In Italia, per il momento, di Esposizioni Universali ce ne son state due: l’odierna – molto anglicizzata dal nome, ma soprattutto dagli sponsor delle multinazionali – che si sta svolgendo a Milano, e quella svoltasi a Roma nel 1942; pertanto, si potrebbe osservare che ogni qual volta il Belpaese ospita l’esposizione universale la crisi mondiale imperversa, ma non vorremmo fare i soliti “gufi” per non dispiacere al Gran Cazzaro di Firenze e stare allegri perché il nostro piangere …
Pure, ci corre lo sfizio di confrontare le due esposizioni a partire dai simboli che li rappresentano: l’Albero della vita per l’Expo 2015, e il Palazzo della Civiltà Italiana [sì, proprio con la I maiuscola come piaceva al Gran Cazzaro di Predappio]. La partita è persa in partenza, lo sappiamo, e non è che ci voglia molto: una torre di acciaio e legno alta 35 metri al centro di un laghetto artificiale che di sera s’illumina di variopinti colori come succede nelle sagre paesane, e un Palazzo in cemento armato e travertino a forma di parallelepipedo, alto 60 metri, con una base di 53 metri, caratterizzato per ogni facciata dalla presenza di 54 archi (9 in lunghezza e 6 in altezza) che sulle quattro testate riporta, la dicitura in stampatello su tre righe: «Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori».
Vabbè, la nazione allora si credeva imperiale [il palazzo fu iniziato nel 1937 e i lavori si conclusero il 15 dicembre 2010, giusto il tempo per affittarlo a Edoardo Fendi, artigiano pellicciaio di Roma] e poteva permettersi di strafare contando su un vate come d’Annunzio, un architetto come Piacentini, un esploratore come Nobile, e la famiglia Savoia come maggiordomi di casa Mussolini.
Ora è Renzi a fare il maggiordomo precario nelle case altrui (FMI, BCE,CE) e ha potuto disporre – più che di un architetto – di un direttore artistico, MarcoBalich che, pur ispirandosi al disegno di Michelangelo per la piazza del Campidoglio nell’ideare l’Albero della vita, ha dimostrato quanto sia vero il detto secondo il quale i geni copiano mentre le nullità imitano; del resto, il “genio” di Padiglione Italia [un’accozzaglia di monitor collegati in diretta con tre importanti mercati italiani come la Vucciria di Palermo, Rialto a Venezia e Campo dei Fiori a Roma, più un’installazione di arte contemporanea in cui è bene soffermarsi ad ogni opera più di tre minuti al fine di sboccare, così da dare senso compiuto al tema. cibo-uomo-territorio], cercando di spiegare il significato recondito del’Albero della vita ha fatto proprio lo slang del Gran Cazzaro di Firenze: «Qual è l’identità italiana? E’ fatta da mille sfaccettature quindi l’unica è andare sopra a tutto e dire ‘cerchiamo di guardare in alto’ e cercare qualcosa che stia sopra tutto e che non sia solo la Nazionale di calcio».
Vero, ognuno ha i Marco Balich che si merita, e a un Gran Cazzaro come Renzi questo ed altro. Ma noi, che male abbiamo fatto?
Non saremo santi, né poeti e neppure eroi. E se neppure ci garba il titolo di navigatori, sappiamo però essere dei naviganti, come lo sono pure i nostri fratelli migranti. Quelli che alla Stazione di Milano e nelle altre piazze d’Italia – in questi mesi, giorni, ore – sono i veri simboli che rappresentano il tema dell’Expo 2015: “Nutrire il Pianeta, Energie per la Vita”. Il pianeta di “Mafia Capitale” e del sistema di potere politico che amministra l’Italia intera. Le misere energie di chi si illude di arrestare il flusso migratorio di centinaia di migliaia di persone che attraversano il Mediterraneo bombardando i barconi alla fonda.
Di scabbia si guarisce in tre giorni. Difficile estirpare l’egoismo, il lucro, l’imbecillità, soprattutto quando sorreggono un sistema politico di potere. Ci vorrebbe …
gianfranco marelli