Lottiamo per la giustizia sociale

Moby Prince: 140 morti, nessun colpevole!” questo il messaggio scritto a chiare lettere sullo striscione che negli ultimi trent’anni è sempre stato aperto dai familiari delle vittime durante i cortei di commemorazione a Livorno, che tante volte è stato spiegato di fronte ai tribunali o nelle manifestazioni in altre città, come a Viareggio o L’Aquila, come forma di solidarietà concreta con altre associazioni e comitati che lottano per la verità e la giustizia per i propri cari uccisi in stragi che non trovano colpevoli.

Stragi che sono classificate dai media ufficiali, dai tribunali, dalle istituzioni, dai manager, come “incidenti”, “fatalità”, “disastri”, “tragedia” o come “spiacevole episodio”. Stragi che non trovano colpevoli perché vengono considerate effetto di imponderabili cataclismi naturali o come oscure vicende avvolte dalla nebbia del mistero.

Le responsabilità però sono chiare. Si taglia sempre sulla sicurezza in nome del profitto, per la spartizione di fette di potere. Istituzioni, manager e autorità di controllo ci uccidono e ci avvelenano senza sosta sotto i nostri occhi nei luoghi della nostra quotidianità: viadotti autostradali, tratti ferroviari, treni, traghetti, condomìni, scuole, case dello studente, impianti industriali, porti, cantieri…

In certi casi, per evitare che vengano poste sotto accusa le condotte sistematiche di aziende, istituzioni e autorità di controllo, frutto di precise scelte politiche, viene proposta la versione del cosiddetto “errore umano”, il fatale errore di un singolo: viene addossata la responsabilità di una strage a una persona che avrebbe sbagliato qualche procedura o commesso una disattenzione, una persona che a volte è essa stessa toccata dalla strage, che spesso ha pure un rapporto di lavoro dipendente, magari tra gli ultimissimi livelli della scala gerarchica, con l’organizzazione aziendale o con l’istituzione individuata come responsabile.

Ricordiamo ora sinteticamente cosa accadde trent’anni fa. Il 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince salpa alle ore 22.03 dal porto di Livorno diretto a Olbia, in Sardegna. A neanche tre miglia dalla costa, il traghetto, che sta ancora transitando nel cono d’uscita del porto, entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo presente in rada in posizione irregolare. La prua del Moby Prince penetra una delle cisterne della petroliera e una grande quantità di greggio, tra le 100 e le 300 tonnellate, si riversa sul traghetto, entrando anche nei locali garage dal momento che il Moby Prince viaggiava con il portellone stagno di prua aperto.

Si scatena allora un incendio a bordo, mentre i soccorsi si dirigono solo verso l’Agip Abruzzo. Senza essere mai raggiunti dai soccorsi, quindi, tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio, tranne l’unico superstite, muoiono dopo alcune ore dall’inizio dell’incendio. Le pessime condizioni di sicurezza in cui viaggiava la nave traghetto, di proprietà della Nav.Ar.Ma dell’armatore Onorato, la “non gestione” dei soccorsi da parte della Capitaneria di Porto di Livorno comandata da Albanese, ebbero certo un ruolo determinante nella strage del Moby Prince, una delle più gravi stragi in mare e sul lavoro.

Per il secondo anno consecutivo, a causa delle misure imposte dal governo, non c’è stato alcun corteo per le strade di Livorno e gli altri momenti pubblici si sono tenuti in un momento di forti restrizioni, ne è risultata una più forte istituzionalizzazione. Nonostante la zona rossa, però, molt* compagn* erano presenti al fianco dei familiari delle vittime, per sostenere una lotta per la giustizia sociale che deve essere estesa il più possibile.

A questo link il comunicato della Federazione Anarchica Livornese e del Collettivo Anarchico Libertario emesso il 10 aprile 2021: https://umanitanova.org/?p=13903

Dario Antonelli

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