Quando Murray Bookchin negli anni settanta del secolo scorso cominciava a pubblicare le sue tesi sul municipalismo libertario, per quanto riguardava esperienze su larga scala poteva appoggiarsi sostanzialmente a poche esperienze fattuali e lontane nel tempo – la Rivoluzione Spagnola del 1936 era la più recente. Con lo scorrere del tempo, però, non solo si sono verificate, all’interno dei movimenti rivoluzionari, alcune opportunità di declinare in chiave libertaria l’organizzazione di determinati territori ma, al contempo, questi territori sono diventati il punto di riferimento pratico e teorico di larga parte dell’immaginario del popolo della sinistra radicale.
Spezzano Albanese, Penisola Italiana
Iniziamo con una località poco conosciuta fuori dai suoi confini geografici, ben presente, però, nell’animo degli anarchici italiani. Il paese è situato su una collina a circa 320 m s.l.m., domina la piana di Sibari e la valle dell’Esaro, con la vista del massiccio del Pollino a poco più di 20 km, confina con i comuni di Terranova da Sibari, San Lorenzo del Vallo, Tarsia, Cassano all’Ionio, Castrovillari e Corigliano-Rossano. La cittadina è tra le comunità più numerose di etnia, cultura e lingua arbëreshe, in altre parole italo-albanesi, raggiungendo i settemila abitanti all’incirca. È anche un bel posto, con numerose attrattive, ma non è certo per questo che ne parliamo qui.
A Spezzano Albanese, infatti, la presenza anarchica si registra dal 1973 con la costituzione del Circolo Culturale Libertario “G. Pinelli”, denominatosi poi Gruppo Anarchico, in seguito Gruppo Comunista Anarchico e dagli anni novanta del secolo trascorso in Federazione Anarchica “Spixana”.
Negli anni settanta e sino al 1986 l’anarchismo spezzanese si collocò genericamente all’interno del Movimento Anarchico, dal Congresso FAI di Senigallia del 1987 ed a tutt’oggi entra a far parte specificamente della Federazione Anarchica Italiana.
La peculiarità che caratterizzò l’anarchismo spezzanese, sin dal suo primo apparire fu quella di non volersi distinguere solo in maniera ideologica ma anche e soprattutto nella prassi quotidiana con una progettualità sociale altra, antiautoritaria, rivoluzionaria, libertaria applicabile nelle lotte che contrassegnavano gli anni settanta.
Grazie a questa scelta di campo, ben presto nel tessuto sociale spezzanese accanto alla struttura anarchica andavano formandosi i primi comitati autogestiti di studenti, lavoratori e disoccupati che sul finire degli anni settanta confluivano nella costituzione della USZ – Unione Sindacale di Zona, struttura anarcosindacalista che vedeva la luce in territorio spezzanese mentre il movimento anarchico sul territorio nazionale era impegnato nella riattivazione dell’USI – Unione Sindacale Italiana. In seguito, e precisamente nei primi anni novanta, l’anarcosindacalismo spezzanese si coniuga con il comunalismo libertario e l’USZ confluisce nella costituzione della FMB – Federazione Municipale di Base, struttura tutt’oggi operante nel sociale che mette in atto la prassi dell’autogoverno.
Facendo capo alle teorie libertarie, infatti, la Spezzano di oggi non è più solo la Spezzano dei potenti e degli amministratori comunali ma anche la Spezzano del popolo, delle fasce sociali subalterne: complessivamente è la Spezzano di un esperienza, se non proprio di autogoverno generalizzato, di un forte contropotere e del federalismo dal basso. Un azione di intervento sul territorio che ha coinvolto che ha portato alla formazione di comitati di lavoratori, disoccupati, studenti, pensionati, di quartiere che hanno ridato voce a Piazza Matteotti, storica piazza dei comizi e delle manifestazioni politiche e sociali della comunità.
