Sono – al momento in cui il settimanale viene impaginato – trentanove giorni che i lavoratori dei trasporti francesi scioperano contro una ipotesi di riforma pensionistica volta ad eliminare, a detta del governo, determinati “privilegi” di determinate categorie del mondo del lavoro.
Al trentottesimo giorno, il governo ha fatto una prima marcia indietro, “Per dimostrare la mia fiducia nei confronti dei partner sociali – scrive Macron ai leader sindacali – e non pregiudicare il risultato dei loro lavori sulle misure da adottare per raggiungere l’equilibrio 2027, sono disposto a ritirare dal progetto di legge la misura di breve termine che avevo proposto, consistente a convergere gradualmente a partire dal 2022 verso un’età di equilibrio di 64 anni nel 2027”.
I Sindacati – CFE-CGC, CGT, FO, FSU, Solidaires, UNEF, UNL, MNL – che hanno finora animato lo sciopero non sembrano affatto accontentarsi. In un comunicato intersindacale, infatti, affermano di voler continuare la mobilitazione fino alla vittoria finale. In effetti, nonostante le dichiarazioni dei media nostrani, la misura di breve termine che il governo è disposto a congelare, pur importante, non intacca molti altri aspetti della riforma, che Macron ha dichiarato di voler mantenere. Di conseguenza, CFE-CGC, CGT, FO, FSU, Solidaires, UNEF, UNL, MNL hanno dichiarato la prosecuzione ulteriore dello sciopero e lanciato per il 15, il 15 ed il 16 gennaio altri momenti di mobilitazione di piazza.
Come che vada a finire ed ovviamente augurando ai lavoratori francesi ogni fortuna ed al governo ogni sfiga, di fatto quello che si può dire al momento è che, a differenza della precedente mobilitazione contro la “Loi Travail” del 2017, questa volta il governo ha dovuto fare almeno un passo indietro, molto di facciata ma anche un po’ di sostanza.
Cosa sta facendo la differenza con la perdente mobilitazione del 2017? A nostro parere nel frattempo si sono innescati, nella società francese, dei meccanismi solidaristici all’interno della popolazione francese, da un lato, di vasto discredito popolare verso il governo, dall’altro: la capacità dei lavoratori di reggere quaranta giorni senza stipendio e di voler proseguire comunque fino alla vittoria completa è anche il risultato della pressoché completa simpatia popolare nei loro confronti.
Una simpatia, questa, che non è mai venuta meno nonostante i disagi che uno sciopero del genere comporta alla vita quotidiana delle persone e che ha visto anche momenti spettacolari – talvolta in senso letterale, come nel caso dei lavoratori dello spettacolo dell’Opera di Parigi, la cui iniziativa di adesione e solidarietà allo sciopero è riuscita a farsi conoscere in tutto il mondo.
La forza di questa lotta ci pare sia dovuta a due fattori. Il primo è quello che potremmo chiamare l’effetto Giubbotti Gialli. La Francia da lungo tempo è percorsa, come si è dato conto a più riprese su queste stesse pagine, di un movimento popolare rivendicativo di enorme forza, che non accenna a spegnersi nonostante i morti ed i feriti – purtroppo in senso letterale –che ha lasciato sul campo della lotta.
Il fatto che si tratti di un movimento a carattere interclassista, anche se sempre maggiormente influenzato da parole d’ordine in qualche modo “gauchiste” rispetto ai suoi inzi, paradossalmente sta giocando pesantamente contro il governo. La base sociale che mediamente compone il movimento, infatti, è quella su cui di solito puntano i governi per creare spaccature in senso alla popolazione (si pensi alla mossa di De Gaulle nel 1968) – stavoltà, però, è proprio questo livello della società con cui lo scontro era già in atto ed a livelli pesantissimi. Di conseguenza, invece che fornire la solita litania del mugugno del ceto medio verso i disagi creati dagli scioperanti, ha risposto subito all’appello alla solidarietà lanciato da parte dei lavoratori in lotta ed i loro giubotti gialli si sono immediatamente confusi con le bandiere operaie.
Il secondo fattore è stato invece quello che potremmo definire l’effetto speranza, il rilanciare in avanti i termini della lotta. Per comprendere quest’aspetto della vicenda, occorre tenere presente che in Francia il sistema pensionistico non è unico ma molto differenziato per categoria. Ora i lavoratori dei trasporti e le altre categorie “privilegiate” messe sotto attacco dal governo hanno spauto rilanciare intelligentemente in avanti: sin da subito ed ancora nell’ultimissimo documento intersindacale i lavoratori hanno dichiarato che il loro sciopero non era per difendere i loro pretesi privilegi, anzi: la loro lotta era rivolta perché la loro condizione divenisse universale, in quanto si trattava di un minimo di diritti sociali che dovevano essere garantiti a tutti.
Questi due fattori, a nostro avviso, hanno concorso a rendere la lotta dei lavoratori francesi ben accetta da parte della maggioranza dei francesi, ivi compresa, alla fine, buona parte di chi aveva votato il governo attuale o partiti di opposizione altrettanto ferocemente neo liberisti.
Qual è la lezione che se ne può trarre, indipendentemente dal risultato finale? Potremmo dire che la lotta di classe dei lavoratori deve tendere a puntare al 99% della popolazione, per usare il fortunato slogan del movimento Occupy Wall Street, deve in altri termini riuscire ad esercitare una forza di attrazione verso i ceti medi.
Questi, in un periodo di polarizzazione estrema della ricchezza, temono, a ragion veduta, di perdere quei livelli di possesso della ricchezza sociale che hanno conquistato nei “Trent’Anni Gloriosi” e di cadere nelle fasce basse della popolazione – di proletarizzarsi, si sarebbe detto un tempo. Di fronte al predominio della cultura delle classi dominanti, esse possono diventare facilmente la base sociale di fascismi e/o sovranismi e/o razzismi. Il caso francese dimostra però che questo non è un destino ineluttabile.
I Giubbotti Gialli, infatti, non lo dimentichiamo, hanno avuto quella evoluzione sia pure parziale di cui parlavamo prima non per opera e virtù dello Spirito Santo ma, al contrario, perché le formazioni dell’estrema sinistra francese, anarchici compresi, hanno deciso di intervenirci dentro portando le loro posizioni e le loro capacità militanti. In questa maniera, i ceti medi hanno cominciato a perdere la diffidenza che il potere gli ha costruito nella mente verso le classi lavoratrcii e la sinistra rivoluzionaria.
Enrico Voccia