La protesta dei rider non nasce in ottobre.
Non è lo sfogo scomposto di una minoranza scontenta e confusa che si ostina a non comprendere le enormi possibilità di guadagno derivanti del cottimo.
Non è la strenua difesa dei “5 euro all’ora” né tantomeno la pretesa di un posto fisso con contratto a tempo indeterminato.
Date le imprecisioni riportate sui giornali (probabilmente inevitabili) e le falsità diffuse dall’azienda (palesemente strumentali), tracciare una breve cronistoria della protesta e della comunità che l’ha sorretta vuole essere un modo per fare chiarezza su un’esperienza atipica di lotta e di autorganizzazione.
Conoscere la storia di questa piccola lotta aiuta a capirne le potenzialità, i limiti e gli orizzonti. Aiutare a inquadrarla nel giusto modo rispetto al contesto e al periodo in cui si sviluppa è per noi la possibilità di rinnovare l’invito a sostenerla, a diffonderla e qualora si ritenesse opportuno a replicarla.
TROVARSI
Foodora sbarca a Torino nell’ottobre del 2015, ma solo a partire dal marzo del 2016 inizia ad accrescere significativamente l’organico della flotta dei rider. L’espansione della flotta è legata alle previsioni di crescita degli ordini in città. E’ nei “punti di partenza” indicati per l’inizio dei turni che si sviluppano le prime brevi chiacchiere sulle condizioni lavorative. Brevi scambi di battute tra quattro o cinque colleghi, interrotti dalla secca “campanella” degli ordini via app. Filamenti di lagnanze, improperi e speranze intessuti tra le pieghe di un lavoro altrimenti atomizzante.
In quest’ambito si diffondono le prime voci circa la disparità di pagamento rispetto ai colleghi di Milano ed esce l’idea di creare una chat che raccolga i rider intorno alla proposta di chiedere che l’azienda copra almeno parte delle spese di manutenzione dei mezzi…
Il 25 marzo 2016 nasce “Foodora rimborsi danni”, la chat su whatsapp per soli rider, strumento di organizzazione, riflessione e sfogo lontano (per poco purtroppo) dallo sguardo vendicativo e paranoico di capetti e padroncini.
INCONTRARSI
La chat raccoglie decine di persone: chi è già deciso a lottare, chi è curioso, chi spera di trovare qualcosa di meglio di Foodora e non si vuole mettere in gioco, chi vuole semplicemente conoscere i propri colleghi…
Il 10 aprile 2016 ci si dà il primo appuntamento in piazza Castello: finalmente ci conosciamo!
Ci si parla sopra, si urla, si beve, sembra più una festa che un’assemblea…
Eppure è in questo caos che di definiscono le linee della comunità di lotta dei rider di Torino: “Foodora è un lavoro che ci piace fare, non sarà quello che faremo per tutta la vita ma vale la pena di provare a migliorare le condizioni lavorative”.
Un sindacalista della C.U.B. ha visionato i nostri contratti riscontrandovi diverse irregolarità: la cosa non può che legittimare un tentativo di rivendicazione…
Ma come reagirà l’azienda di fronte a delle richieste collettive? E chi sono poi i nostri “capi”?
L’AZIENDA
Il 12 aprile 2016 un gruppetto di noi incontra Gianluca Cocco, uno dei due giovani country manager di Foodora (l’altro è l’evanescente Matteo Lentini). L’incontro verte su problemi tecnici legati alla applicazione installata sul nostro telefono per lavorare. Rispetto al clima amicale propinatoci dai responsabili torinesi, l’impatto col caporione milanese è spaventoso e illuminante allo stesso tempo.
Annunciato da paternali non richieste sulla chat ufficiale di lavoro, il manager di persona dà il suo peggio: look alla Marchionne, demenziale utilizzo di parole inglesi italianizzate (“turni staffati”, “giacche expensive”), arroganza da vendere e tanta, tanta inadeguatezza.
