L’Espace Noir: l’autogestione e la sua storia – Intervista a Michel Nemitz (seconda parte)

Umanità Nova: Michel, il cognome della tua famiglia ha origini polacche o sbaglio? Quando i tuoi “avi” si sono trasferiti in Svizzera?

MN: Il nome Nemitz è stato “francesizzato”, è storia vecchia; siamo diventati svizzeri nel 1848, insieme al Canton Neuchâtel, in pratica…Inoltre non credo che i miei antenati venissero proprio dalla Polonia. C’è un paesino che si chiama Nemitz, ma che non si trova proprio in Polonia; Nemitz vuol dire: tedesco-polacco…Insomma, non sappiamo se siamo tedeschi o polacchi

UN: O entrambe le cose…

MN: Beh, sì…siamo soprattutto internazionalisti (risate). In ogni caso, esiste questo villaggio che si chiama Nemitz, in cui vivono dei Nemitz, che attualmente si trova nella Germania orientale. Era prussiano prima. I membri della mia famiglia non sono stati battezzati, mentre tutti i Nemitz che conosco e che sono stati battezzati, o che sono religiosi, sono piuttosto protestanti; dunque saremmo più tedeschi che polacchi, alla fine. Ma, evidentemente, siccome i miei genitori sono della generazione che ha vissuto la seconda guerra mondiale, hanno preferito dire che erano polacchi…(risata un po’ agra di Michel)

UN: Avevo letto che da tua nonna in poi, nessuno della tua famiglia è stato battezzato. Neanche tua figlia lo è.

MN: Sì, è esatto. Ciò riguarda il ramo materno. Mia madre non era battezzata e sua madre, mia nonna, neanche, perché suo padre era anarchico, era un orologiaio anarchico della regione che lavorava a domicilio e che ho conosciuto poco, poiché è morto nel 1917…

UN: Eh sì, mi pare difficile. Tu sei del 1958. Hai abbandonato la scuola di commercio prima della maturità e hai fatto tanti lavori, soprattutto manuali, nella tua vita: operaio nel settore chimico e nella metallurgia, versatore di latte nei caseifici; hai lavorato in una drogheria, poi in una libreria, e altri mestieri ancora; insomma un bel po’ di cose…

MN: sì, non sono mai rimasto troppo a lungo in un posto. Ho fatto un po’ di cose, ma soprattutto del part-time, il che mi permetteva di fare il militante, ad esempio per stare all’associazione in difesa dei disoccupati (di La Chaux-de-Fonds, di cui avevamo parlato nella prima parte dell’intervista uscita sul numero 8 di Uenne); ci si divideva i compiti con i compagni per fare un pomeriggio o un paio di pomeriggi ciascuno.

UN: Poi hai fatto parte del Gruppo per una Svizzera senza Esercito (GSsE) che arrivò a raccogliere 111.300 firme (più delle 100.000 richieste) per lanciare un’iniziativa popolare che, il 26 novembre 1989, vide 1.052.442 persone (35,6%) votare in favore della mozione per abolire l’esercito e con una partecipazione del 68,6% di votanti. Avevi contributo a fondare il Movimento Anti Razzista (MAR), che è stato molto attivo negli anni dal 1987 al 1990 e che oggi non c’è più. Chi eravate?

MN: Alcuni compagni della FLM (Fédération Libertaire des Montagnes) e altri partecipanti provenienti da gruppi diversi. È stata un’esperienza che riuscì a coinvolgere, per esempio, più di mille persone a sfilare in corteo per le strade di La Chaux-de-Fonds. È stato un movimento vasto per i parametri svizzeri. Negli anni settanta e ottanta fervevano le attività di movimento; avevo aderito con parecchi altri libertari a un piccolo sindacato di base, la CRT (Confédération Romande du Travail), ad esempio, oggi scomparso. Negli anni ottanta abbiamo partecipato, come FLM, alla rinascita de “Le Réveil anarchiste” (Il Risveglio anarchico –  fu uno dei periodici più autorevoli del movimento anarchico internazionale, fondato da un gruppo di emigrati ed esuli italiani in accordo coi compagni svizzeri, tra cui il sindacalista ticinese Luigi Bertoni, che divenne il punto di riferimento del periodico, pubblicato a Ginevra dal 7 luglio 1900 al 24 agosto 1940 in due lingue: italiano e francese. Al periodico collaborarono molte delle firme più autorevoli dell’anarchismo internazionale, tra cui Piotr Kropotkin, Errico Malatesta, Luigi Fabbri e Camillo Berneri-). C’è un libro su Luigi Bertoni, a cura di Gianpiero Bottinelli del Circolo Carlo Vanza, nella nostra biblioteca.

