Numerose le attestazioni di stima giunte alla memoria di Pepe Mujica da gran parte della sinistra sia in Italia che altrove, anche se c’è chi si chiede che cosa Mujica abbia fatto per meritarsi tanti elogi.
Per capirne di più vediamo di ripercorrere le tappe della sua intensa vita.
José Mujica Cordano, nato nel 1935, è stato un militante rivoluzionario appartenente al Movimiento de Liberación Nacional (MLN) Tupamaros, un movimento di guerriglia che aveva come obiettivo la realizzazione di una trasformazione sociale ad orientamento socialista. Fondato nel 1963, con a capo Raul Sendic Antonaccio, l’MLN-Tupamaros, in un contesto di grave crisi economica e sociale, si caratterizzò per l’azione armata tesa a distribuire i proventi dei suoi espropri e dei suoi sequestri tra i quartieri poveri di Montevideo (il New York Times arrivò a paragonarli a Robin Hood), oltre che a sostenere i costi della clandestinità.
In una situazione di crescente instabilità politica e a fronte di un’insorgenza sociale sempre più forte, sostenuta dall’insieme delle forze sindacali e progressiste del paese
– tra le quali spiccava il ruolo della Federazione anarchica e della Resistencia obrera y estudiantil – la borghesia uruguaiana, forte dei risultati elettorali ottenuti nel novembre del 1971, passò all’offensiva. Prendendo lo spunto dall’esecuzione da parte dei Tupamaros di membri degli Squadroni della morte (le famigerate bande di assassini che uccidevano militanti sindacali e politici) lanciò l’offensiva contro di loro e tutta l’opposizione. La maggioranza dei componenti più esposti dell’MLN fu assassinata o arrestata; gran parte delle basi, dell’armamento, delle infrastrutture fu perso o sequestrato. La dirigenza optò allora per una tregua con il governo, il che non fermò l’ondata repressiva che si indirizzò direttamente contro il Frente Amplio e il movimento operaio e sindacale, con arresti e licenziamenti, che provocarono un’ondata di esodi verso la vicina Argentina. Il colpo finale arrivò nel luglio del 1973 con la decisione del presidente in carica Juan Maria Bordaberry, che si era caratterizzato per aver legittimato la tortura e la pratica delle ‘sparizioni’, di sciogliere il parlamento e di affidare il potere direttamente ai militari, i quali non persero tempo nella loro azione criminale e sanguinaria: anticipando i loro omologhi argentini fecero largo uso di arresti arbitrari, di carcerazioni ignote, di sparizioni.
Per quanto riguarda la dirigenza del MLN-Tupamaros, già imprigionata nella fase repressiva precedente, i militari le riservarono un trattamento ‘speciale’: i nove esponenti furono sottoposti non solo a torture ma anche ad una condizione carceraria inumana, da ‘sepolti vivi’, isolati, senza alcun contatto umano che non fosse quello coi loro torturatori, calati dentro pozzi ristretti, spesso incappucciati, con l’obiettivo di distruggerli fisicamente e psicologicamente.
Pepe Mujica era uno dei nove. Rimase in carcere per 12 anni, fino al 1985 quando, ristabilita la democrazia parlamentare, beneficiò, insieme agli altri guerriglieri, di un’amnistia.
Tornato alla vita politica, insieme ad altri ex dirigenti Tupamaros, abbandonò l’opzione guerrigliera per abbracciare il parlamentarismo. Diede vita al Movimento di Partecipazione Popolare (MPP) che si posizionò successivamente all’interno del Frente Amplio – un raggruppamento che comprende sostanzialmente socialisti, comunisti e democristiani. Eletto deputato nel 1994, senatore nel 1999, alle elezioni del 2004 portò il suo raggruppamento al primo posto tra le altre formazioni del Frente Amplio – che aveva vinto le elezioni – condizionandone così gli sviluppi. Nel 2005 è ministro dell’Allevamento (settore chiave dell’economia uruguaiana) e pur non brillando per le sue realizzazioni, diventa molto popolare per la sua vicinanza alla gente, il suo comportamento, le sue esternazioni. Nel 2009, vinte le primarie del Frente Amplio, diventa il candidato per le presidenziali dello stesso anno, vinte anch’esse con il 52% dei suffragi. Carica che ricopre fino al 2014. La sua presidenza si è caratterizzata soprattutto per modifiche e cambiamenti sul piano dei diritti e su quello culturale. Depenalizzazione dell’aborto, riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso genere, legalizzazione della marijuana, sono tra i principali risultati conseguiti.
