Se l’Europa e gli Stati Uniti vivono pacificamente sul loro territorio dalla seconda guerra mondiale, questo non è il caso per il resto del mondo: Siria, Yemen, Repubblica Democratica del Congo, per nominare soltanto alcuni paesi. Eppure i segni di guerra nel nostro paese non sono scomparsi e la Francia sta vivendo una significativa militarizzazione, consentita in particolare dallo stato di emergenza, che gli attacchi hanno legittimato anche all’interno della popolazione. Ma ancor più che a casa, è tra gli altri che esportiamo la guerra: equipaggiamento militare, operazioni militari, Libia, Mali, Iraq, neo-colonialismo per catturare ricchezza, ecc. Non dobbiamo essere ingannati dalla nostra situazione europea: se viviamo in pace, questo non è il caso dell’umanità in generale e la guerra permanente condotta nel mondo è spesso opera dei nostri governi. In ogni caso, anche se la guerra non è rilevante qui, lo stesso non vale per lo spirito militare.
Oggi la militarizzazione ha buona stampa: i soldati pattugliano, gli articoli di giornale cantano le lodi dei soldati francesi in missione, le campagne pubblicitarie ne fanno la vetrina. Nel 2016, l’87% dei francesi aveva ancora una buona opinione dell’esercito, rendendolo la seconda istituzione più popolare dopo l’ospedale. Eppure cosa sappiamo veramente? I dati sono difficili da trovare a causa del divieto di ricerca etnografica o di lavoro qualitativo, gli scandali sono soffocati internamente e siamo quindi destinati a inghiottire la visione ufficiale, quella che scorre sugli Champs-Elysée il 14 luglio. In queste condizioni le critiche illuminate sono diventate difficili. Cosa rimane dell’antimilitarismo? Quasi niente. Tuttavia, è fondamentale rianimarlo.
Cos’è l’antimilitarismo?
L’Enciclopedia Anarchica definisce il militarismo come segue: “un sistema che consiste nell’avere e mantenere soldati, eserciti. Il suo scopo essenziale e dichiarato è la preparazione della guerra: il reclutamento di un esercito permanente; l’organizzazione dei quadri di un esercito di riserva; l’accumulazione, la messa in servizio, il mantenimento in perfetto stato di servizio di materiale bellico sempre più moderno e più avanzato, in breve, è l’organizzazione preliminare della guerra. Questa organizzazione colossale, messa a disposizione dei governi, consente loro di perseguire un duplice scopo: essere in grado di combattere contro i governi stranieri in caso di conflitto tra loro e di avere a portata di mano un formidabile apparato di repressione violenta in caso di rivolta popolare. I governi hanno assoluto bisogno dell’esercito sia contro i loro nemici dall’esterno che contro quelli dall’interno.”
L’antimilitarismo è l’opposizione al militarismo. L’esercito, guerrafondaio, imperialista, gerarchico e nazionalista è ovviamente uno dei volti del militarismo.
Analizziamo questi termini. La dimensione guerrafondaia include il fatto che l’esercito, al servizio di uno stato, servirà sistematicamente gli interessi del potere, ad esempio conducendo guerre coloniali, guerre esterne od eseguendo operazioni di “Mantenimento dell’ordine pubblico”. Non sorprende che l’esercito sia usato in molti paesi come arma politica, come le rivoluzioni arabe hanno purtroppo mostrato. La dimensione imperialista deriva strettamente da questo primo punto: l’esercito come strumento di governo è il mezzo per uno stato di imporre il proprio potere ad una popolazione, specialmente alle popolazioni che non hanno gli stessi strumenti per essere ascoltate. Le recenti guerre degli Stati Uniti, come la Seconda guerra in Iraq, sono caratteristiche di un imperialismo volto a difendere gli interessi degli Stati Uniti all’estero. La Francia non è ovviamente indietro con le sue operazioni in Libia o in Mali. La controparte di questi primi due elementi è la dimensione nazionalista dell’esercito: un esercito difende un territorio nazionale e mette davanti ogni cosa la Nazione, i confini e, perché no, lo spirito di un popolo o le sue tradizioni. Tanti elementi cui gli anarchici si oppongono. Infine, l’esercito è organizzato gerarchicamente, con un comandante ed un obbediente, rafforza perciò l’abitudine ad un dominio dell’umano su sé stesso.
Tuttavia, non possiamo rimproverare agli anarchici la difesa della pace ad ogni costo: la lotta armata è necessaria in determinate condizioni, specialmente nel caso della difesa. La concettualizzazione libertaria della lotta armata rompe però con i diversi presupposti dell’attuale militarismo: è non bellica, antimperialista, non gerarchica ed internazionalista. Abbiamo alcuni esempi storici con l’Ucraina Makhnovista Ucraina e la Spagna nel 1936.
L’antimilitarismo si oppone quindi sia all’uso bellico dell’esercito sia al suo spirito, sia nella guerra sia nel militarismo. Dobbiamo però distinguere i due aspetti: se la guerra è assente, il militarismo dilaga.
