Per il padronato, il codice del lavoro sarebbe “ingombrante”, “eccessivamente complesso”, troppo “costrittivo”. Questo discorso reazionario, dopo decenni, è stato completamente fatto proprio e passato dalla MEDEF (la Confindustria francese) al governo socialista. Per preparare il terreno al governo, è stata messa all’opera un’intensa azione di lobbying per attaccare il diritto del lavoro e, di conseguenza, i diritti dei lavoratori, spesso spacciando il tutto come “semplificazione”.
“Il diritto del lavoro non è un diritto come gli altri”
Non si tratta soltanto di una costruzione giuridica, ma di un diritto nato dalle lotte sociali e sindacali. È il diritto delle lotte, degli scontri, degli scioperi. La redazione della prima edizione del codice del lavoro inizia nel 1910, con l’approvazione delle prime leggi a favore degli operai, ad esempio quella del “libero salario femminile” (la donna può disporre liberamente del proprio stipendio), quella “sulla regolarità della paga” (1909) o quella del 5 aprile 1910 “sulla pensione per operai e contadini dopo i 65 anni”. È importantissimo comprendere che il diritto del lavoro codificato legislativamente è il risultato di continue lotte della classe operaia per il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro: la limitazione della durata della giornata lavorativa, le ferie pagate, l’indennizzo per gli incidenti sul lavoro etc. sono conquiste strappate al padronato, divenute in seguito la norma, di cui beneficiano tutte/i le/i salariate/i.
Il codice del lavoro riflette i rapporti di forza
Se il codice del lavoro è “ingombrante”, è perché è carico di tutta questa storia, appesantito da regole normative ma anche da tutta la giurisprudenza nata dalle lotte dei salariati organizzati. Il codice del lavoro riflette i rapporti di forza delle due classi storicamente opposte e gli ultimi decenni hanno visto scrivere in esso gli arretramenti subiti dalla classe operaia e dalle sue organizzazioni, come ad esempio la liberalizzazione del lavoro festivo (2009) o l’accordo nazionale intercategoriale (ANI) sulla “competitività e garanzia dell’impiego” (2013). Malgrado però questi numerosi arretramenti, accompagnati dalla distruzione degli strumenti di controllo e di ricorso giuridico presenti nell’Ispezione del Lavoro, il Codice del Lavoro resta un punto fermo per le/i salariate/i. I suoi principi fondamentali sono sempre irrinunciabili. Ecco perché il governo vuole andare ancora più lontano per soddisfare la Confindustria francese: tornare gradatamente al periodo precedente il Codice del Lavoro, cioè al contratto individuale di prestazione d’opera.
I due principi-chiave: “gerarchia normativa” e “principio di favore”
Attualmente nel diritto del lavoro sono all’opera due grandi principi: 1) il principio della gerarchia normativa: la norma superiore prevale sulla norma inferiore (trattati europei, Costituzione, legge, decreto, ordinanza etc fino al contratto di lavoro); 2) il principio di favore: si può derogare al principio precedente soltanto se l’accordo è favorevole ai salariati, cosa che è definita “principio di favore”.
Dopo le leggi del 1982 (sotto un governo socialista), però, le “parti sociali” possono accordarsi per delle disposizioni meno convenienti per i lavoratori di quelle ammesse dalla legge e, dopo il 2004, si possono stabilire anche delle norme meno favorevoli persino di quelle dell’accordo di settore. Infine l’ANI ha allargato questa breccia; un’impresa, oramai, può aumentare il tempo di lavoro, abbassare i salari, licenziare senza motivo etc. concludendo degli accordi d’impresa che prescindono dalle leggi. Questi accordi, però, restavano normativamente incerti… L’obiettivo oramai preso di mira da questo governo è di inscrivere queste eccezioni nella Costituzione, in altre parole sostituire il codice del lavoro con accordi negoziati a livello di impresa, realizzando così il più rande desiderio della Confindustria francese.
Tutte/i insieme nell’unità sindacale
Anche se certe organizzazioni sindacali hanno da molti anni anni fatto la scelta di assecondare le decisioni padronali, la maggioranza dei sindacati resta sufficientemente combattiva, anche se ci sono stati dei tentativi di “riallineamento”. Di fronte alla “legge sul lavoro”, comunque, l’unità sindacale si è formata sull’appello allo sciopero continuo. Le organizzazioni sindacali, anche quando poco numerose, restano fondamentali nell’organizzazione delle manifestazioni.
La mobilitazione ha avuto inizio il 9 marzo con un appello sui social network e nel giro delle organizzazioni studentesche: il movimento sindacale l’ha seguita, dando il segnale di partenza di una lunga mobilitazione. Il momento maggiore della lotta è stato raggiunto il 31 marzo con una nuova giornata di sciopero e manifestazioni; in questo periodo le/gli studentesse/i universitarie/i e liceali hanno inseguito le manifestazioni ed i blocchi, senza però riuscire a far crescere significativamente la mobilitazione.
