La Commissione consultiva del Comune di Milano per le onoranze al Famedio ha approvato i nomi delle tredici personalità che il prossimo 2 novembre saranno iscritte – come tutti gli anni – nel Pantheon all’interno del Cimitero Monumentale in aggiunta a coloro che hanno dato lustro alla città.
Tra esse il commissario Luigi Calabresi, nome ben noto ai lettori e alle lettrici di questo settimanale (ma ovviamente non solo a loro).
Le motivazioni per questa scelta sono: «Luigi Calabresi, commissario di polizia ucciso nel 1972, vittima di un attentato che lo ha reso simbolo di una delle pagine più drammatiche della storia italiana, gli ‘anni di piombo’. Calabresi, pur nella controversia politica che accompagnò la sua morte, è stato una figura centrale per la giustizia e la legalità».
Ora, che una commissione nominata dalla giunta di centrosinistra lo definisca in tal modo è semplicemente vergognoso, poiché ribalta completamente quella che lo ha reso simbolo di una delle pagine drammatiche della storia italiana: non tanto il suo assassinio quanto la montatura politica, giudiziaria e poliziesca della strage di piazza Fontana sostenuta dall’incriminazione di Valpreda e compagni e l’omicidio in questura di Giuseppe Pinelli.
La controversia politica non ha di certo accompagnato la sua morte, bensì il ruolo che i vertici della polizia e dei servizi hanno svolto – nella stagione stragista – su indicazione di esponenti politici di Stato e di governo, come una ricca pubblicistica (libri, saggi, memorie, articoli, ecc.) ha ben documentato in più di mezzo secolo di controinformazione.
Con la definizione poi del commissario come «figura centrale per la giustizia e la legalità» si arriva all’apoteosi dell’ipocrisia. Fu nel suo ufficio che Pinelli venne trattenuto ben oltre i limiti di legge, fu sottoposto a interrogatori pesanti, fu da quella finestra che venne fatto precipitare. Fu in quella questura che si affermò che Pinelli si era gettato gridando: ‘È la fine dell’anarchia’ corredando il fatto con descrizioni immaginifiche e contraddittorie (la famosa scarpa, tra le altre), e che venne taciuta la presenza dei più alti livelli dei servizi segreti (il famoso ‘Ufficio Affari Riservati’ di Umberto D’Amato). Dov’era Calabresi se non ad avallare con la sua presenza tutte le porcherie dette?
Per non parlare poi del suo ruolo nella costruzione dell’accusa contro i compagni accusati delle bombe alla Fiera campionaria e all’Ufficio cambi della stazione Centrale nell’aprile del 1969, utilizzando e manipolando una teste come Zublena, bombe messe dai nazifascisti di Ordine Nuovo.
Se questo è un esempio di giustizia e legalità…
Quel che è certo è che, dopo più di mezzo secolo, quanti si sono impegnati nella lenta ricostruzione della figura del commissario sono riusciti nel loro intento; il prossimo passo sarà quello della beatificazione.
La storia, si dice, viene scritta da chi vince; in questo caso viene scritta sulla miseria di chi ha svenduto la propria memoria e la propria coscienza, dimenticando tra l’altro che chi non ha memoria non ha nemmeno futuro.
Massimo Varengo