Forme attuali del militarismo
Dobbiamo ricordare ancora una volta che essere un soldato è innanzitutto essere al servizio di uno stato. Dobbiamo sbarazzarci della propaganda del governo e dei media volti a presentare l’esercito sotto forma di un nuovo sviluppo personale, che consente l’autorealizzazione, il cameratismo e la protezione dei civili. Di là di alcune banali competenze specifiche, come quella di proteggere da un’aggressione esterna – che non è avvenuta da decenni nei paesi occidentali – il ruolo dell’esercito è irrimediabilmente lo stesso, mantenere nell’ordine e controllare le popolazioni. Dobbiamo ricordare ancora una volta che nonostante le campagne pubblicitarie che troviamo negli autobus e nelle scuole, l’esercito non è quella scelta di vita benigna che cercano di farci ingoiare, non è una vocazione come le altre. È attraverso l’azione militare che gli stati affermano il loro imperialismo ed il loro potere sul territorio. Se la guerra non fa più parte del nostro contesto immediato, il militarismo si nutre del “bisogno” che lo stato si difenda dai nemici esterni, Daesh per esempio, ma anche dai nemici interni: terroristi, e più in generale, alcune classi di persone sospettate di tradimento contro la loro patria (gli zadistes, alcuni ecologisti radicali, i musulmani per alcuni, gli ebrei per gli altri e, infine, tutti coloro che non aderiscono alla grande narrativa nazionale, per i più nazionalisti). L’esercito è uno strumento di dominio, sia fisico sia ideologico, che porta alla costituzione di un’identità comune contro le deviazioni identificate come dannose.
Non abbiamo garanzie sul futuro ma più che una guerra omicida – ci sono meno morti ogni anno nell’esercito francese che nell’edilizia – è la militarizzazione della società che appare qui e ora problematica. È necessario aggiornare l’antimilitarismo non solo prendendo di mira la funzione imperialista della guerra – come nel diciannovesimo e ventesimo secolo – ma anche la funzione sociale dell’esercito attraverso la militarizzazione delle nostre società e delle nostre menti.
A che serve l’esercito? Oltre alla gestione dei confini e dei flussi di popolazione, serve anche a raccogliere – raccogliere in una fantasia comune un’identità nazionale universalista che vuole essere meritocratica e inclusiva. La scuola, vacillante, non riesce più a modificare gli assetti sociali ed allora l’esercito ha l’immagine di un’istituzione più meritocratica, all’interno della quale è possibile l’arrampicata sociale. Inoltre, è un’istituzione sociale privilegiata nel momento in cui la globalizzazione sta erodendo le solidarietà nazionali: diventa il luogo della ribellione nazionalista. Nessuna sorpresa, quindi, se i fascisti vedono l’esecito come una realizzazione utopica della loro società dei sogni: vi prevalgono l’ordine, il comando, l’organizzazione, la subordinazione e l’ossessione delle differenze. Questo può essere chiaramente illustrato con noti episodi di umiliazione omofobica o sessista. Difficile in questo contesto non capire l’attuale immagine positiva dell’esercito come un segno di una svolta a destra della società. La militarizzazione è quindi ovunque visibile – pattuglie, sorveglianza, registrazione – con l’uso di strumenti sempre più sofisticati. Inoltre, il capitalismo ha anche lui sentito la direzione del vento: sempre più eserciti sono eserciti privati, mercenari, in lotta per il miglior offerente.
Possiamo davvero dire che l’esercito è un modello universale? Diamo un’occhiata alla sociologia dell’esercito. Chi si impegna come soldato privato, chi viene mandato a morire in missioni insignificanti, chi paga il costo delle decisioni del governo? Sono i datori di lavoro, i ministri, i capi dell’industria? No, di solito sono giovani uomini e donne di classi popolari e/o dell’immigrazione. La carne da cannone militare, lo ripetiamo instancabilmente, è composta da poveri, da indigenti, che vedono nell’esercito una fuga positiva da un sistema educativo zoppo. I giovani laureati che hanno studiato da famiglie più ricche poi non sono soldati, ma ufficiali. Qui l’analisi di classe più caricaturale trova purtroppo la sua realizzazione: lungi dall’essere una grande istanza politica neutra, l’esercito riproduce ed amplifica il dominio di classe al servizio degli interessi statali. In realtà ciò che si osserva è soprattutto la macinazione degli individui in una grande macchina: li inghiotte freschi e li sputa una volta usati. Il grande apparato si disinteressa dei suoi soldati una volta lasciata l’istituzione: chi darà supporto ai traumi, alle ferite, al ritorno alla vita civile?
Aggiornare la critica
È quindi importante riaffermare ed aggiornare la posizione anarchica dell’antimilitarismo. Dobbiamo ricordare che lo spirito militare è intrinseco al nazionalismo, alla disciplina, al dominio dell’umano da parte dell’umano e che è intrinsecamente alleato di conservatori e fascisti di ogni tipo (senza dimenticare gli industriali che traggono grande profitto dalle operazioni militari).
Noi non sosteniamo nessun esercito, sia esso l’esercito popolare o l’esercito professionale. Al contrario, sembra importante sottolineare che la militarizzazione delle menti, l’abitudine di sottomettersi a questa istituzione e la normalizzazione della presenza militare sono pericolose, dannose e fatali. Pericoloso perché abitua alla docilità, alla sorveglianza, all’autocensura; dannoso perché lo spirito militare impedisce ogni libertà di pensiero, è solo sottomissione; perché pensiamo che nulla di buono possa venire fuori da questi principi. È tempo di prendere in considerazione il fenomeno della militarizzazione della società e delle menti per riattualizzare e riattivare la critica a questa utopia guerriera. Non esiste una guerra giusta, non esiste un esercito sano. Guerra alla guerra, ma soprattutto agli eserciti.
Fédération Anarchiste [Traduzione di Enrico Voccia]