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12 giugno. Marcia popolare Notav. Primavera di lotta

12 giugno. Marcia popolare Notav. Primavera di lotta

In questi mesi la nuova linea ad alta velocità tra Torino e Lyon, dopo un lungo periodo di stasi, ha avuto una serie di brusche accelerazioni. Dalla scorsa estate il cantiere in Clarea si è esteso a più riprese per realizzare alcune opere accessorie. In quell’area è stato da anni terminato il tunnel geognostico di sei chilometri e mezzo. Il tunnel dovrà essere trasformato in galleria di servizio per la nuova super talpa che scaverà il tunnel di base partendo dal cuore della montagna.
La scelta iniziale di far partire il tunnel da Susa è stata abbandonata per ragioni squisitamente politiche, per evitare di costruire un cantiere enorme, accelerando su espropri di case e terreni, che avrebbe potuto innescare le proteste della popolazione locale, specie nella frazione San Giuliano.
In gennaio gli appalti per la realizzazione delle nicchie di interscambio per i mezzi sono stati assegnati alle ditte Salini e Vinci, due colossi del cemento e del tondino in Francia e in Italia.
Nell’area dei Mulini di Clarea resiste un presidio di monitoraggio del cantiere, in alcune occasioni luogo di organizzazione di azioni di disturbo, nonostante la militarizzazione renda spesso quasi impossibile raggiungerlo.
Il governo Draghi, impegnato ad aggiudicarsi la propria fetta di recovery fund, ha puntato anche sulle grandi opere, per far ripartire la macchina che garantisce profitti privati con soldi pubblici. Nulla di nuovo sotto il sole: le linee ad alta velocità hanno rappresentato, dopo l’eruzione del vulcano tangentopoli, un ampio e ramificato sistema di drenaggio di risorse pubbliche per regalare ampi margini di profitto alle imprese private vicine ai governanti di turno.
Il governo Draghi, ha offerto nuovi strumenti di accelerazione e semplificazione delle procedure autorizzative, oltre a quelli già esistenti, come l’assegnazione dei lavori ad un unico general contractor e la legge obiettivo che permette alle opere considerate “strategiche” procedure più snelle e veloci per questioni cruciali come la VIA, la valutazione di impatto ambientale. Un buon modo per moltiplicare incidenti sul lavoro, rischi idrogeologici, devastazione e inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo.
A fine aprile il governo Draghi ha scoperto le carte. La montagna di soldi del recovery fund
non verrà usata per rendere le nostre vite meno precarie con investimenti nella sanità, nella scuola, nei trasporti pubblici, nella messa in sicurezza dei territori ma per foraggiare le imprese, soffocando ancor più nel cemento l’ambiente.
L’Italia ha a disposizione 191,5 miliardi di euro di cui 69 miliardi a fondo perduto e 122 miliardi in forma di prestiti, più 30 miliardi del fondo di accompagnamento al PNRR,
il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Sono tanti i regali del governo ai signori del cemento e del tondino. I soldi del recovery vanno spesi entro il 2026, quindi Draghi pigia l’acceleratore.
I frutti della fretta
del drago sono tutti avvelenati: verrà sospeso il sistema degli appalti, per passare alla trattativa diretta. Le procedure autorizzative di un’opera potranno essere eluse, perché il governo avoca a sè il potere di autorizzarla.
Per il trattamento dei rifiuti, compresi quelli pericolosi, basterà un’autocertificazione, per
sottrarsi ai passaggi e ai controlli previsti. Con buona pace delle chiacchiere sull’ambiente, il clima, la qualità di aria e acqua, la “transizione ecologica” è solo un altro buon affare dipinto di verde.
L’accelerazione impressa all’avanzare dei cantieri in Val Susa è il segno che il governo intente mettere il turbo anche su questo fronte, in un crescendo di violenza ed occupazione militare del territorio, che spera sia di monito a tutte le popolazioni che in questi anni si sono battute contro discariche, inceneritori, megainfrastrutture, grandi navi, etc…
È di questi giorni l’ultima mossa del governo per la Torino Lyon. La tratta nazionale sinora era esclusa dai finanziamenti europei, che sono garantiti solo per le opere transfrontaliere.
