Alla sua morte, Pannella ha ricevuto da parte dell’intero corpo politico dello Stato Italiano in tutte le sue articolazioni, da quelle più o meno partitiche a quelle istituzionali, un omaggio corale. C’è chi ha parlato – ad esempio Emma Bonino – di ipocrisia, ma non si trattava di questo: in effetti, dietro all’intera azione politica dello scomparso c’era una concordanza di fondo con l’attuale sistema politico-economico che va sotto il nome di “neo”liberismo ed è questo, in effetti, di là di punti di disaccordo inessenziali, che gli è stato riconosciuto. Per capire la cosa, occorre avere bene presente alla mente quali sono i punti fondamentali del pensiero liberale cui egli, in ogni momento della sua esistenza ed azione politico-sociale, si è sempre richiamato.
Cominciamo con il ricordare come egli abbia sempre affiancato a tutta una serie di battaglie per i “diritti civili” la propaganda di un liberismo sfrenato, “all’americana”, come diceva lui, intendendo con ciò le linee guida della cosiddetta “Scuola di Chicago”. Per capire il senso profondo di questo connubio, il fatto cioè che il primo punto serva solo a mascherare la macelleria sociale insita nel secondo (la quale poi andrà ad annullare anche il primo), vale la pena di rifarci al primo progetto sociale il cui scopo dichiarato era la “felicità” degli esseri umani: l’epicureismo. Oltre duemila anni fa, era già chiaro che il fondamento irrinunciabile della felicità erano i “diritti sociali” (nel linguaggio epicureo, i “desideri naturali e necessari”): senza la garanzia di una dignitosa e sicura esistenza materiale, il resto era fuffa inessenziale, se non dannosa. Certo, Epicuro inseriva l’affettività tra questi bisogni da soddisfare necessariamente allo scopo di vivere felici, ma oltre ad un valore in sé gli attribuiva il compito specifico di garantire i bisogni materiali tramite processi, diremmo oggi, di mutuo soccorso, andando a formare con gli “amici” delle comuni egualitarie in cui vivere insieme e tenersi lontani il più possibile da ogni forma di potere politico ed economico, la cui presenza era sicura garanzia di infelicità.(1)
Tornando al nostro Pannella ed osservandolo da questo punto di vista, è interessante notare come le sue battaglie per i “diritti civili” fossero legate tutte agli aspetti dell’affettività (ivi compreso l’amore di sé), mentre la sua adesione radicale al liberismo più sfrenato tendeva a negare la sicurezza nella soddisfazione dei bisogni materiali, anche quelli più elementari. Che senso ha però, ci si potrebbe chiedere con logica stringente, garantire, per esempio, il matrimonio omosessuale ed allo stesso tempo eliminare il passaggio della pensione al coniuge sopravvissuto e senza mezzi? Che senso ha, per fare un altro esempio, garantire i diritti alla maternità ed allo stesso tempo far sì che il datore di lavoro ti possa licenziare impunemente se li chiedi? Potremmo andare avanti a lungo con questo genere di esempi; Pannella, però, nella tradizione del pensiero liberale, non è affatto solo in simili contraddizioni che, in realtà, tali non sono se si esplicitano alcuni presupposti (oggi) nascosti di esso.
Andiamo alle origini e vediamo un aspetto della biografia dell’unanimemente riconosciuto fondatore del pensiero liberale: John Locke (1635-1704): questi fu uno dei maggiori esponenti dei whigs e, dopo una fallita congiura contro Giacomo II Stuart andò in esilio nei Paesi Bassi, dove fu attivo sostenitore di Guglielmo d’Orange e, quando questi nel 1689 dopo la vittoria della “gloriosa rivoluzione” divenne re d’Inghilterra, tornò in patria divenendo il maggiore esponente del nuovo regime liberale, nel quale ricoprì incarichi importanti tra cui quello di consigliere per il commercio nelle colonie, dove appoggiò la schiavitù in quelle americane. Oggi diremmo che era coinvolto in un “conflitto d’interessi”, poiché traeva ingenti profitti dalle azioni della Royal African Company, una delle compagnie commerciali più note nella tratta degli schiavi.
Insomma, alle origini del pensiero liberale abbiamo un mercante di schiavi. Si potrebbe parlare di una contraddizione tra il pensiero e la prassi, se non fosse che la libertà rivendicata dal pensiero liberale è una libertà riconosciuta solo ad alcuni esseri umani: meglio a tutti gli esseri umani, perché non tutti lo sono, pur assomigliando esteriormente ai “veri uomini”. Locke, infatti, affermava nel Trattato sul Governo sia che ci sono uomini “per legge di natura soggetti al dominio assoluto e al potere incondizionato dei loro padroni” sia che, in ogni caso, anche l’intelligenza della classe lavoratrice libera era comunque, per natura, inferiore a quella delle classi borghesi e, generalmente, dominanti e, pertanto, andava esclusa dai diritti politici. In pratica il pensiero liberale ipotizza, come è stato detto, una “democrazia per il popolo dei signori”; d’altronde la posizione lockiana è stata presente in tutta la tradizione liberale classica fino a tempi recenti (si pensi alla diffusione del pensiero nietzscheano, che cita esplicitamente la tradizione del liberalismo schiavista sudista).(2)
L’universalizzazione di determinati diritti civili, politici e sindacali, insomma, non è avvenuta grazie al liberalismo, ma assolutamente contro di esso, grazie alle sanguinose battaglie del movimento operaio e socialista. Si tratta, però, come purtroppo vediamo oggi, di conquiste momentanee e, non appena ha potuto, il pensiero liberale ha mostrato il suo vero volto.
A questo punto, l’infelice ideologia che Giacinto Pannella detto Marco ci ha propinato per decenni, ingannando spesso anche molti compagni poco attenti, si mostra per quella che è: come dicevamo, la rivendicazione di una democrazia per il popolo dei signori e della subordinazione priva di diritti per tutti gli altri. I signori, se vogliono, devono potersi sposare con chi vogliono, tanto l’eredità pensionistica è l’ultimo dei loro problemi. I signori, se vogliono, possono entrare in maternità quando vogliono, tanto non licenzieranno se stessi. Sola differenza con liberalismo classico, in apparenza i diritti civili sono universali – tanto i sotto uomini che non ne avrebbero diritto non potranno esercitarli. Chissà perché non ho pianto alla sua morte.
Enrico Voccia
(1) L’aspetto protocomunista e libertario dell’epicureismo è stato recentemente messo bene in luce da una particolare traduzione commentata passo passo del De Rerum Natura di Lucrezio: ODIFREDDI, Piergiorgio, Come Stanno le Cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere, Milano, Rizzoli, 2013. Giusto per una chicca, il concetto “ad ognuno secondo le proprie necessità, da ognuno secondo le proprie possibilità” è espresso da Lucrezio nel suo panegirico, diremmo oggi, del “comunismo primitivo” (vedi i versi 1005-1135 del V libro).
(2) Queste tematiche sono sviluppate ampiamente in LOSURDO, Domenico, Controstoria del Liberalismo, Roma-Bari, Laterza, 2005 (per una breve sintesi www.filosofia.it/images/download/argomenti/Int_Losurdo_controLiberalismo.pdf) La pars costruens del testo è assai più debole della pars destruens, ma questa è un’altra storia.