Piazza Fontana e dintorni

downloadLa furia della bestia umana” è il titolo che appare sulla prima pagina del Corriere d’Informazione di Milano il 17 dicembre 1969, dopo che il tassista Cornelio Rolandi dichiara alla polizia di aver riconosciuto nell’anarchico Pietro Valpreda il passeggero che ha chiesto di essere accompagnato in Piazza Fontana, nei pressi della Banca Nazionale dell’Agricoltura, il pomeriggio del 12 dicembre. Quel pomeriggio una bomba scoppia nel salone centrale della banca milanese provocando sedici morti e un centinaio di feriti. La polizia, pur dichiarando che le indagini sono svolte in tutte le direzioni, privilegia la pista anarchica e fra i fermati c’è anche il ferroviere Giuseppe Pinelli, uno degli anarchici più in vista di Milano, che nella notte fra il 15 e il 16 dicembre cade dal quarto piano della questura e muore poco dopo il suo arrivo in ospedale. Gli inquirenti si affrettano a dichiarare che si tratta di suicidio. Dopo aver appreso dai poliziotti la falsa notizia della confessione di Valpreda, Pinelli, dichiarando ormai la fine dell’anarchia, si getta nel vuoto. Questa è una delle versioni fornite dagli organi statali, mentre l’altra espressa dalla magistratura qualche tempo dopo vorrebbe l’anarchico caduto dalla finestra della questura per un “malore attivo”. Tuttavia rimane ancor oggi il sospetto che sia stato ucciso perché avrebbe scoperto, durante la sua detenzione, le trame imbastite all’interno delle istituzioni per attribuire agli anarchici la responsabilità di atti commessi in realtà da altri.

Già allora all’interno del movimento anarchico italiano era forte la convinzione che questa “strategia della tensione” non fosse diretta a colpire solo le realtà anarchiche specifiche, ma anche quella parte del movimento operaio e studentesco che non seguiva l’azione moderata dei partiti e dei sindacati, che stava prendendo coscienza di sé e pretendeva gestire autonomamente le proprie lotte. In un documento elaborato in un convegno del movimento anarchico italiano tenutosi a Carrara il 24 luglio 1971 si sviluppa infatti questa tesi, sottolineando che questa manovra aveva lo scopo di «preparare e giustificare un radicale spostamento a destra dell’asse politico italiano, da realizzare in nome del ristabilimento dell’ordine».(1) Nonostante l’appoggio iniziale della media e grande borghesia, non sono stati raggiunti gli obiettivi principali (stato forte, repubblica presidenziale, colpo di stato fascista), ma ci si è accontentati di atti di repressione volti a colpire il movimento antagonista. La strage di Piazza Fontana non è l’inizio di questa manovra: il 25 aprile precedente scoppiano, sempre a Milano, due bombe, una al padiglione Fiat della fiera e una all’ufficio cambi della stazione centrale delle ferrovie dello stato, provocando alcuni feriti, ma nessun morto. Le indagini vengono indirizzate verso gli ambienti anarchici e sono fermati Giovanni Corradini e Eliane Vincileone, scarcerati dopo sette mesi per assoluta mancanza di indizi, insieme a Paolo Braschi, Paolo Faccioli, Angelo Della Savia e Tito Pulsinelli, che rimangono detenuti. Il processo dei quattro anarchici si celebra dopo due anni e il 28 maggio 1971 vengono assolti per l’imputazione principale, ma condannati per alcuni reati minori, ad esclusione di Tito Pulsinelli, assolto con formula piena; tutti e quattro, comunque, escono dal carcere.

