Oltre il nazionalismo con un lucido antimilitarismo

Intervista a Guillaume Davranche a cura dell’UCL Montreuil

Vicken Cheterian, insegnante e giornalista del settimanale armeno Agos, era a Yerevan a gennaio. Risponde alle domande di Alternative Libertaire sull’attuale crisi politica e discute le prospettive di un processo di pace e una soluzione politica tra Armenia e Azerbaigian.

Dalla sua sconfitta in Azerbaigian a novembre, dopo sei settimane di una guerra che ha provocato più di 3.000 morti per parte, l’Armenia è precipitata in una violenta crisi politica. Il primo ministro Nikol Pachinian, portato al potere nel 2018 da un movimento sociale anti-corruzione, è accusato di “tradimento” dai nazionalisti per aver firmato l’armistizio. Il personale dell’esercito, che da novembre ha rotto la neutralità, ha recentemente chiesto le sue dimissioni. Nelle strade, pro e anti-pachiniani manifestano a migliaia.

Alternative libertaire: Accusato di aver perso la guerra, minacciato di un colpo di stato militare, Nikol Pachinian rimarrà Primo Ministro? Chi chiede la sua destituzione e chi lo sostiene?

Vicken Cheterian: Dall’armistizio del 9 novembre, la situazione di Nikol Pachinian è stata precaria. L’opinione pubblica, mobilitata dallo sforzo bellico e non riuscendo a comprendere la portata del rovesciamento dei fatti da parte della propaganda, è rimasta scioccata dall’armistizio. Diversi territori precedentemente sotto il controllo armeno sono stati restituiti all’Azerbaigian, come Kelbadjar e Agdam. All’epoca, per protestare contro l’armistizio, il Parlamento fu preso d’assalto da militanti legati al “vecchio regime” ed ai circoli di governo scossi dalla rivolta popolare del 2018. Gli stessi che, oggi, sono a favore del fatto che l’esercito rovesci il primo ministro.

Pachinian, infatti, non è riuscito a tirare fuori il Paese dalla profonda crisi causata dalla sconfitta. Aveva quasi tre mesi per delineare una tabella di marcia invece di procrastinare, un passo avanti, due passi indietro. Dopo aver discusso di elezioni parlamentari anticipate, ha abbandonato l’idea affermando che, poiché l’opposizione non le voleva, non aveva senso convocarle. Lui e i suoi sostenitori hanno anche rifiutato categoricamente l’idea di dimettersi – persino per cedere il potere a un membro del suo gruppo – che probabilmente avrebbe placato la situazione. Il problema è che dopo aver escluso questi diversi scenari di uscita, Pachinian non è riuscito a trovare nient’altro. Va aggiunto che negli ultimi mesi ha irritato moltissimo vari circoli di potere, compreso il personale dell’esercito.

Detto questo, Pachinian gode ancora di un forte sostegno. Un sostegno attivo da parte dei gruppi a lui fedeli ma anche un appoggio passivo, più ampio, da parte della popolazione che non vuole il ritorno della “vecchia guardia”. Quanto ai gruppi di sinistra e antimilitaristi che conosco, chiedono elezioni parlamentari anticipate, per avere un parlamento che rifletta la situazione del dopoguerra.

Alternative libertaire: Come si posizionano i gruppi di sinistra e pacifisti rispetto a Pachinian?

Vicken Cheterian: Lo hanno sostenuto nei giorni in cui era un simbolo della lotta contro l’oligarchia. Dopo la sua ascesa al potere nel 2018, hanno preso le distanze per due motivi. Tanto per cominciare, il dossier Nagorno-Karabakh e Azerbaigian. Inizialmente, Pachinian ha tenuto un discorso pacifista e democratico, evocando la pace non solo tra i governi ma tra i popoli. Quindi, senza spiegazioni, ha preso una linea nazionalista dura, dicendo che non ci sarebbe stato alcun compromesso con Baku. Andando anche oltre, ha rimesso in discussione il quadro dei negoziati sul Karabakh, condotti per decenni sotto l’egida del gruppo di Minsk.[1] Questo voltafaccia è abbastanza difficile da spiegare. Sicuramente è stato fatto sotto la pressione dei circoli dominanti cacciati dalla rivolta del 2018, che hanno continuato ad accusare Pachinian di essere “antinazionale”, di voler ripristinare i territori occupati e di abbandonare il Nagorno-Karabakh. In ogni caso, non doveva adottare questa posizione nazionalista: molto popolare, com’era all’inizio del suo mandato non aveva bisogno di dimostrare di non essere “debole”. Eppure l’ha fatto.

La seconda ragione del disincanto dei gruppi di sinistra e pacifisti verso Pachinian è l’aborto delle riforme politiche ed economiche promesse. In assenza di un programma chiaro, il Primo Ministro si è accontentato di grandi discorsi populisti, fortemente venati di neoliberismo. Il minimo che possiamo dire è che ripetere queste antifone antiquate dopo tre decenni di riforme neoliberiste e capitalismo selvaggio non è stato, per un gruppo portato al potere dalla mobilitazione popolare, affatto convincente…

Alternative libertaire: Quando la crisi sarà finita, sarà possibile un processo di pace tra Armenia e Azerbaigian o la regione ricomincerà altri vent’anni di “tregua armata”?

Vicken Cheterian: Dopo le migliaia di vittime di questa guerra, l’opinione pubblica non è pronta per la pace. Ci vorrà molto tempo per sostituire la propaganda nazionalista con lucide argomentazioni antimilitariste. Uno di questi è che dopo queste due guerre Yerevan e Baku sono più deboli, la loro sovranità più limitata. L’Armenia è completamente dipendente dalla protezione militare russa, mentre l’Azerbaigian ha ora sul suo territorio soldati russi e turchi. Non sarebbe stato meglio negoziare piuttosto che combattere e provocare l’intervento diretto di eserciti stranieri?

Alternative libertaire: Cosa sostengono i pacifisti dei due paesi come soluzione politica?

Deve essere chiaro che i gruppi pacifisti, contro la guerra e antimilitaristi sono sempre stati deboli in Armenia, Azerbaigian e nel Caucaso in generale. Durante il lungo status quo tra la prima (1991-1994) e la seconda guerra del Karabakh (2020), l’opinione pubblica non si è mobilitata, da nessuna parte, per chiedere la fine di questo conflitto che implicava spese militari da capogiro. Gli stati post-sovietici impoveriti del Caucaso hanno sprecato il 5% del loro PIL per la difesa, quando questa ricchezza avrebbe potuto essere utilizzata per la salute, l’istruzione, le pensioni…

Prima dell’ultima guerra, i pacifisti – spesso individui, più raramente gruppi – hanno lottato per mantenere i contatti “nell’altro campo”. Le riunioni si tenevano, di solito, in Georgia. Sono stati realizzati progetti comuni: relazioni, film, ecc. – a volte beneficiando di finanziamenti esteri (europei, britannici, ecc.) che le autorità di Yerevan e Baku disapprovano. Se non venivano incarcerati, questa manciata di attivisti veniva prontamente etichettata come “traditori” dai politici e dai media.

Al presente, la sfida è attraversare ancora una volta la linea del fronte e riaprire il dibattito per rispondere a queste domande: qual è il passo successivo? Cosa fare dopo due guerre? C’è spazio per risolvere questo conflitto e normalizzare le relazioni?

Questa intervista è stata aggiornata il 27 febbraio 2021 dopo le minacce di colpo di stato del 25 febbraio. Una versione leggermente diversa è stata stampata su Alternative Libertaire dal marzo 2021.

Traduzione di Enrico Voccia

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