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Morti di stato. Franco Serantini 1

Morti di stato. Franco Serantini 1

Il 7 maggio del 1972 Franco Serantini muore a vent’anni nel carcere di Pisa. Due giorni prima, durante un corteo per impedire un comizio missino, era stato circondato e malmenato dalla celere sul lungarno Gambacorti. Il ragazzo aveva origini sarde ed era orfano: aveva vissuto in vari istituti del Paese fino ad arrivare a Pisa dove incominciò ad annusare l’aria di vari ambienti politici. Aderirà al gruppo anarchico “Giuseppe Pinelli” e parteciperà alle lotte di quel periodo. A Franco nel corso degli anni sono state dedicate tante canzoni che raccontano la sua breve vita e i suoi sogni. Tre canzoni di chi non lo ha dimenticato.

1 Piero Nissim

Ballata di Franco Serantini

Piero Nissim è un cantautore che ha fatto parte dapprima del Nuovo Canzoniere Italiano, successivamente del Canzoniere Pisano e poi di quello del Proletariato. Di origini ebraiche, è figlio di Giorgio Nissim, uno dei principali animatori della DELASEM (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei) che durante il fascismo ne salvò centinaia dalle deportazioni. Anche Gino Bartali collaborerà con l’organizzazione: con la scusa di doversi allenare, trasportava documenti falsi nascondendoli nel telaio della bici. Sia il padre di Nissim sia Bartali riceveranno dei riconoscimenti per quello che avevano fatto solo molti anni dopo la loro morte e Piero ha dedicato loro la canzone “Giorgio e Gino”.

Nissim nei giorni immediatamente successivi all’uccisione di Franco scrisse “La ballata di Franco Serantini”, componendola sull’aria de “Le ultime ore e la decapitazione di Sante Caserio”. “Era il sette di maggio, giorno delle elezioni, / e i primi risultati giungon dalle prigioni. / C’era un compagno crepato là, / era vent’anni la sua età”. Il giorno in cui il giovane anarchico morì coincise con le elezioni nazionali e la canzone rimarca come per il movimento gli esiti degli scrutini non parlassero di percentuali o di voti.

Il 5 maggio il missino Niccolai doveva tenere un comizio a conclusione della campagna elettorale e per quell’occasione i compagni di vari schieramenti si mobilitarono per contestare il comizio fascista. “Solo due giorni prima parlava Niccolai, / Franco era coi compagni, decisi più che mai: / «Cascasse il mondo sulla città / quell’assassino non parlerà»”. Le parole del brano fanno riferimento ad un volantino diffuso per la città che annunciava la contro-manifestazione firmato da Lotta Continua il cui testo recitava: “Il ducetto Giuseppe Niccolai protetto dagli industriali, pagato e imbottigliato dal “barone nero” Ostini, padrone dell’acqua d’Uliveto, si è piccato di parlare a Pisa – Cascasse il mondo su un fico il fascista Niccolai a Pisa non parlerà!”. Accanto al testo c’è un fotomontaggio che raffigura Mussolini, nella sua posa imbronciata che ha per corpo una bottiglia d’acqua “Uliveto”.

L’avevano arrestato, lungarno Gambacorti, / gli sbirri dello Stato lo ammazzano dai colpi: / «Rossa marmaglia, devi capir / se scendi in piazza si può morir!»”. Il nome di Franco si aggiunge all’elenco di una lunga lista di ragazzi e ragazze uccisi dal piombo, dai lacrimogeni e dai manganelli mentre manifestavano a mani nude e a volto scoperto. Serantini non morirà sul colpo ma rimarrà sofferente per ore e giorni prima di spirare. “Rinchiuso come un cane, Franco sta male e muore. / Ma arriva alla prigione solo un procuratore: / domanda a Franco: «Perché eri là?» / «Per un’idea: la libertà»”. Il testo è semplice, si affida alle rime e ripete sempre gli ultimi due versi di ogni strofa.
“Poi tutt’a un tratto han fretta: da morto fai paura; / scatta l’operazione “rapida sepoltura”: / «E’ solo un orfano, fallo sparir, / nessuno a chiederlo potrà venir». / Ma invece è andata male, porci vi siete illusi, / perché al suo funerale tremila pugni chiusi / eran l’impegno, la volontà / che questa lotta continuerà”.

Il brano di Nissim ripercorre i momenti essenziali della vicenda, raccontando anche del funerale del ragazzo orfano. Non aveva familiari ma comunque non venne sepolto solo come un cane: fin da quel giorno era chiaro che chi aveva lottato assieme a Franco avrebbe continuato a gridare il suo nome, perché le vittime del potere non meritano di tornare a morire cadendo nell’oblio. “Era il sette di maggio, giorno delle elezioni, / e i primi risultati giungon dalle prigioni. / C’era un compagno crepato là, / per un’idea: la libertà”.

2 Collettivo del Contropotere

Il Nostro Maggio

Il nostro maggio” è la canzone di apertura di L’estate dei poveri – Dalla realtà di classe al progetto libertario, un LP editato dal Circolo di Cultura Popolare di Massa nel 1976. Il titolo della canzone riprende il verso di De Andrè ma non si riferisce al maggio del ’68. Anziché a quello francese, racconta di quello pisano del 1972, che ugualmente “ha fatto a meno del vostro coraggio”. “Il nostro maggio / si leva dalle case / si fanno nelle strade / le nuove barricate, / appaiono tra i fuochi / i volti illuminati / lampi improvvisi scoprono / i proletari armati”.