Attitudine accentratrice (salvo poi rimettere alla casa madre tedesca tutte le decisioni importanti… “Io sono solo un responsabile, non ci posso fare nulla!”) e cieca attitudine gerarchica sono i tratti distintivi che marcheranno un solco ad oggi insanato tra “noi” e “loro”.
Un solco etico ancor prima che “di classe”, una differenza tra forme di vita che acuisce la percezione di uno scontro tra interessi tutto volto a vantaggio di una dirigenza odiosa e a danno dei lavoratori. Nell’incontro viene negata ogni possibilità di parlare di aumenti di stipendio e la sera i manager sulla chat di lavoro annunciano, senza alcun senso del pudore, di aver scelto (loro per noi!) dei rappresentanti tra i rider per i futuri confronti con l’azienda. I colleghi in questione rifiuteranno sempre questa loro particolare elezione.
PUNIZIONI
Non è però la sbruffonaggine di Gianluca Cocco a rendere “evidenza” ai nostri sentori circa la pessima gestione aziendale di Foodora, ma la quotidiana pratica nel reprimere ogni timida voce di lamentela o dissenso. Infatti con la crescita del volume di ordini il carico di lavoro per i rider si fa più pesante, cresce il nervosismo e la chat di lavoro diventa una sorta di agorà, dove emergono scazzi e malumori.
Il 3 maggio 2016 avviene la prima punizione esemplare: per una parolaccia scritta in un momento di stress un collega viene “sospeso”, ovvero viene espulso dalla chat e gli viene “tagliato” il turno con conseguente perdita in termini di guadagno. I capi fanno muro contro chi chiede come mai: “questa è un’azienda non un oratorio”, “ha commesso uno sbaglio oggettivo”, “che sia d’esempio per tutti”. In barba al contratto che pure sancisce l’inattuabilità di misure disciplinari contro i “collaboratori”.
Alla luce di ciò appare più subdolo e minaccioso il “consiglio” che sempre via chat il city manager di Torino dà, qualche giorno dopo, ad un altro rider che faceva rimostranze perché il suo turno era stato “tagliato” (eh sì, “flessibilità” vuol dire anche essere mandati a casa a metà del turno per mere esigenze aziendali…) : “pure io mi incazzo coi miei capi ti assicuro… ma ne parlo privatamente… lo dico per te… ti aiuterà in futuro”
CONTARSI
Le assemblee dei rider diventano più ordinate e partecipate e viene redatta una lettera di “proposte migliorative” da sottoscrivere e presentare ai manager. Le richieste principali sono: messa in pari della paga oraria con Milano (8 euro lordi all’ora, a fronte dei nostri 5.60), convenzioni aziendali con ciclofficine per la riparazione delle bici e dei motorini personali usati per lavorare, aumento di paga nei giorni festivi e rimborso delle spese telefoniche (internet e traffico voce). Il 12 giugno 2016 inizia la raccolta firme durante una festa organizzata in un parco.
Il 21 giugno 2016 dopo una raffica di sospensioni disciplinari la dirigenza chiude la chat di lavoro (“ce l’ha chiesto la Germania” sarà la patetica balla in proposito). In verità è la spia che il clima si è fatto pesante e l’azienda non tollera alcuna forma di critica.
Dal canto nostro affiniamo metodi e proposte di mobilitazione: assenza di leader o portavoce (per non esporsi a vendette e non replicare la miseria organizzativa aziendale), raccolta firme che “proponga” e non “richieda” (per non fomentare le paranoie antisindacali dei dirigenti), rifiuto del dialogo “face to face” coi capetti in favore di incontri collettivi.
Imporsi piano piano come forza collettiva in un’azienda che vorrebbe il lavoratore sempre e solo atomizzato e docile.