Il 9 agosto 1969 dieci bombe vengono messe su altrettanti treni e otto esplodono provocando dodici feriti. Viene sospettato dell’azione Giuseppe Pinelli per il solo fatto di essere un ferroviere, ma la pratica viene archiviata perché egli può dimostrare la sua completa estraneità. Il 7 dicembre 1969 due giornali inglesi, The Guardian e The Observer, pubblicano il rapporto segreto del ministro degli esteri greco alla propria ambasciata a Roma rivelando che gli attentati del 25 aprile sono stati progettati dal governo greco e messi in atto da fascisti italiani. Il rapporto ha una vasta eco su tutta la stampa internazionale, ma non viene preso in considerazione dal giudice istruttore del processo agli anarchici e rifiuta perfino di allegarlo agli atti. A commento del comportamento del giudice, il documento del luglio 1971 che abbiamo sopra citato fa osservare che «pubblico ministero e tribunale hanno fatto il possibile per arginare lo scandalo….Sono riusciti a mantenere in piedi quel poco che gli consentisse di emettere tre condanne per reati minori, per salvare la sostanza politica delle montature, evitare l’incriminazione dei magistrati e degli sbirri che l’hanno messa in atto, ma soprattutto per insinuare nell’opinione pubblica il dubbio che effettivamente gli anarchici sono dei dinamitardi e far passare così la montatura ordita contro i compagni per la strage di stato».(2)

Alla vigilia dei tragici avvenimenti del 12 dicembre c’è un grande fermento negli ambienti militari e dei servizi segreti che, come si saprà in seguito, spostano alcuni loro dirigenti a Milano. Il settimanale Epoca, sempre ben informato, fa rilevare che in caso di necessità «le forze armate potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità». Con questo clima si giunge quindi al giorno fatidico in cui, oltre alla bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, ne viene trovata una ancora intatta alla filiale milanese della Banca Commerciale Italiana e ne esplodono a Roma altre tre, una alla Banca Nazionale del Lavoro, che provoca quattordici feriti, e due all’Altare della Patria in Piazza Venezia con un bilancio di quattro feriti. Nella serata dello stesso giorno a Roma vengono distribuiti volantini, evidentemente ispirati dagli organi polizieschi, che indicano senza ombra di dubbio nei “terroristi anarchici” gli autori della strage, così da giustificare l’orientamento che prenderanno subito le indagini con le retate e gli arresti di numerosi libertari. Ma indagini parallele iniziate da giudici non allineati alle direttive governative fanno emergere il coinvolgimento di ambienti di destra nella ispirazione e nell’esecuzione della strage, cosicché negli anni successivi, quando si svolgono i processi, sul banco degli imputati saranno presenti, insieme agli anarchici, anche esponenti di destra. In questa sede, a causa della ristrettezza dello spazio, non possiamo riferire nei dettagli la cronaca giudiziaria avvenuta negli anni successivi, ma la bibliografia che appare in calce può essere utile per approfondire l’argomento. Tuttavia non possiamo fare a meno di osservare che lo stato, attraverso la propria magistratura giudicante, di fronte alla assoluta mancanza di prove, è stato costretto a riconoscere che gli anarchici sono risultati estranei a quei drammatici fatti del 12 dicembre 1969.

Italino Rossi

Note:

  1. Supplemento a Umanità Nova,anno 51°, n. 35 del 20 ottobre 1971, p. 3;

  2. Ivi, p. 6.

Bibliografia essenziale:

Silvana Mazzocchi, Piazza Fontana la strage infinita, La Repubblica, 2 e 3 dicembre 1999;

AA.VV. Piazza Fontana 43 anni dopo, Milano, Mimesis, 2012;

AA.VV. Piazza Fontana noi sapevamo, Roma, Aliberti, 2010;

Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, Firenze, Ponte all Grazie, 2009;

Carlo Lucarelli, Piazza Fontana, Torino, Einaudi, 2007;

Luciano Lanza, Bombe e segreti, Milano, Eleuthera, 1997;

Croce Nera Anarchica, Le bombe dei padroni, Ragusa, La Fiaccola, 1989;

Camilla Cederna, Pinelli una finestra sulla strage, Milano, Feltrinelli, 1972;

Marcello Del Bosco, Da Pinelli a Valpreda, Roma, Editori Riuniti, 1972;

Marco Fini e Andrea Barberi, Valpreda processo al processo, Milano, Feltrinelli, 1972;

Marco Sassano, Pinelli un suicidio di stato, Padova, Marsilio, 1971;

Vincenzo Nardella, Noi accusiamo, Milano, Jaca Book, 1971;


La strage di stato, Controinchiesta, Roma, Samonà e Savelli, 1970.

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