Abstract della prima parte (UN 2 2016- http://www.umanitanova.org/2016/01/31/saremo9999/)
In occasione del World Economic Forum di Davos sono emersi dati sulla distribuzione della ricchezza: 62 persone ricche quanto la metà della popolazione mondiale più povera, l’1% degli abitanti del pianeta che possiedono quanto il restante 99% – dati impressionanti, ma ancor più impressionante è la rapidità di questo processo (5 anni fa i 62 erano 388, ecc.). In realtà, la concentrazione e polarizzazione di ricchezza è una prerogativa del capitalismo sin dai suoi inizi, relativamente alle società preindustriali, un fenomeno che venne parzialmente interrotto dalle prime forme di organizzazione del movimento operaio e socialista e dalle sue lotte. La prima Grande Depressione (1873-1896 ca) mette in crisi però quest’ultimo e si innesca nuovamente il fenomeno della concentrazione e polarizzazione della ricchezza, fenomeno che viene portato al suo apice fino alla Prima Guerra Mondiale, anni che vedono – nonostante la ripresa delle lotte operaie e l’accesso di esse a maggiori possibilità di reddito e di consumo, all’origine della Belle Époque – una situazione paragonabile a quella presente. Il fenomeno si inverte a causa della “Grande Guerra dei Trent’Anni”(1914-1945) che costringe gli Stati – impegnati in decenni di guerre continue ed estremamente costose – a sottrarre risorse non solo alla classe lavoratrice ma anche ai padroni del vapore. La ripresa delle lotte operaie – questa volta con la notevole componente armata delle varie resistenze – e la paura della rivoluzione portano ai Trent’Anni Gloriosi (1945-1975 ca) e, con le politiche keynesiane di redistribuzione della ricchezza, ad un ulteriore decremento del fenomeno dei “paperoni” ed a una distribuzione maggiormente livellata della ricchezza sociale. A metà degli anni Settanta, però, passato il timore della rivoluzione, le politiche statali e padronali anno iniziato una notevole marcia indietro.
I Quarant’Anni Ingloriosi. Il Presente
In un certo senso, quindi, il “neo”liberismo è stato ed è tuttora un gioco al massacro, che ricorda la saga Highlander – ne resterà solo uno… La “rivoluzione capitalistica” preconizzata dai Chicago Boys ed attuata da Thatcher e Reagan ha utilizzato ancora una volta la chiave della leva fiscale per una redistribuzione della ricchezza che portasse le cose ai tempi della Belle Époque, con i suoi monopoli/oligopoli ed i suoi Rockfeller, ma senza tutte quelle fastidiose imprese medio/piccole, quelle classi medie non proletarizzate, quel miserabile proletariato “che voleva il figlio dottore” e quei servizi sociali inutili a chi scuole, cliniche, trasporti li possiede direttamente. Un esempio italiano per tutti, dato lo spazio ridotto – l’IRPEF. Alle sue origini, l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche era stata pensata in senso “keynesiano”, come una tipica imposta progressiva e redistributiva della ricchezza: istituita con la riforma del sistema tributario del 1974, conteneva trentadue aliquote (dal 10% al 72%) per gli scaglioni di reddito da 2 a 500 milioni di lire. Gradatamente, il “nuovo che avanza” e la “riduzione delle imposte” (per i ricchi, ma questo non lo specificano) hanno “semplificato” gli scaglioni di reddito: senza farla lunga a ripercorrere le varie modificazioni, comunque sempre peggiorative, oggi abbiamo da trentadue siamo scesi a soli cinque scaglioni: 23% fino a 15.000 euro, 27% da 15.001 a 28.000 + 27% della parte del reddito eccedente 15.000, 38% da 28.001 a 55.000 + 38% della parte del reddito eccedente 28.000, 41% da 55.001 a 75.000 + 27% della parte del reddito eccedente 55.000, 43% da 75.00 euro in poi + 43% della parte del reddito eccedente 75.000. In pratica, relativamente alla situazione di partenza. una diminuzione netta del carico fiscale man mano che si diventa più ricchi, un aggravio man mano che si diventa più poveri. La storia dell’IRPEF italiana è esemplificativa della tendenza generale a livello mondiale: la situazione descritta all’inizio di questo articolo, con questa impressionante e rapidissima polarizzazione della ricchezza, la povertà sempre crescente, ecc. è stata coscientemente voluta da scelte di politica economica e fiscale degli Stati.