Il Collettivo del Contropotere è un progetto figlio in tutto e per tutto degli anni ’70. Le sue canzoni sono ironiche, a più voci, alle volte semi-teatrali. I testi si scagliano contro la repressione della polizia, l’oppressione della fabbrica e dei manicomi, il classismo delle istituzioni ed i partiti di sinistra che strizzavano l’occhio al governo della DC. Il repertorio del Collettivo risulta molto adatto per fare da colonna sonora all’imminente movimento del ’77.

La situazione è calma / dice la polizia / ma gli universitari / son già in periferia, / già spiegano alla gente / tutto quello che è successo / nella città di Pisa / il fascismo non ha spazio”. La minuziosità di dettagli, della cronaca fatta dal testo, permette di immaginare quei momenti anche a decenni di distanza. La canzone è come un testimone che ci potrà raccontare ciò che ha visto finché ci sarà un giradischi a disposizione. “Gli scontri si susseguono / a Lungarno Gambacorti / con gli studenti al fianco / i proletari sono insorti, / mitra spianati in mano / i fascisti, i celerini / la polizia difende / il comizio dei missini”.

La canzone viene pubblicata qualche anno dopo i fatti narrati e il testo si dimostra maturo e per nulla banale. “Ma la città non vuole / sentire quei vigliacchi / aumenta la rivolta / si susseguono gli attacchi, / la polizia ci carica / sta riprendendo forza / le bombe lacrimogene / fan stringere la morsa”. Il brano, che cita Serantini solo due volte verso il finale, si concentra sugli scontri e sulle dinamiche di piazza di quella giornata. “Arriva di rinforzo / la celere da Roma / i paracadutisti, / gli agenti di questura / ci incalzano picchiando / ci ammazzano di botte / lascian sui marciapiedi / le nostre bandiere rotte”.

Alla descrizione della battaglia segue il resoconto di un mesto bilancio da fare a fine giornata: si esce sconfitti e con un compagno in meno. “È scesa ormai la sera / sulla città di Pisa / la nostra primavera / non ha più via d’uscita, / ognuno torna a casa / le ossa massacrate / triste un lampione illumina / le nostre barricate”. L’esito di quella giornata porterà a ragionare sulla gestione delle situazioni di piazza, generando un ampio dibattito su come bisognasse gestire manifestazioni analoghe per garantire l’incolumità fisica di tutti i partecipanti. “C’è chi su questa lotta / ha posto le speranze / per un domani nuovo / privo di sofferenze / solo una traccia resta / in mano agli assassini / la ciocca di capelli / di Franco Serantini”.

Il nostro maggio” è una canzone che non ha niente da invidiare a quelle di famosi cantautori. Ha un testo lungo, è senza ritornello e con voce ferma, accompagnata solo dalla chitarra, spara una strofa dopo l’altra, senza fare una sosta. Con queste caratteristiche il brano risulta diverso dagli altri del disco: se le altre canzoni erano adatte per essere eseguite durante le situazioni collettive, politiche e ricreative tipiche dell’epoca, questa fa rimanere in silenzio l’ascoltatore. Non ti sprona a battere le mani per tenere il ritmo, non ti fa ciondolare la testa e non accenna degli slogan. “Ma è di Franco la voce / che grida tra le botte / il suo viso sincero / illumina la notte…”. Con il nodo alla gola e la rabbia rispolverata, nel finale c’è spazio per alzare il pugno chiuso e al massimo di lasciarsi andare a un applauso. “…ci dice sorridendo / non importa la mia sorte / da oggi si combatte / vittoria o morte”.

3 Infezione

Terrorismo Legalizzato

Gli Infezione nascono a Modena negli anni ’80 e con un punk crudo e veloce parlano di antimilitarismo, animalismo e tanti temi cari al mondo anarchico. Approdati nel decennio successivo pubblicheranno un LP quasi interamente composto da canzoni contro la religione.

Sin da bambini ci insegnano a distinguere i buoni dai cattivi / per cui chi sgarra alle leggi dello Stato dev’essere punito / perché lo Stato ci protegge / perché non è vero che lo Stato uccide”. Questo è il preambolo di “Terrorismo Legalizzato” un brano pubblicato in Chiediti il Perché” del 1989. Il pezzo suona nel perfetto stile del punk nostrano di quel decennio e, come quasi tutte le tracce delle prime due pubblicazioni, non arriva a due minuti di durata. “E le intimidazioni poliziesche? / e la condizione carceraria? / e la monopolizzazione culturale? / e le forme di educazione repressive? / e questo non è terrorismo?”. La canzone sarà rapida, ma non indolore. Dopo essersi posti molti interrogativi riguardo a chi sia il vero terrorista, gli Infezione emettono anche delle sentenze: “Devi dargli la tua testa / devi dargli le tue idee / devi dargli il tuo cervello / devi dargli la tua vita / e questo, questo non è terrorismo?”. In risposta a tutte le accuse rivolte ad anarchici e non solo, la band cita quattro nomi, le cui storie parlano chiaro. “E allora Gaetano Bresci? / e allora l’anarchico Pinelli? / e allora Serantini? / e allora Pietro Greco? / non sono forse vittime di stragi di Stato?”.

Si incomincia col regicida Bresci, che venne ritrovato impiccato nella sua cella in circostanze molto sospette; per poi passare all’anarchico milanese suicidato dallo Stato nel dicembre del 1969. Viene poi citato anche Serantini e infine Pietro Greco, detto Pedro, un militante antifascista padovano, con origini calabresi, che fu assassinato da agenti del Sisde e della Digos, in un agguato nel 1985 a Trieste.

En.Ri-Ot

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