A trentadue anni di distanza dalla strage che uccise mio padre ed altre 139 persone – perché è bene chiamare le cose con il loro nome, non tragedia ma strage -, ci ritroviamo ancora oggi a dover chiedere ed esigere ancora una volta “Giustizia e verità”. Negli ultimi anni grazie all’attività continua delle associazioni “140” e dell’associazione “10 Aprile”, con l’aiuto di una potente e strutturata attività di solidarietà di varie organizzazioni dal basso, sono stati fatti grandi passi avanti. Innanzitutto si è dovuti procedere all’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare che, proprio per la volontà da parte dell’apparato giudiziario italiano di non fare giustizia, ha ricevuto una risposta ghiacciante tacciandola come esclusivamente politica e di nessuna valenza giudiziaria. Una commissione che definiva le negligenze occorse in materia di soccorso da parte della capitaneria di porto, le condotte non pienamente doverose del comando della petroliera e la sua posizione in divieto d’ancoraggio. Inoltre ci si soffermava sull’ procedimento penale parallelo a quello della strage Moby Prince, concernente il tentativo di occultamento delle condizioni del timone effettuato da un dipendente della NAVARMA (Ciro Di Lauro), questione fondamentale in materia di responsabilità di vari attori nella strage. In seconda istanza, grazie al lavoro della prima commissione ne è stata aperta un’altra che ha toccato vari punti che già da parte dei familiari erano stati affrontati, discussi e dibattuti sin dagl’inizi della vicenda. Se da una parte sono stati fatti grandi passi avanti rispetto alle responsabilità e le omissioni di ENI e di conferma rispetto alla posizione della propria petroliera “Agip Abruzzo”, rimango perplesso e colpito dalla totale assenza nella relazione finale di responsabilità in materia di “navigazione sicura” della compagnia armatrice “Navarma”. Seppur venga ri-sottolineato “l’unicum” dell’ambiguo “accordo assicurativo tra Navarma e ENI”, le indagini della seconda Commissione – che hanno affermato di voler insistere su “ciò che successe quella notte” – si fermano solamente ad analizzare “Il sistema delle eliche a passo variabile” ed i “sistemi di comando”, affermando che “fossero in piena efficienza”. Com’è possibile non considerare le varie accuse che negli anni abbiamo mosso, con fatiche, con studi, con testimonianze alla compagnia NAVARMA in merito alle condizioni del traghetto? Loris, io ed altri familiari abbiamo ripetuto con insistenza che una nave non può navigare con l’impianto Splinkler spento perché, come sosteneva un ex funzionario della Navarma, raccontandolo alla magistratura “gocciolava; le tubatur23e erano guaste, perdevano acqua, per cui l’armatore aveva ordinato di lasciare disattivato l’impianto”.
Ce lo dice anche L’ingegnerie La Malfa, chiamato in causa nella precedente commissione “Vi potrei far vedere un filmato dove, per esempio, se si mette l’impianto sprinkler ci si salva. Io ve l’ho lasciato e se poi lo volete vedere..” Se acceso, gli ambienti si sarebbero probabilmente raffreddati e qualcuno o qualcuna non sarebbe bruciato vivo. Negli anni abbiamo sottolineato come l’impianto radio VHF del Moby Prince, e non quello di plancia, avesse cali di tensione e quindi non funzionasse adeguatamente. Ce lo dice anche Tomasin, ex marconista del Moby Prince prima della strage in risposta ad un PM, asserendo come “Per un periodo il VHF abbia “avuto dei problemi”; c’erano falsi contatti tra due fili e la saldatura, a causa delle vibrazioni o degli scossoni, non era non era ben fatta e non reggeva”. Il traghetto collide con la petroliera, e se solamente per una “vibrazione o uno scossone la saldatura non è ben fatta e si creano falsi contatti tra fili che portano al calo di tensione”, sappiamo già per uno scontro del genere cosa può accadere. Io non smetto mai di ascoltare quel segnale “May Day” così debole e rimango ancora oggi perplesso rispetto a come nell’ultima commissione venga ribadito più volte che il problema radio non fosse relativo al traghetto ma alle “modalità di registrazione di Livorno radio”. Non sono un tecnico, ma le parole di Tomasin in merito all’apparecchiatura radio riguardano problemi interni al traghetto, riparati saltuariamente e non si parla di massimi sistemi di comunicazioni radio. Quindi concedetemi il beneficio del dubbio. E che dire invece degli impianti radar sul traghetto? Sappiamo con certezza che la Moby ne montava tre, dei quali solo uno in funzione ed un altro difettoso e mai riparato.