Il governo di Mario Draghi ha deciso di sbloccare la realizzazione della tratta nazionale. L’Italia parteciperà al bando europeo che mette a disposizione risorse aggiuntive per le tratte di accesso dei singoli paesi a infrastrutture di collegamento infra-europeo. Nella riunione preparatoria della Conferenza intergovernativa (CIG), che si svolgerà il 14 giugno a Chambery, in Francia, verranno rese note le modalità del bando.
Alla Conferenza intergovernativa parteciperanno i rappresentanti di Italia, Francia e Unione Europea. La cifra che l’Italia potrebbe ottenere con il bando europeo potrebbe arrivare a 750 milioni di euro. La conseguenza di questa mossa potrebbe essere l’apertura di cantieri Tav sulla collina morenica e in bassa valle.
Il governo vuole, costi quel che costi, imporre con la forza la realizzazione di una nuova linea ferroviaria inutile, costosissima, nociva per la salute e il territorio.
In ballo c’è molto più di un treno. In ballo c’è la necessità di piegare e disciplinare un movimento che lotta da 30 anni. Nel 2005 un’insurrezione popolare fermò un progetto ormai entrato nella fase esecutiva.
Il governo usò la forza, occupò militarmente il territorio, sgomberò con la violenza le barricate della Libera Repubblica di Venaus ma fu obbligato a fare marcia indietro. Il governo capì che la valle era ormai divenuta ingovernabile, che la gente avrebbe moltiplicato blocchi e barricate. In quel dicembre nessuno era disposto a tornare indietro, tutti erano protagonisti. L’eco di quanto avveniva in valle attraversò la penisola, suscitando indignazione e simpatia.
Nel 2011, dopo anni di melina, consapevole di aver riportato all’ovile solo qualche politico a caccia di poltrone, il governo decise di usare nuovamente la forza. Non si fece prendere alla sprovvista: l’avanzata delle truppe di occupazione fu lentissima ma inesorabile, in un continuo crescendo di violenza e repressione. La danza dei manganelli e dei lacrimogeni e il tintinnare di manette sono stati la cifra di questi ultimi dieci anni.
La realizzazione della nuova linea ad alta velocità ferroviaria, che consegnerà la Val Susa al destino di corridoio logistico per le merci, è ormai giunta al momento dell’apertura dei cantieri. Siamo prossimi al punto di non ritorno.
La vita degli abitanti cambierà per sempre. Camion carichi di smarino e polveri d’amianto percorreranno la valle a est come a ovest, mettendo a repentaglio la salute di tutti. Il deposito dello smarino, ossia il materiale di scavo della galleria, altamente nocivo, dopo il sequestro di parte del sito di Salbertrand, dove è stata riconosciuta la presenza di amianto proveniente dalle opere di realizzazione dell’autostrada A32, terminata nel 1995, verrà scaricato a Susa. La pericolosità di una simile discarica e del continuo trasporto di terra e fanghi è evidente: basta una folata di vento per disperdere in aria particelle, che anche in dimensioni minuscole possono provocare tumori gravissimi come il mesotelioma pleurico.
A metà aprile il governo, profittando degli ultimi giorni di zona rossa, ha attaccato il presidio di San Didero, nato nel dicembre del 2020 in vista dell’avvio dei lavori per la realizzazione del nuovo autoporto in un area tra la statale 25 e l’autostrada, non lontana dalla ferrovia e dall’ex acciaieria Beltrame. Lo sgombero è stato molto violento, perché il governo non ha cercato di aprire un cantiere ma di costruire un fortino militarizzato con doppia recinzione, jersey di cemento e acciaio, guardie armate, illuminazione da stadio, guardie armate.
Per giorni la polizia ha attaccato con grande dispiegamento di forze i No Tav che tentavano di avvicinarsi al cantiere. Il 17 aprile, dopo una marcia popolare che ha attraversato San Didero, Bruzolo e San Giorio, durante un’azione serale di disturbo, uno dei tanti lacrimogeni sparati ad altezza di persona ha colpito al volto un’attivista pisana, finita all’ospedale con la faccia fracassata.
