Estratto dall’articolo “Morte misteriosa” pubblicato da Petite Republique il 25 giugno 1901
L’articolo è stato scritto dopo la morte per “suicidio” di Gaetano Bresci.
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(…) I carcerieri della monarchia si comportano, verso i prigionieri abbandonati alla loro brutalità, in modo così feroce, crudele e barbaro che non lasciano loro altra sorte che la morte lenta, l’idiotismo o la pazzia, ma il suicidio mai! perché le loro vittime debbono subire, una lunga tortura.
È con conoscenza di causa che ne parlo. Perché il sistema sotto il quale dovette soccombere la ragione di Passanante e di Acciarito, la vita di Bresci e di altri sconosciuti mi è stato applicato otto lunghi anni.
Non voglio annoiare i lettori con una descrizione dettagliata della toeletta che si subisce entrando al bagno. Basta sapere che quando vi chiudono in una cella che sarà la vostra tomba non vi lasciano nulla.
Né calze, né mutande, né fazzoletto, né tovagliolo: nulla. La notte si è legati sul letto: la notte che per tutti coloro che soffrono è il riposo, l’oblio, la pace, pei prigionieri al bagno è lo spavento perché per essi non vi è né riposo, né pace.
Ogni mezz’ora tre sbirri accompagnati da un sotto-capo, irrompono fragorosamente e brutalmente nella cella, per ispezionare le spranghe della finestra, i muri, il suolo, la catena del prigioniero, frugargli nelle orecchie, nella bocca e in altre parti del corpo per assicurarsi che non abbia nascosto né un filo, né uno spillo, né un lembo di cencio, né un pezzettino di carta. E si veglia costantemente su lui.
È un supplizio inenarrabile pel povero sepolto vivo; è l’occhio che lo guarda, che lo spia, che turba la pace della sua tomba e del suo cervello. Nei primi tempi non vi ha fatto grande attenzione; ma di mano in mano che il corpo dimagrisce, il cervello indebolisce, i nervi si irritano, la ragione se ne va, l’energia e la volontà si smussano; il vuoto, il terribile vuoto sempre più lo circonda.
Nel momento in cui il prigioniero ha bisogno di essere solo e di trovare nel raccoglimento un poco di forza, il nemico raccoglie i suoi moti, i suoi sospiri, gioisce delle sue angosce, indovina le palpitazioni del suo cuore e li registra, perché tutto è delitto, anche le sofferenze.
I minimi movimenti sono rimarcati, notati, come lo sono i lamenti di dolore, le grida d’angoscia e di rabbia, i tetri soliloqui precursori di follia, spettro inevitabile della terribile solitudine, dell’indebolimento di tutto l’essere, causato da una nutrizione ripugnante, cattiva e insufficiente
Se la mancanza di sonno vi abbrutisce, la fame vi fa delirare, vi morde lo stomaco, vi contorce le budella, vi dà la nausea e provoca degli incubi terribili e degli svenimenti che talvolta durano delle ore.
Non aria, non passeggiate, né visite, né notizie dal di fuori e specialmente dalle persone che vi sono care, non una voce che vi dica una parola in questa vita, piena di amarezze e di spasimi.
Abbandonati, gettati nelle mani di esseri miserabili, crudeli, feroci, spietati e vili, per la minima infrazione dell’insopportabile regime, per un motto, uno sguardo, un gesto, vi diminuiscono il cibo già quasi nullo, vi restringono colla camicia di forza, soffocano le vostre grida col bavaglio e colla segreta sotterranea. Al minimo segno di impazienza o di rivolta si è afferrati, battuti a colpi di sacchetti di sabbia nello stomaco. I più fortunati sono quelli che soccombono presto. Ma gli sbirri si regolano in modo che ciò non avvenga quasi mai: tale è la consegna.
Questi dolori, queste sofferenze, sono così grandi, così variati e molteplici e talmente insopportabili che dei disgraziati abbandonati da tutti e messi nell’impossibilità assoluta di suicidarsi si ribellano e colpiscono i loro sbirri per essere ammazzati, assassinati di un colpo.
Quante volte ho inteso le grida strazianti di queste vittime oscure colpite in tal modo accanto a me! Il mio orecchio era talmente esercitato che potevo dire: Questo é rimasto sul colpo, quello agonizza.
Un altro dei supplizi inenarrabili è quello delle grida di coloro che diventano pazzi. Per una raffinatezza di crudeltà li lasciano in mezzo agli altri perché questi carnefici sanno per esperienza che non vi è nulla che turbi maggiormente e faccia vacillare la ragione che l’ascoltare, notte e giorno, gli urli strazianti dei fratelli di disgrazia.
Questo è il sistema carcerario inventato da Zanardelli, di conservare la vita dei condannati, onde sentono bene l’agonia, la pazzia, la morte. (…)
Amilcare Cipriani
Cipriani, (1844-1918) Repubblicano, garibaldino, socialista, anarchico, combattente comunardo a Parigi nel 1871, deportato in Nuova Caledonia, dopo l’amnistia rientrò in Italia, imprigionato e condannato a 25 anni per un’accusa di omicidio, eletto deputato rifiutò di giurare fedeltà al re; interventista nel 1914, morì esule in Francia.