Ce lo dice Bachechi, dipendente “Telemar” che chiamato sul Moby prince per una riparazione ammette “arrivai ad un certo punto del lavoro per cui occorrevano parti di ricambio, occorrevano dei pezzi che non erano disponibili per cui non potevamo ultimare questa riparazione, poi non c’è stato un seguito perché al tempo l’obbligo prevedeva che solo un radar dovesse funzionare. Quel radar portava l’immagine dalla parte opposta, è come se l’osservatore lo guardasse dal di dietro. Come rappresentazione è come se si spostasse tutta l’immagine di 180°”. Un problema che non mi sembra di poco conto per uno dei radar in funzione, ma nonostante ciò, il traghetto quella terribile notte parte ugualmente. Ma tre le altre, che dire del sabotaggio/manomissione del timone compiuto dal nostromo Ciro di Lauro a seguito della strage insieme ad un superiore della Navarma, “l’ ordine di sabotare i comandi della Moby Prince me l’ ha dato un ispettore della Navarma”. Solo questo fatto poteva portare la compagnia di navigazione ad essere al centro dell’attenzione come responsabile rispetto a tutta la tragedia, una modalità d’azione utilizzata per coprire responsabilità della compagnia ed addossare tutta la colpa all’equipaggio tentando di spostare la manopola del timone da comando manuale ad automatico. Ed invece venne fatto un processo separato ed i due colpevoli vennero assolti perché “il fatto fu così qualificato come «reato impossibile»”. La precedente commissione ha ritenuto “che il procedimento penale non abbia contribuito a chiarire le motivazioni sottese al gesto compiuto, ne´ abbia valutato eventuali responsabilità connesse”. Dove è finito questo fatto? Come si fa a non riprendere in mano una tale questione che rimetterebbe in gioco la Navarma come tra le responsabili concrete della vicenda? Alla luce di tutto questo, mi sembra alquanto palese la responsabilità della Navarma. Sul traghetto oltre ai passeggeri/e lavoravano tanti/e tante marittimi/e. La nostra strage è stata la più grande della marineria civile italiana e non è possibile che il nome “Navarma” scompaia quasi del tutto dalla vicenda. In tutte le stragi e tragedie che ahimè ancora occorrono la responsabilità primaria è da attribuire spesso a mancate misure di sicurezza opportune, prese dalle direzioni, per un ambiente lavorativo. Ce lo insegnano la ThyssenKrupp e Viareggio. Se nelle stragi seguite alla Moby prince i parenti coinvolti hanno sempre puntato il dito – anche a seguito della nostra vicenda e sulla scia della solidarietà portataci negli anni – contro grandi ditte imprenditoriali responsabili primarie di uccisioni e morti sul lavoro, noi dobbiamo portare avanti la nostra ferma posizione sulla Navarma. Lo diceva anche Loris Rispoli, lo chiedeva a gran voce qualche anno fa, “il silenzio di una Compagnia armatoriale in tutta la vicenda. Una compagnia che stava in silenzio per certi versi ma operava per altri. Lo ripeto: quelle manomissioni a bordo gridano vendetta. Raccontano una verità non scritta, perché se io ho necessità di modificare lo stato dei luoghi, se ho necessità di manomettere qualche organo della nave, è chiaro che ho qualcosa da nascondere, è chiaro che ho delle responsabilità che non conosco purtroppo, ma tendo ad andare a coprire. E credo che questo sia l’elemento fondamentale sul quale la Commissione deve fare piena luce, il perché di queste manomissioni a bordo, il perché si è cercato fin dall’inizio di far sparire certe responsabilità. Credo che le responsabilità` dell’armatore siano anche altre. In questi anni abbiamo dimostrato che quel traghetto aveva una serie di carenze. Credo che quando un traghetto parte non in sicurezza (perché se ci sono delle cose che non funzionano vuol dire che il traghetto non parte in sicurezza), ci siano delle responsabilità di chi è adibito ai controlli”. Ed allora lo esigo anche io oggi, se si dovesse riaprire una commissione, vorrò vedere inserita la compagnia armatrice tra le responsabili della vicenda, affinché un giorno possa svegliarmi sapendo che anche a livello ufficiale chi ha ucciso per profitto sia inserito tra i colpevoli di quella notte. Non voglio più dover più scendere in piazza a ripetere chi sono i veri responsabili urlando al mondo “Verità e giustizia”, sapendo che si possa rimanere fermi solamente ad un “tutto è successo perché un natante – non ancora identificato – ha tagliato la rotta al traghetto”, tornando così indietro di 30 anni.
Giacomo Sini