una lotta di indipendenza ma di autodifesa esistenziale e politica, per la sopravvivenza e l’autogoverno, l’emancipazione e la liberazione.
A Cizre, la scorsa settimana, il governo turco ha dichiarato il coprifuoco per 9 giorni consecutivi. Durante questi nove giorni la polizia turca ha sparato sui civili ed usato armi pesanti. Nessuno è potuto entrare ed uscire dalla città. La polizia turca con tank, mitra e cecchini ha sparato sui civili e sui paramedici arrivati a portare le prime cure di emergenza ed i feriti sono stati curati nelle case. Le linee telefoniche ed internet sono state interrotte. Una madre è stata costretta a tenere nel freezer di casa il cadavere della figlia, per evitare che andasse in decomposizione.
L’ultimo coprifuoco, ovvero l’ultimo assedio militare a Diyarbakir (Amed in curdo) della polizia turca è durato 2 giorni ed è stato annunciato attraverso gli altoparlanti la mattina presto. Per due giorni la polizia turca è entrata in maniera arbitraria nel quartiere di Sur bruciando e distruggendo le case, hanno rotto le porte per posizionare i cecchini sui tetti mettendo tutto sottosopra e aprendo il fuoco sui civili. Ma i residenti del quartiere non se ne sono andati. A Dyarbakir, nel mese di agosto un ragazzino di 14 anni è stato prelevato in strada da una camionetta dell’esercito turco e il suo corpo torturato è stato ritrovato nella spazzatura qualche giorno dopo.
Ma donne, uomini e bambini non si stanno arrendendo, non stanno abbandonando la loro terra, le loro case. In migliaia continuano a protestare e a denunciare, in prima fila le madri dei martiri. Non hanno lasciato i villaggi, i quartieri, le città e dalle finestre , mostrando le due dita a V, simbolo di vittoria, si continua a gridare con forza: “Erdogan assassino” .
Delegata alla Carovana 15 settembre per il Gruppo Anarchico C.Cafiero- FAIRoma