È tempo di Covid. I casi scendono, ma i morti non si dimenticano. Epidemiologi gioiscono timidamente; bar, ristoranti, palestre, tutti riaprono. Attività produttive e non. Lentamente e timorosamente ma tutto pian piano riprende. Che fine hanno fatto però quelle bare portate dall’esercito nella bergamasca? Le sofferenze e la morte in solitudine non si possono cancellare con un DPCM. Eppure ne abbiamo visti in questi mesi. Mesi difficili, mesi di chiusura totale, di lock-down, di polemiche sui runner. Gli operatori sanitari sono eroi, facciamo loro applausi, facciamo qualche flash mob. Eravamo l’esercito del selfie, ora siamo l’Italia dei balconi. Almeno per un paio di giorni, senza esagerare.
Aspetta però: e se poi il mio vicino di casa medico prendesse l’ascensore prima di me? Sarà pure un eroe ma è pur sempre una potenziale fonte di contagio. Quel medico di prima poi non ha usato i guanti in ascensore. Poi torna a casa con le stesse scarpe con cui è andato fino in ospedale ma io lo so, l’ho letto che le suole delle scarpe infettano. L’ho letto o l’ho sentito dire? Se l’ho letto, dove l’ho letto? Va be’, poco importa. Basta, lo denuncio. Se fa il medico alla fin fine lo fa per i soldi ed i soldi ce li ha. Se i soldi li ha io ne potrò pur ricavare qualcosa. Qualcuno di loro è morto? Eh, siamo in guerra, in guerra con un nemico invisibile. L’ho già sentita questa, ma non ricordo dove. Pazienza. Però se vogliono l’etichetta da eroi e siamo in guerra, qualcuno dovrà pur morire.
Informiamoci, una volta tanto allora. Al 9 giugno in base al sito web dell’Ordine dei Medici sono caduti 167 medici. Questo elenco non tiene conto di infermieri, biologi, tecnici di radiologia, tecnici di laboratorio, OSS, chiunque altro non sia stato nominato (mea culpa) ma abbia qualunque contatto con pazienti. Centosessantasette medici morti. Una ecatombe. Non mastico il greco antico ma so che questa parola desueta voglia dire qualcosa come “sacrificio di cento buoi”. Cento buoi. Cento persone al macello. Nel 2020. Centinaia di operatori sanitari sacrificati sull’altare della Società, quella con la S maiuscola. Morti. Caduti sul lavoro. Eroi.
Ridateci la Santa Messa. Non esiste altro Dio all’infuori del Covid. Alla fine in TV e sul web dicono che il Covid è un asso pigliatutto. Ho cancro e Covid? Be’, chiaro che mi occupo del Covid. Però il diabete peggiora e il Covid non ce l’ho. Il mio cancro cresce? Facile, denuncio il medico allora, peraltro ho pure il premier avvocato e mi capirà. Infatti quella visita differibile che avevo me l’hanno spostata. Anzi no, aspetta, ora che ci penso sono stato io a spostarmela perché avevo paura del Covid. Va be’, sto palesemente facendo confusione.
Torniamo a me. Parliamo della mia città, della mia regione. La Lombardia è nell’occhio del ciclone. Milano zona rossa postuma. Aperitivo off limits. Guai alle birrette da asporto. Pattuglie delle forze dell’ordine in Darsena, esercito in giro per le strade. Gente da movida di oggi, siete i runner di ieri ed i migranti di ieri, oggi e domani. Tra l’altro, perché poi continuiamo a dire “migranti”? È un participio presente, perché non diciamo “immigrati” che è participio passato? I nostri compaesani vogliono che gli stranieri imparino l’italiano ma poi fanno fatica a distinguere un participio dall’altro.
