Il piano del capitale è stato esposto chiaramente da Vincenzo Boccia, presidente della Confindustria, in un intervento tenuto domenica 21 agosto a Rimini. I punti sono semplici: no agli aumenti contrattuali nel pubblico impiego, politica dell’offerta, quindi più produttività e più investimenti, detassazione dei premi di produttività, contrattazione aziendale. Si tratta di un piano ben articolato su cui Confindustria, per bocca del suo presidente, chiede l’impegno del governo; in cambio offre il suo appoggio nella campagna referendaria per la riforma della costituzione.
Leggi e accordi recenti consolidano questo piano del capitale: sono ormai molti mesi che, con il beneplacito del Governo, CGIL, CISL e UIL insieme a Confindustria discutono sul nuovo modello contrattuale, per mettere una pietra tombale sul contratto nazionale. Il recente accordo sull’igiene ambientale segna altri passi indietro del movimento dei lavoratori: non solo sul piano del salario, con aumenti irrisori, ma sul piano della tutela della salute, dell’orario di lavoro, dei diritti sindacali.
Il governo, intanto, studia l’ipotesi di introdurre di nuovo, con la prossima legge di stabilità, la riduzione dell’IRPEF al 10% sul salario di produttività, fino ad un massimo di 2.000 euro ed a fronte di un reddito complessivo annuo fino a 50.000 euro, legati espressamente all’aumento della produttività.
Il discorso di Boccia quindi elenca solo dei punti su cui Confindustria si sta già muovendo, con la piena collaborazione del Governo. Il riferimento più attuale la decisa presa di posizione contro gli aumenti contrattuali nel pubblico impiego: di fronte ad una manovra da 25 miliardi, ha detto Boccia, se se ne mettono 7 per il contratto del pubblico impiego, è facile dare il via all’assalto alla diligenza. Gli stanziamenti in più devono essere tutti per l’industria e la produttività; mettendo così un punto fermo alla ridda di voci che il Governo aveva lasciato trapelare, probabilmente per evitare la sollevazione dei lavoratori pubblici.
Più interessante è il quadro generale delineato dal discorso di Boccia: la mano invisibile, il libero mercato, lo Stato minimo spariscono, di fronte al richiamo alla difesa del profitto, dell’accumulazione capitalistica, della proprietà privata; questo si può fare solo aumentando la miseria e la tortura del lavoro per la stragrande maggioranza della popolazione. Ecco perché il rappresentante della élite economica, della piccola minoranza di sfruttatori, fa appello all’élite politica, al vertice istituzionale perché lo Stato rispetti il suo primo compito: tutelare l’ordinamento economico costituito.
Il presidente della Confindustria sa benissimo di rappresentare una piccola minoranza di sfruttatori, sa benissimo che la sua politica provoca il peggioramento delle condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione. Così vuole portare a casa il massimo vantaggio prima che la classe operaia e il movimento dei lavoratori ritrovino la loro unità nella lotta, prima che tutti gli strati oppressi e sfruttati di questa società si coalizzino attorno al proletariato. Allora si accantonano tutte le chiacchiere sulla concorrenza, sulla libertà economica e si ricorre alla centralizzazione, ad un piano autoritario che, attraverso il Governo, imponga nuove regole al mercato del lavoro. Ecco la pianificazione che piace ai capitalisti.
Ma anche i piani più accurati possono fallire. In questi anni capitalisti, banchieri, governo e sindacati traditori hanno avuto campo libero: il risultato è un disastro sociale mai visto! La propaganda capitalista sulla produttività, la competitività, i sacrifici può essere battuta smascherando le menzogne che vengono propagate, il piano del capitale e del Governo può essere sconfitto dall’unità e dall’autonomia del movimento dei lavoratori.
Gli anarchici, lavoratori fra lavoratori, incoraggiano alla lotta. È l’educazione pratica della lotta che insegna ai lavoratori ad occuparsi dei propri interessi di classe, che insegna come essi hanno interessi comuni fra loro e contrapposti a quelli dei padroni, dei banchieri, del Governo, che non possono emanciparsi o anche solo migliorare le loro condizioni se non unendosi e diventando più forti dei padroni. Così si sviluppa nei lavoratori il senso di ribellione contro le ingiuste e inutili sofferenze di cui son vittime, ed il desiderio di migliorare le loro condizioni.
La lotta economica è necessaria, fondamentale, ma non è sufficiente. L’aumento del reddito, la riduzione dell’orario di lavoro, la difesa della salute e delle libertà sindacali non sono sufficienti a ribaltare il disastro sociale provocato dalla logica del profitto. Il profitto individuale è lo scopo del processo di produzione capitalistico, sia come obiettivo collettivo, sia come obiettivo individuale di ogni capitalista, che in vista di esso organizza la produzione dell’azienda di cui è proprietario. L’interesse collettivo, i bisogni dei lavoratori e dei ceti popolari sono estranei agli obiettivi della produzione sociale organizzata in modo capitalistico.
Occorre contrapporre al piano del capitale il piano del proletariato, un piano che accanto al miglioramento delle condizioni dei lavoratori, metta al centro la produzione dei beni e servizi collettivi (la sanità, l’educazione, ecc.). Spetta ad ogni struttura sindacale, ad ogni organismo di base, ambientale culturale, sociale, porre accanto agli obiettivi immediati, la prospettiva dell’esproprio e della gestione collettiva dei mezzi di produzione, del collegamento con organismi dello stesso settore e dello stesso territorio per organizzare, assieme alla produzione, la distribuzione e il consumo, senza mercato, senza padroni, senza organismi centrali.
È possibile questo? È già successo, in Russia, nel 1917, prima che i soviet venissero messi sotto il controllo del partito bolscevico, in Spagna, nel 1936, ed in generale in ogni paese, in ogni città, in ogni territorio in cui i lavoratori hanno conquistato la possibilità di decidere sui propri destini.
Tiziano Antonelli