Aveva promesso in campagna elettorale la riforma della struttura amministrativa dello Stato per avvicinarla ai cittadini, così come, con El Plan Juntos, di costruire case per i lavoratori e per le donne con figli a carico; cercò anche di trovare per questo la collaborazione volontaria dei militanti dei movimenti sociali, ma non riuscì nei suoi intenti. Operò anche per la scarcerazione e la detenzione domiciliare dei militari che avevano torturato, violentato, sequestrato bambini e bambine, assassinato militanti sindacali e politici di sinistra, ma si trovò di fronte la forte opposizione dei familiari degli scomparsi e di tanta gente comune e dovette retrocedere. Il suo ministro della difesa (Eleuterio Fernández Huidobro), anche lui con un passato di guerrigliero, non fece un granché per scavare nel passato e trovare indicazioni sui luoghi di sotterramento dei militanti desaparecidos o assassinati sotto tortura. Durante la sua presidenza dovette inoltre registrare alcuni casi di grave corruzione compiuti dal ministro dell’Economia e dal presidente del Banco de la Repubblica, tra gli altri.
Dopo una trattativa con Obama ospitò sei detenuti rilasciati da Guantanamo, ma il governo non seppe offrire loro mezzi significativi per lavorare e imparare la lingua.
In patria viene descritto come un lettore acuto della realtà in grado sempre di adattarsi alle circostanze della vita. Sicuramente i dodici anni passati senza vedere il sole, in solitudine, senza parlare con alcuno, hanno segnato la sua salute, ma lui non parlava mai delle sue sofferenze. Aveva il dono della parola, della comunicazione; come parlava con Soros o Rockefeller si relazionava con l’uomo senza casa che dorme per strada. La sua intelligenza si sposava spesso con la furbizia, per cogliere le opportunità che la politica era in grado di offrire ed è per questo che spesso dietro il suo modo di parlare c’era qualcosa d’altro da interpretare e decifrare: “come te digo una cosa te digo la otra” (come ti dico una cosa te ne dico un’altra) era una sua frase.
Il suo stile di vita essenziale, lontano da ogni forma di consumismo, il suo rifiuto della residenza e dello stipendio da presidente, ne hanno fatto un mito per molti che a sinistra perseguono un obiettivo di trasformazione sociale: un divo che voleva essere un antidivo.
Per alcuni era un anticapitalista in cerca di alternative. Sosteneva che le riforme servivano per i salari, la scuola, il vivere quotidiano ma quello che doveva cambiare, per lui, era la testa della gente.
Senza questo cambio le riforme avrebbero mostrato tutti i loro limiti. Nella realtà le sue politiche non hanno mai aggredito il capitale e l’economia di mercato, ma hanno offerto solo dei pannicelli caldi alla sofferenza proletaria. Rivisitando il progetto insurrezionale degli anni ’60 e perseguendo la liberazione dei militari assassini ha messo in realtà una pietra tombale su ogni possibilità di trasformazione rivoluzionaria che, per essere tale, deve necessariamente misurarsi con la distruzione dell’apparato statale e dell’ordine capitalistico. Durante la sua presidenza e il governo del Frente Amplio non c’è stata alcuna rottura dell’ordine imposto, basato sull’oppressione e lo sfruttamento, non c’è stato nessun blocco dell’estrattivismo che sta consumando l’Uruguay, nessuna pausa dell’azione repressiva dello Stato.
L’estetica della sua frugalità non deve ingannare soprattutto quando serve a legittimare il dominio. In buona sostanza, non ci facciamo abbagliare da presidenti poveri. Proprio perché non vogliamo presidenti.
Massimo Varengo (salutando Maria Narducci di Montevideo)