La Federazione Municipale di Base è riuscita, in questi anni, a diventare un momento assembleare con cui, volenti o nolenti, gli amministratori comunale hanno dovuto confrontarsi. La Federazione Municipale di Base è riuscito ad evitare decisioni speculative sul luogo di costruzione del nuovo Liceo cittadino, ha influito continuamente sulle decisioni riguardanti il bilancio comunale, le Terme (Spezzano è una città termale), il piano regolatore e le questioni ambientali. Su quest’ultimo punto le sue lotte hanno impedito che fosse costruito in località Scalo una fabbrica di decoinbentazione dei vagoni ferroviari in amianto e nel 2008 la costruzione di un depuratore di rifiuti speciali. La Federezione Municipale di Base si batte per una gestione alternativa ed autogestionaria dello smaltimento dei rifiuti e delle fonti di energia naturale: per la raccolta differenziata di plastica, carta, vetro, umido, per le isole ecologiche, per il solare e l’eolico; è la Spezzano della lotta contro l’inquinamento elettromagnetico che ha impedito la installazione dell’antenna Omnitel in località Strogalia; è la Spezzano che continua a battersi oggi per la rimozione del mostro Telecom sito nel bel mezzo del paese e contro l’installazione dell’inceneritore in località Fedula del limitrofo paese di San Lorenzo del Vallo. Nel tempo, la Federazione Municipale di Base ha poi coagulato intorno a sé la formazione di numerose associazioni e cooperative che hanno dato vita a numerosi luoghi di aggregazione cittadina.
Un’esperienza limitata nello spazio ma che mostra come le realtà maggiori di cui parleremo non sono fuori dalla portata di un gruppo militante deciso e con un minimo di sostegno popolare – il quale, comunque, è andato costituendosi nel tempo ed è stato proprio il risultato delle azioni messe in campo in direzione municipalista e libertaria. Poi, è la più antica delle storie che possiamo raccontare da quando il concetto di municipalismo libertario è nato.
Chiapas, America Centrale
Il 1° novembre del 1983, da un villaggio del Chiapas, Oventik, prende forma il movimento di autodeterminazione delle popolazioni indigene, e dopo poco l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Crediamo che nessuno dei partecipanti a quell’esperienza potesse aspettarsi di divenire punto di riferimento effettivo non solo per i processi di autodeterminazione delle popolazioni del Chiapas e, magari, generalmente centro e sudamericane, ma per l’intero pianeta. Come icasticamente nota Andrea Cegna su Il Manifesto del 7 novembre 2018, “Nel novembre 1983 gli indios venivano insultati per strada. Grazie alla rivoluzione zapatista oggi si autogovernano.”
Per molto tempo, l’attività dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale rimane nascosta ed è volta ad acquisire consenso e costruire la rete militante. Un’impresa non facile per uomini che, proveniendo ideologicamente dal maoismo, hanno iniziato un processo di revisione critica delle loro tesi, un processo che li ha portati molto lontani e che il riferimento all’anarcosindacalista Emiliano Zapata ma anche agli anarchici fratelli Magon in qualche modo ha reso esplicito. Poi, il 1° gennaio del 1994, l’insurrezione dell’EZLN, lungamente preparata, si impone all’attenzione del mondo.
Da quel giorno ad oggi l’EZLN è riuscito a costruire e mantenere in vita cinque Caracol, cinque strutture di autogoverno delle comunità indie (La Realidad, Oventik, La Garrucha, Morelia e Roberto Barrios). In questi luoghi, tramite forme di democrazia diretta, uomini e donne (queste con un grado di libertà e di iniziativa ben maggiore rispetto al passato prezapatista) organizzano sanità, giustizia, istruzione, commercio, le questioni del territorio…
Certo non sono tutte rose e fiori: le contraddizioni con il fatto di dover vivere immersi si fanno sentire da sempre ed anche una realtà come questa soffre del problema del ricambio generazionale e della necessità di coinvolgere le giovani generazioni in un processo che non hanno vissuto. Questo però non deve far dimentica che si tratta di oltre 50mila persone che vivono protetti dall’EZLN – per quanto può – dal governo centrale. Secondo Raul Zibechi citato da Cegna “l’insieme di costruzioni (scuole, cliniche e ospedali, produzione collettiva e cooperativa, banche solidali e molto altro) sta tessendo una società altra all’interno della società capitalista, il che mostra anche un nuovo percorso, che nessun movimento aveva praticato finora, per così tanto tempo e con così tanta forza”.
Rojawa, Vicino Oriente
Più recente – può farsi risalire simbolicamente ai tempi dell’assedio di Kobanê nel settembre del 2014 – è l’esperienza del Rojava che, da un lato, somiglia inizialmente all’esperienza del Chiapas con un gruppo inizialmente marxista-leninista che si sposta su posizioni socialiste libertarie, dall’altro è forse ancora più radicale e radicato e, soprattutto, coinvolge un numero cento volte maggiore di esseri umani ed in continuo aumento.