APRIRE LE DANZE
Il 28 giugno 2016 viene presentata la lettera corredata da 85 firme di colleghi (su una flotta di circa 120 rider). Ci presentiamo in gruppo e strappiamo al city manager un periodo di due settimane entro il quale ottenere una risposta. La dirigenza reagisce stizzita: Gianluca Cocco fa trascorrere le due settimane senza dare una risposta, poi via whatsApp annuncia di poterci ricevere a patto di essere inserito nella chat dei riders. Una provocazione inaccettabile che viene respinta.
L’udienza ci viene concessa soltanto il 21 luglio e si rivela una farsa: a parole la dirigenza accetta di fare le convenzioni con le ciclofficine e promette qualcosa circa il rimborso delle spese internet. Viene negata ancora la possibilità di discutere di aumenti salariali.
La scelta di Foodora di dilatare i tempi della “trattativa” fino a ridosso delle vacanze sembra pagare: con l’arrivo di agosto e il netto rigetto delle nostre istanze si smorza il cima di entusiasmo delle assemblee.
Continuano gli episodi di sospensione punitiva: un collega privato per settimane della possibilità di ottenere turni di lavoro lascia l’azienda.
SBILANCIAMENTI
Il 10 agosto 2016 personale della Digos fa visita agli uffici di Foodora e Pony Zero (che cura le assunzioni dei rider di Just Eat, diretto competitor di Foodora). Il motivo è la comparsa in giro per la città di volantini che denunciano la paga bassa dei rider e incitano a riprendere la lotta. Il city manager di Foodora, agitatissimo, dapprima cerca di usare un collega come delatore per scoprire gli autori del gesto, poi convoca due rider per saperne di più. I colleghi ne approfittano per aprire una specie di trattativa dalla quale salta fuori la vaga promessa di un aumento per tutta la flotta a partire da gennaio (vincolata però ad una crescita esponenziale del volume di ordini a Torino). Per la prima volta emerge che una possibilità di trattare sulle paghe c’è…
L’agosto rovente di Deliveroo a Londra sembra fornirci indicarci metodi e orizzonti, basta solo tornare in sella belli compatti…
COTTIMO
Se già a Milano Foodora aveva iniziato una nuova campagna di assunzioni senza pagamento orario a Torino è dai primi di Settembre che viene proposto il cottimo (per l’occasione ribassato a 2.70 a consegna, ma d’altronde “a Torino il costo della vita è minore” chiosano dall’alto). Col pretesto di una riorganizzazione generale della flotta in vista di pantagrueliche crescite di ordinazioni di cibo durante l’autunno viene condotta una scriteriata campagna di assunzioni con contratti al limite dello schiavismo… Ai rider con contratto ad ore non viene detto nulla, così come ai nuovi assunti i capetti si guardano bene dal dire che dei loro colleghi sono pagati per il tempo che versano all’azienda.
Le assemblee riprendono con vigore e molti dei nuovi assunti vengono coinvolti perché il lavoro di critica all’azienda riguarda tutti. Viene formulata una nuova rivendicazione: paga mista (fisso orario più qualcosa per consegna) e contrattualizzazione che tuteli i lavoratori dall’arbitrarietà che l’azienda si riserva nell’assegnare turni e dispensare punizioni.
IL TEMPO STRINGE
Molti rider col contratto ad ore visto il netto peggioramento delle condizioni di lavoro lasciano Foodora. Si diffonde la consapevolezza che questo sia uno degli obbiettivi della dirigenza: scorporare la comunità che si era riunita con la lettera firmata e le assemblee. In fondo il gioco è semplice: o vai verso la scadenza del contratto e poi ti adegui al cottimo o te ne vai…
Così come prendono consistenza le voci per cui l’azienda si serva di delatori per capire chi tiri le fila della “rivolta” (fatto questo poi confermato dagli stessi capetti).
Impossibilitati per mancanza di tempo a riorganizzare una raccolta di firme (al 30 novembre scadono tutti i contratti a tempo e l’unica possibilità per continuare a lavorare per Foodora sarà adeguarsi al cottimo), ci rivolgiamo ad un sindacato di base, il S.I.CoBas (conosciuto a Torino per la sua combattività e il suo radicamento nel settore dei lavoratori della logistica) per intraprendere la via della trattativa sindacale formale. I colleghi iscritti al sindacato sono sia “veterani” col contratto ad ore sia nuovi assunti con la paga a cottimo.