In seguito alla manifestazione del 31 marzo, un appello che invitava ad occupare le piazze ha segnato l’inizio di “Nuits debout”, essenzialmente a Parigi in piazza della Repubblica, ma in effetti un po’ dappertutto in Francia. Oltre gli scioperi e le manifestazioni, le persone si ritrovano per discutere e prospettare il futuro del movimento, nonché per denunciare lo “stato d’emergenza permanente” che si sta creando in Francia: questo stato d’emergenza dà pieni poteri alla polizia e limita ogni genere di diritto alla manifestazione. Anche se lo stato non ha deciso di proibirle, in ogni caso queste possono essere svolte sotto la spada di Damocle dello stato d’emergenza. In questo senso, più che una semplice contestazione della legge sul lavoro, le “Nuits debout” sono in se stesse, di fatto, una contestazione dell’imposizione dello stato d’emergenza.
Il movimento “Nuits debout” serve anche a denunciare tutte le storture di questo governo: autoritarismo, stato di polizia, razzismo istituzionalizzato, regali al padronato etc. Il movimento “Nuits debout” è un movimento delle città composto da gente di diversa provenienza, ma essenzialmente giovani delle classi medie e superiori. Nei momenti degli scioperi e delle manifestazioni, sono presenti tutti i sindacati, lavoratori e lavoratrici del settore pubblico e privato ed anche le organizzazioni studentesche: purtroppo in tali occasioni si nota una debolissima partecipazione giovanile.
Contro lo stato di polizia
Con lo stato di emergenza, è stato messo in opera un vero e proprio stato di polizia, con poliziotti e militari nelle strade. Di fronte alle mobilitazioni il governo ha tentato di giocare la carta della repressione e le prime manifestazioni studentesche sono state brutalmente represse. È in atto una vera strategia della tensione e dello scontro da parte dello stato, che tenta di dividere i manifestanti e di impaurirli: scontri hanno regolarmente luogo a Parigi, ma anche in molte altre grandi città (Rennes, Lyon, Nantes).
Gli scontri con la polizia sono essenzialmente opera di gruppi giovanili, ma sono soprattutto una risposta alle violenze poliziesche. Non condividiamo la volontà di alcune/i di voler affrontare a tutti i costi la polizia – poiché questa è meglio equipaggiata ed addestrata di noi – ma ci opporremo sempre alla violenza della polizia. Il sindacato CGT stesso ha lanciato una campagna contro le violenze poliziesche (ricordiamo che un manifestante, Rémi Fraisse, è stato ucciso dalla polizia il 26/10/2014 durante una manifestazione contro la costruzione di una diga); numerosi testimoni e video mostrano la violenza poliziesca.
Si può anche interpretare la strategia degli attacchi contro la polizia come il risultato della disperazione e della rabbia di fronte ad una mobilitazione che necessita di crescere nella lotta ed un governo che attua misure autoritarie volte al regresso sociale, compreso il fatto di far passare la legge con la forza, senza nemmeno il voto delle/dei deputate/i. In effetti, di fronte al rifiuto di alcune/i deputate/i socialiste/i di votarla, il governo ha utilizzato l’art. 49-3 della Costituzione che permette di approvare una legge senza il voto del Parlamento. Sia chiaro: queste/i deputate/i non sono divenute/i all’improvviso dei “rappresentanti del popolo” (un anno prima delle elezioni) che il governo tenta di imbavagliare. Non c’è alcuna “democrazia”, “vera” e “legittima” che viene presa in giro, si tratta solo dello svelamento del totalitarismo del loro regime. Questo utilizzo della forza ha provocato un rigurgito di manifestazioni che si sono indirizzate in modo specifico, tra le altre, alle sedi del Partito Socialista.
La solidarietà con le/gli incriminate/i si sviluppa quando ce n’è necessità, ma non vi è un movimento coordinato a livello nazionale. Coordinamenti dei comitati di lotta si costituiscono allo scopo di decidere azioni comuni e calendarizzare le mobilitazioni: questi si aggiungono alle riunioni intersindacali. Il coordinamento di questi due movimenti resta difficile, anche se le persone generalmente partecipano ad ogni genere di azione organizzata da entrambi.
Bisogna dire che, anche se le mobilitazioni crescono solo con la lotta, la grande maggioranza delle/dei francesi, secondo i sondaggi, è del tutto contraria a questa legge: ciò che cerca di fare il governo è dividere la popolazione tramite la condanna dei “teppisti”. La destra, dal canto suo, condanna le manifestazioni e chiede la loro proibizione in virtù dello stato d’emergenza: critica, altresì, il governo, ritenendo la legge proposta ancora troppo “sociale”.
Il movimento comincia lentamente a svilupparsi fuori da Parigi, nelle città ma anche nei piccoli centri: ciascuna/o profitta di questo movimento per portare avanti specifiche rivendicazioni, talvolta a carattere localistico. Il movimento di contestazione della “Loi Travail” è un grande movimento che sta durando nel tempo e le “Nuits Debout” sono una nuova forma di mobilitazione che sviluppa pratiche di lotta differenti. Nuove azioni e scioperi sono previsti: si vedrà come andrà a finire. Di certo, non possiamo aspettarci nulla dai partiti politici: tutto è da costruire nella strada.