Nonostante il brutale conflitto in corso, il Rojava curdo-siriano sta consapevolmente sperimentando forme di democrazia diretta in grado di proporre a un Medio Oriente martoriato un modello di società antagonista sia ai regimi dittatoriali alla Assad sia ai regimi teocratici alla ISIS. Rifacendosi al confederalismo democratico elaborato dal leader curdo Abdullah Òcalan, detenuto in un carcere turco dal 1999, la popolazione del Rojava ha iniziato ad autogovernarsi attraverso una rete di assemblee e consigli in cui vengono decisi aspetti cruciali della vita sociale come l’autodifesa militare e l’amministrazione della giustizia. Questa visione non-statale dell’organizzazione sociale, fortemente influenzata dal municipalismo libertario di Murray Bookchin che viene esplicitamente citato come punto di riferimento teorico, si rivela rivoluzionaria anche per il contributo fondamentale delle donne, che partendo dalla critica della disparità uomo/donna sono arrivate a identificare nello Stato il principio organizzatore da abbattere. Si viene così a delineare una democrazia senza Stato del tutto sperimentale che può diventare un modello sociale esportabile in tutto il mondo. Su queste pagine di Umanità Nova abbiamo ripetutamente parlato di quest’esperienza: ci limiteremo qui a ricordare poche cose essenziali, traendola da un’intervista ad un membro di Solidaridad Kurdistan che descrive il Confederalismo Democratico, il termine con cui i militanti del Rojava descrivono la forma di società che hanno costruito.
Questo sistema non persegue la creazione di uno stato-nazione curdo, bensì la creazione di una nazione democratica, la cui base è la società civile organizzata autonomamente in forma democratica, il cui centro di autogestione politica sono le assemblee delle comunità e dei consigli aperti locali, retti con la democrazia diretta. Questi, liberamente confederati e riuniti in congressi generali, con funzioni di coordinamento, andranno a costituire la nazione democratica del Kurdistan. In ambito economico il Confederalismo Democratico persegue un sistema che permetta tanto la giusta distribuzione delle risorse quanto la tutela dell’ambiente, per cui si supera il capitalismo, verso un socialismo democratico in cui le risorse appartengono al popolo e l’economia è indirizzata al bene sociale e non verso l’accumulazione del capitale e verso il consumismo, cause tanto delle ingiustizie sociali quanto delle grandi violenze fatte all’ambiente naturale. La liberazione della donna è un altro pilastro del Confederalismo Democratico, con cui si cerca di creare una società libera dal sessismo, sia quello che proviene dalla tradizionale società patriarcale o dalle interpretazioni religiose sessiste, sia quello che promana dalla mercificazione della donna per la modernità capitalista.
Exarcheia, Attica
Una sorta di esperienza di (quasi) autogoverno cittadino caratterizzato in senso anarchico, una sorta di Spezzano in grande, esiste da molti anni in un quartiere di Atene entrato proprio per questo anche nelle guide turistiche per la sua particolarità: Exarcheia. Una particolarità che il nuovo governo greco sta cercando di estirpare, ma il quartiere resiste ed ha ricevuto un appoggio internazionale: per le iniziative messe in campo dalla Federazione Anarchica Italiana e dall’Internazionale delle Federazioni Anarchiche e documentate per l’Italia sul numero 26 di Umanità Nova di quest’anno abbiamo ricevuto una lettera di stima e ringraziamento che pubblichiamo in queste stesse pagine.
Exarcheia, infatti, non è solo muri dipinti e tappezzati di tag e locandine, è anche un numero enorme di luoghi di ritrovo e di aggregazione sociale, centri sociali e spazi occupati, che promuovono attività sociali, culturali e sportive accessibili a tutti, mettono spazi e fanno iniziative a supporto degli immigrati e delle persone in difficoltà, incontri e dibattiti su temi sociali e politici, cinema d’essai, feste sui tetti o concerti con ingresso gratuito, locali underground in cui suonano band locali e internazionali della scena punk hardcore, negozi di vinili e di oggettistica vintage e tante, tantissime librerie. Soprattutto interessante è la presenza di una rete di mutuo soccorso di cui l’assistenza ai migranti è solo un aspetto, l’ultimo che è stato messo in piedi: il lavoro di mutuo soccorso, specialmente sanitario, si è formato molto prima, quanto meno dagli anni della crisi del 2008. L’assistenza ai migranti è stato un naturale sbocco, da parte che chi crede che gli esseri umani siano tutti uguali, nella solidarietà come valore fondante e disconosce le frontiere, delle attività già precedentemente messe in piedi per singoli e famiglie ridotte all’indigenza.
Redazionale