SOPERCHIERIE
Alla fine di settembre alcuni di noi (una quindicina) individuati dai capetti come i più riottosi vengono privati della possibilità di accedere alle tabelle orarie per prenotare i turni. Ad un collega che va in ufficio a chiedere spiegazione viene confermato che si tratta di una manovra per far fuori i 3 rompiscatole. Questa serrata de facto suscita lo sdegno di moltissimi colleghi presenti sulla chat di lotta e partono le prime reazioni pubbliche: recensioni negative su Fb per colpire là dove l’azienda investe di più ma è anche più fragile, l’immagine pubblica. L’azienda per chiarire propone l’ennesimo incontro “a invito” includendo i rider puniti in una chat che preannuncia un incontro conciliatore col manager Gianluca Cocco.
La nostra risposta è secca e proviene dagli uffici del sindacato: bando alle ciance, l’azienda ha 7 giorni di tempo per aprire una trattativa sindacale riguardante paghe e contratti.
L’ultimatum verrà disatteso con la solita boria (l’azienda non avendo formalmente dipendenti non riconosce la costituzione di sindacati al suo interno…). In più il 7 ottobre 2016 due promoter di Foodora vengono cacciate dall’azienda sulla base di voci che sostenevano la loro partecipazione ad una nostra assemblea (“che minchia c’entrate voi coi rider” tuona il capetto che le “licenzia” con una telefonata dopo aver chiuso loro il profilo per la prenotazione dei turni di lavoro).
La misura è colma…e la sera del 7 di ottobre viene proclamato lo stato di agitazione sindacale.
ROMPERE IL SILENZIO
La mattina dell’8 ottobre ci troviamo in piazza Vittorio. Non siamo tantissimi ma la tattica scelta per essere “efficaci” è ben rodata: ce l’hanno suggerita i colleghi di Deliveroo che a Londra hanno sconfitto il cottimo. L’idea è semplice: a gruppi ben visibili (importantissimo il ruolo delle gigantesche bandiere) si entra nei locali che si appoggiano a Foodora e si volantina a clienti, esercenti e lavoratori delle cucine. Nel frattempo si fa partire una campagna sui “social” che inchiodi l’azienda alle sue responsabilità e ne denunci le ipocrisie e le vessazioni…
I fatti successivi e la loro portata su scala nazionale (e non solo) sono noti a tutti.
La massiccia copertura mediatica ha garantito a livello nazionale il diffondersi del dibattito sulla “gig economy”. Lo spettacolo, l’opinione pubblica e i politici hanno preso le nostre parti in maniera unilaterale (anche se le risoluzioni da questi ultimi messe in atto si sono ad ora rivelate insufficienti e di facciata: cosa possono gli ispettori del lavoro se non sancire la propria impotenza davanti a decenni di smantellamento mirato delle garanzie dei lavoratori che finiscono per legalizzare situazioni “border line” come Foodora?) e sui social media lo “shitstorming” ha messo al tappeto mesi e mesi di impegno aziendale nel costruirsi una faccia presentabile.
Col suo rutilante carico di volantinaggi, cortei, presentazioni e serate benefit la lotta ha portato in brevissimo tempo a concessioni da parte dell’azienda (certo, da 2.70 euro a ben 3.60 euro a consegna oltre alle tanto agognate convenzioni con le ciclofficine… sì, quelle che avevano promesso a luglio…).