Sessantadue? Ancora Troppi
Le politiche di detassazione (dei ricchi) portano inevitabilmente, come dicevamo, ad una progressiva e velocissima polarizzazione della distribuzione delle risorse economiche, a livello sia mondiale, sia locale. La cosiddetta “globalizzazione” ha a suo fondamento una uniformazione delle politiche economiche e fiscali a livello globale, che, salvo dove siamo stati in presenza di rivolte davvero di massa, dal carattere libertario e molto decise, dura da quarant’anni ed il ritornello dei politici d’ogni risma è: deve continuare, non c’é alternativa. Non abbiamo ancora visto niente e ci sbagliamo di grosso se pensiamo che i potenti della terra abbiamo una minima intenzione di fare marcia indietro. I processi di proletarizzazione delle classi medie, di immiserimento generale, di distruzione dei servizi sociali, in mancanza di una reale e molto decisa opposizione di massa, continueranno imperterriti: la prospettiva che abbiamo davanti è degna delle migliori utopie al negativo. In Europa la situazione è resa difficile dal fatto che è meno tempo – rispetto a luoghi come l’Islanda, gli Stati Uniti, l’America Latina, dove sono avvenute rivolte che hanno portato a significative inversioni locali di tendenza – che qui si applicano le ricette dei Chicago Boys e, di conseguenza, siamo mediamente più esposti ai loro inganni ideologici.
Chi soggettivamente vorrebbe opporsi in buona fede – il caso più eclatante è quello dei grillini – nella maggior parte dei casi non riesce ad uscire dalla logica Highlander delle politiche economiche degli ultimi anni e continua a credere che i mercati correggono efficientemente le crisi e realizzano l’ottimale distribuzione delle risorse e dei redditi, abbassano i prezzi e le tariffe, che la spesa pubblica sia la causa del debito pubblico, è la causa delle tasse ai meno abbienti, della recessione, ecc., per cui questi oppositori spesso e volentieri non sanno far altro che proporre la stessa cosa che si fa ingloriosamente da quarant’anni: tagliare la spesa pubblica sociale, diminuire le tasse (ai ricchi), privatizzare… Questo quando non si crede anche che riducendo salari e diritti dei lavoratori, facilitando licenziamenti e rendendo impossibili gli scioperi, i costi di produzione calano, si diventa più “competitivi”, la disoccupazione diminuisce, la domanda interna non cala, gli investimenti aumentano e magari diventiamo tutti più ricchi, e via favoleggiando – oggi, come ai tempi della Belle Époque, non a caso caratterizzati dalla stessa ideologia dominante.
Come uscire da questa gabbia? La via di fuga volge sia verso il passato, sia verso il futuro. Verso il passato, perché occorre che i movimenti di opposizione comprendano che non c’è granché di nuovo nella situazione presente, nessun “nuovo che avanza”, ma un “vecchio che ritorna” ed è alle forme di organizzazione (società di mutuo soccorso, sindacalismo rivoluzionario e libertario) che hanno saputo reinvertire la rotta (non a caso il movimento new global ed Occupy ne hanno mutuato varie forme sotto l’influenza ideologica dell’IWW) che bisogna rivolgere lo sguardo. Verso il futuro, perché stavolta dovremmo avere la chiarezza che qualunque piccola concessione il potere conceda, la ritirerà appena possibile e la realizzazione di una società radicalmente egualitaria ed autogestionaria dovrà restare sempre presente nell’azione quotidiana come obiettivo da non dimenticare. Mai.
Enrico Voccia
Vedi GRAEBER, David, Rivoluzione: Istruzioni per l’Uso, Milano, Bompiani, 2012.