Tralasciamo la grammatica e torniamo al virus. Qualcuno dice che il Covid sia clinicamente morto. Sarà vero ma i morti ci sono. Pochi, certo, ci sono però e non smettono di esserci. Io cosa devo fare? Io sto a Milano. Ci sono sempre stato e non posso andarmene. Tutti a dir “lontan da Napoli si muore” ma poi vengono qui a Milano. Questo dice la bella Madunina. Tutti le passano vicino. Tutti la guardano, tutti la corteggiano, ha persino un bel tricolore ad ogni festa comandata. In pochi però notano me. Eppure io son qui da qualche secolo in più di lei. Di untori ne ho visti. Tempo fa ho visto un certo Gian Giacomo Mora, un barbiere, venire arrestato, processato (si fa per dire), torturato e arso (a proposito degli aperitivi di cui sopra, le sue ceneri dovrebbero essere state disperse proprio sotto i vostri piedi di aperitivari, in zona piazza Vetra, a due passi dalle colonne di San Lorenzo). L’autorità doveva pur trovare un colpevole. Sulla sua casa, distrutta, ho visto porre una colonna, detta infame, a perenne memoria di ciò che accade all’untore. Quando lo stato ci si mette non si scherza. Qualcuno poi l’ha tolta quella colonna. Ora almeno nella via che porta il suo nome c’è un monumento esemplare per non dimenticare il monumento esecrabile.
Lasciatemi qualche riga ancora per parlare di me. Ne ho viste di cose in questi ultimi due millenni. Ho visto una città di barbari diventare provincia romana, poi Comune, poi resistere al potere imperiale del Barbarossa, poi rinascere sotto i Visconti e sotto gli Sforza, fare guerre, poi guerre, ancora guerre e dominazioni, prima gli spagnoli, poi gli austriaci, poi i Savoia. Tra l’altro io stesso, come i cittadini milanesi, non sono che un ibrido. Il mio vestito è da antico romano, la mia testa medievale. D’altronde il signor G era di origini triestine, il suo amico Jannacci di origini pugliesi.
Nel mio cuore, in piazza San Sepolcro, ho visto nascere il fascismo (mi si consenta la F minuscola, a mero spregio, lo ammetto, il lettore me lo consentirà), movimento legalizzato finalizzato al sopruso che vedeva come unica arma la violenza e della depravazione della cosa pubblica, movimento che ha portato nel mio stesso cuore tutti i fatti incresciosi dell’Albergo Regina (attuale sede di una banca), quartier generale delle SS a pochi passi dalla deliziosa Galleria Vittorio Emanuele. Nel mio stesso cuore ho visto però sfilare anche partigiani con il fazzoletto rosso sul collo, ho visto Pertini e tutti gli altri, ho visto rinascere la mia città ed un Paese intero. Intorno a me ho visto le pestilenze manzoniane ed il benessere della Milano da bere, ora vedo il lusso di via Montenapoleone e la miseria del bosco di Rogoredo.
Io sono vecchio e ne ho viste tante. Ho visto fondare uno dei più vecchi ospedali al mondo ancora attivi ma ho anche visto spendere valanghe di denaro (pubblico e privato) per creare in fretta e furia reparti di rianimazione senza radiologia e consulenti internistici a portata di mano, quali cardiologi e pneumologi.
Ho visto giovani di tutta Italia e di tutta Europa venire da me con le tasche povere di contante ma piene di sogni, credere in una crescita della propria condizione. I padri liquidati con un “le faremo sapere” e i figli con un “in gamba quel tuo collega”.
Queste righe sono sconnesse. Slegate. Infastidiranno alcuni e saranno indifferenti per altri. Sembra quasi un collage di post di social network (rassicuro il lettore, non lo sono). Come la società odierna. Forse non hanno senso. Forse però iniziano ad avercelo se le uniamo creiamo un flusso di coscienza di tanti individui che formano una società. Una società che vive benissimo senza lo Stato perché in fondo non serve a granché, la res publica siamo già noi, le persone. Nei tempi d’oro qualcuno ha iniziato a mettermi bigliettini satirici o di critica sociale. Sono stato per la mia città un po’ quello che per Roma fu Pasquino, a due passi da Piazza Navona. Ora però non lo fa più nessuno. Queste righe non sono che un pallido omaggio a quei tempi in cui i milanesi mi mettevano questi messaggi. Tempi in cui come oggi solo l’utopia anarchica può farci rimanere critici. Critici e vivi, anche in tempi difficili.
Deve essere privo di ogni vizio chi si appresta a criticare un altro. Privo di vizi io certo non lo sono. Il mio popolo nemmeno. Peraltro non ricordo nemmeno dove ho letto questa frase. Mi è rimasta però talmente impressa che il popolo, a furia di soffrire e imparare la lezione, ha deciso persino di scrivermelo addosso. “CARERE DEBET OMNI VITIO QVI IN ALTERVM DICERE PARATVS EST”.
Scior Carera