Gianluca Cocco e Matteo Lentini sono letteralmente scappati ad ogni occasione di incontro (salvo prodursi in un siparietto per presentare i benefici del cottimo…ricevendo una valanga di insulti) e hanno ingaggiato una costosissima unità di consulenza aziendale in comunicazioni (Barabino & partners) per districarsi dalla figuraccia mediatica e dal conseguente calo di ordini a Torino. Hanno inoltre deciso di fare un’ulteriore campagna di marketing a Milano per “tenere botta” al diffondersi delle pratiche di boicottaggio (assurdo pensare a quanto spendano pur di non trattare meglio i propri fattorini…)
E se a Torino una grande difficoltà è ampliare il numero di colleghi partecipanti alle iniziative di lotta (le punizioni e la promozione capillare della competizione danno in fin dei conti i loro squallidi frutti) abbiamo salutato con gioia l’inizio di una mobilitazione a Milano e le tante testimonianze di solidarietà da mezza Europa.
Tirando le somme: la dirigenza, pur facendosi una pessima reputazione, non vuole scendere a patti coi lavoratori, cerca di prenderli “per fame” (ci sono colleghi cui non danno turni da più di un mese, ma sui giornali possono negare le punizioni in virtù del fatto che non sono state operate “rescissioni formali del contratto”…), persegue nell’imporre il cottimo e nell’insabbiare la lotta sperando di poter contare sul menefreghismo dei clienti e dei lavoratori; noi incassiamo qualche piccola vittoria, molte soddisfazioni e proseguiamo i nostri percorsi di solidarietà e denuncia del precariato.
E ORA?
Dopo più di un mese di lotta, nonostante i successi ottenuti e le piccole migliorie per i rider, la stanchezza si fa inevitabilmente sentire e la copertura mediatica della protesta tende a sparire.
L’allargamento sociale della lotta (presso colleghi di altre aziende del food delivery e più in generale presso i precari) e delle riflessioni sulle nuove modalità di sfruttamento del lavoro precario resta una priorità insieme alla diffusione degli strumenti di critica al cottimo presso i colleghi più restii a mettersi in gioco. Gli spazi di manovra per quanto riguarda le possibilità di dialogo con l’azienda si assottigliano sempre di più e così le possibilità di ricevere una proroga del contratto per coloro che dall’inizio delle proteste sono puniti per aver protestato.
Ma stiano pur certi a Foodora che manager, capetti e spie non la spunteranno tanto facilmente e che i mezzi, la pazienza e la determinazione per scardinare questo infame dispositivo di caporalato digitale non ci mancheranno mai…
Ai solidali, ai simpatizzanti, ai colleghi e ai compagni che da ovunque intendano continuare a sostenerci l’appello resta invariato: denudare Foodora del manto “cool”, “smart” e innovativo denunciando il cottimo e il caporalato, creare dibattito sul lavoro ultra-precarizzato, promuovere percorsi di consumo critico e sbizzarrirsi in esercizi di solidarietà attiva. Ma soprattutto intraprendere percorsi di autorganizzazione della lotta.
Per mesi abbiamo studiato l’azienda, l’abbiamo vissuta, l’abbiamo subita e ne abbiamo compreso punti di forza e di debolezza.
Nella lotta abbiamo messo in comune intelligenze, capacità pratiche, contatti utili, legami e fiducia.
Ci siamo conosciuti e riconosciuti, siamo diventati qualcosa di più che dei semplici colleghi, qualcosa di diverso da degli atomi in corsa nel traffico agli ordini di un computer.
Nella lotta siamo diventati amici, complici, amanti.
Abbiamo riscosso una solidarietà insperata.
La posta in gioco non è più solo strappare un contratto decente ad una manica di sciacalli (che pure han pure la faccia tosta di passare per benefattori), ma scoperchiare un sottobosco dove , nelle zone grigie del diritto e forti della gran massa di disoccupati a disposizione proliferano covate di nuovi arrivisti.
Se questa lotta ha un merito è sicuramente quello di aver indicato, proprio laddove veniva veementemente negato, quel vecchio solco insanabile tra chi sfrutta e chi, sfruttato, gli si oppone.
Torino, novembre 2016
Deliverance Project Torino