Il nuovo autoporto è una delle opere accessorie alla realizzazione della linea ad alta velocità perché, per far posto a cantiere e discarica, verrà demolito l’autoporto di Susa. Non è però solo questo. L’autoporto di San Didero sarà molto più ampio di quello esistente, segno che lo scambio modale tra la gomma e il ferro è solo parte di una retorica “ambientalista” per giustificare il Tav. Se fosse vero che la nuova ferrovia sarebbe funzionale alla riduzione dei TIR in autostrada, a cosa servirebbe un autoporto più grande per il parcheggio dei grandi mezzi?
Da aprile, il dispositivo militare, dopo l’invasione di San Didero, investe anche zone densamente abitate. La lucida profezia fatta 30 anni fa dal movimento No Tav rischia di trasformarsi in dura realtà.
L’imposizione violenta dei nuovi cantieri non è l’unico pericolo. L’insidia maggiore è che riemerga l’illusione della delega, nonostante buona parte del movimento si sia vaccinata dopo l’ampia infezione a 5stelle.
La delega istituzionale rilegittima la macchina di chi si arroga il diritto di decidere per noi, di chi giocherà la sua partita ad un tavolo dove il banco vince e prende sempre tutto. Per prima la nostra libertà.
In questi anni liste civiche, referendum, giochi elettorali hanno inghiottito enormi energie, senza alcun risultato se non quello di allontanare ancora di più le persone dall’impegno diretto, dall’azione sul territorio, dal confronto sulle strategie per mettere in difficoltà l’avversario.
In questi due mesi di di lotta a San Didero il movimento sta ritornando con numeri importanti, anche se lontani da quelli di un tempo, sul terreno dell’azione diretta.
La partita che si gioca in Val Susa va ben oltre il treno. Se fosse stata solo una storia di treni sarebbe già finita da un pezzo. In ballo c’è la decisione di essere protagonisti delle scelte che riguardano la propria vita e il territorio dove si è scelto di vivere. C’è chi chiama tutto questo democrazia. Noi non lo facciamo, perché sappiamo bene cosa sia la democrazia reale: un mero sistema di ricambio delle élite al potere, che costitutivamente tiene tutti lontani dai luoghi dove si decide.
Tante volte la grande favola della democrazia si è sciolta come neve al sole. Ogni volta che libertà, solidarietà, uguaglianza vengono intese e praticate nella loro costitutiva, radicale alterità con un assetto sociale basato sul dominio, la diseguaglianza, lo sfruttamento, la competizione più feroce, la democrazia mostra il suo vero volto.
La democrazia reale ammette il dissenso, purché resti opinione ineffettuale, mero esercizio di eloquenza, semplice gioco di parola. Se il dissenso diviene attivo, se si fa azione diretta, se rischia di far saltare le regole di un gioco feroce, la democrazia si fa discorso del potere che nega legittimità ad ogni parola altra. Ad ogni ordine che spezzi quello attuale.
Il governo ha giocato la carta della paura per tenere lontane le persone da San Didero. Non ci sono riusciti. I No Tav non sono disposti a ridursi a mero movimento di testimonianza e continuano a mettersi di mezzo.
Sarebbe importante riuscire ad inceppare il nuovo cantiere fortino, prima che riesca a consolidarsi, prima che si aprano nuovi fronti, prima che la rassegnazione prevalga sull’indignazione.
Il 12 giugno è stata lanciata una marcia No Tav da Bussoleno a San Didero. Sarà una marcia popolare, preparata dalle numerose assemblee che si stanno svolgendo in valle, sarà un’occasione cruciale per dimostrare che l’opposizione al Tav è forte e radicata. Di questi tempi una scommessa cruciale. Al corteo, che partirà alle 14 da Bussoleno, la FAT ha promosso uno spezzone anarchico. Vi aspettiamo in tant*!

Ma. Ma.

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