L’urgenza della repressione – Decreto sicurezza

Dopo un anno e quattro mesi di lavori parlamentari il Governo salta il fosso e decide di varare un decreto legge con le norme contenute nel famigerato disegno di legge liberticida 1660/1236, al netto di alcuni aggiustamenti.

La situazione di stallo si è creata quando il Senato ha rimandato il ddl alla Camera in terza lettura perché mancava la copertura finanziaria per alcuni provvedimenti. Il pasticcio rischiava di allungare ulteriormente i tempi di approvazione in Parlamento e dare respiro al movimento di protesta, che tante iniziative di contrasto ha messo in piedi in tante parti della penisola.

Il Governo ha quindi deciso di agire d’imperio con lo strumento del decreto legge che è di propria diretta emanazione. Strumento non nuovo, visto che la quasi totalità dei provvedimenti sempre più repressivi emanati negli ultimi decenni hanno visto la luce in questo modo: basti pensare al decreto Pisanu, al decreto Maroni, al decreto Minniti, ai decreti Salvini 1 e 2.

D’altronde questo Governo ne ha già fatto ampio uso da quando tiene le redini del Paese, emanandone diversi in materia di sicurezza ed ordine pubblico: dal decreto anti-rave al decreto Caivano, passando per Cutro. Nelle altre materie non è da meno, posto che ad oggi se ne contano poco meno di un centinaio, un vero record!

Il necessario requisito della necessità ed urgenza sussiste sempre, in un paese che ha fatto dell’emergenza una tecnica di governo. Anche questa volta l’urgenza viene individuata puntualmente nella necessità di tutelare le forze dell’ordine.

Come dicevamo l’impianto securitario populista e profondamente autoritario originario rimane sostanzialmente invariato. Al momento in cui scrivo fonti di stampa riferiscono che cambiano solamente alcuni (pochi) articoli oggetto delle osservazioni del Capo dello Stato poiché ritenuti incostituzionali. Riferisco quanto al momento è dato sapere, in attesa del testo definitivo.

Cambia la norma che puniva la resistenza passiva in carcere al fine di configurare il reato di rivolta. Potrà essere condannato solo chi non obbedisce a degli ordini impartiti per “il mantenimento dell’ordine e della sicurezza” del carcere. Non sarà configurabile il reato di rivolta nei centri di accoglienza, ma soltanto nei CPR.
Cade l’obbligo degli enti pubblici ed università di collaborare con i servizi segreti per fornire loro informazioni, rimane la facoltatività.
Si potrà vendere una SIM ad un migrante senza documento di soggiorno ma in possesso di carta d’identità o passaporto.
Cambia di poco l’aggravante della resistenza a pubblico ufficiale commessa da chi protesta per impedire la realizzazione di opere pubbliche o di infrastrutture strategiche. Si precisa che varrà per il trasporto, le telecomunicazioni, l’energia o altri servizi pubblici (sic!).

Rimangono le norme che aumentano la repressione verso attivisti ed attiviste, riconoscono maggiori tutele alle forze dell’ordine, vietano la cannabis light; rimane il famigerato articolo ribattezzato del terrorismo della parola, l’aumento di pena per la resistenza a pubblico ufficiale, il reato di occupazione di immobile altrui, la ripenalizzazione totale del blocco stradale, la facoltà degli agenti infiltrati di dirigere ed organizzare associazioni terroristiche ed eversive, l’abolizione dell’obbligo di rinvio della pena per le condannate incinte o madri di bimbi più piccoli di un anno: anche loro, quindi, d’ora in poi potranno finire in carcere. Rimangono anche l’aumento del periodo che lo stato ha per revocare la cittadinanza per alcuni reati, l’ampliamento del DASPO urbano e l’aumento di pena per i danneggiamenti nonché gli imbrattamenti commessi durante le manifestazioni, l’istigazione dei detenuti a disobbedire alle leggi e la facoltà degli agenti di sicurezza di portare un’altra arma senza licenza quando non sono in servizio.

Con la pubblicazione in gazzetta ufficiale il testo entra subito in vigore e andrà convertito in legge nei 60 giorni successivi.

Questo è il tempo che ci rimane per continuare la campagna in atto contro il varo definitivo dell’ennesimo strumento repressivo. Sta a noi utilizzarlo al meglio diffondendo lo stato di agitazione il più possibile.

Antonio Mancino – Avvocato in Imola

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