UN: Bottinelli, che dovrebbe aver superato i 76 anni nel frattempo, mi ha raccontato tempo fa al Circolo Carlo Vanza di Bellinzona che conosceva la mamma di Marianne Enckel, Marie-Christine Mikhaïlo, con la quale ripresero, mamma e figlia, nel 1963, il CIRA di Losanna. Il CIRA era nato, in realtà, a Ginevra, nel 1957, per merito dell’obiettore di coscienza italiano Pietro Ferrua, di un esiliato bulgaro, Mikhailo, appunto, e di un anarchico svizzero, André Bösiger. Alla rinascita de “Le Réveil anarchiste” hanno collaborato tra gli altri, tra la fine degli anni 70 e durante gli anni 80, proprio Marianne Enckel, Gérard Tolck e lo stesso André Bösiger, cioè uno dei fondatori del CIRA.

MN: Credo di ricordare che Marianne e sua madre siano diventate anarchiche insieme, non che una abbia preso dall‘altra. Alla fondazione del CIRA furono coinvolti, oltre al compagno della mamma di Marianne, non pochi italiani e spagnoli immigrati, più i vecchi della “Ligue d’action du bâtiment” (Lega d’azione dell’edilizia), tra cui André Bösiger che aveva fatto parte della FOBB (Fédération des ouvriers des bois et du bâtiment, il sindacato dei lavoratori edili, diventato oggi, dopo la fusione con la FTMH, il sindacato dei metallurgici, l’UNIA, il più grande sindacato svizzero). All’interno del sindacato degli edili (FOBB) degli anarchici ginevrini avevano creato un gruppo di azione diretta chiamato la “Ligue d’action du bâtiment”. Una delle loro azioni consisteva nell’andare sui cantieri di sabato e demolire ciò che era stato costruito durante il sabato.

UN: Facevano del sabotaggio, insomma.

MN: Esattamente. Fatto sta che potevano ritrovarsi in prigione, perché facevano queste azioni a volto scoperto.

UN: Qual è il percorso che ti ha portato all’anarchismo?

MN: Beh, negli anni dopo il ‘68, c’erano parecchi partiti che si rifacevano al pensiero marxista-leninista. Eravamo in pochi, a me non piacevano le loro teorie che trovavo troppo autoritarie e, in più, negavano i problemi che c’erano in Unione sovietica. È un po’ come oggi: si vuole che ti schieri coi russi o con gli americani…

Per cui mi sono documentato sull’anarchismo. Ho letto dapprima l’anarchismo di Daniel Guérin, poi, visto anche che c’era stato un movimento anarchico nella regione, sono andato in biblioteca e ho letto un po’ di roba.

UN: Michel, prima di chiudere, vorrei chiederti del caso Cospito. Stamattina mi hai detto che Axl ieri (20.02.2023) ha incontrato le autorità municipali, tra cui la polizia, in relazione ai RIA 2023, e che gli hanno mostrato una foto in cui esponete uno striscione in solidarietà con la battaglia di Cospito.

Cosa mi puoi dire, in proposito?

MN: Mah, intanto, la foto l’abbiamo scattata noi…Dev’essere finita sui social. Personalmente, io sono già “bruciato” e non mi copro certo il volto… E poi non è mia tradizione. Ciò che faccio, per cui lotto, lo rivendico. Certamente non è una cosa senza rischi. Per quanto riguarda i RIA, penso abbiano voluto sapere da Axl se intendiamo fare qualcosa in questo senso.

UN: Le autorità italiane avranno chiesto a quelle svizzere…

MN: Hanno sicuramente comunicato tra di loro, sapendo che è previsto un grande incontro anarchico a luglio. In ogni caso, se saremo ancora sui 4000 e passa la vedo difficile per loro…Sarà un po’ come nel 1972, quando era venuta un sacco di gente, tra cui gli italiani. Quando la polizia politica ha saputo che le persone si riunivano al ristorante de “La clef”, per commemorare i 100 anni dal congresso di St.Imier, si è subito interessata alla cosa. Forse pensavano di trovare delle armi o chissà cosa. In ogni caso, hanno prelevato tutte le targhe parcheggiate nei paraggi…

UN: Mi avevi detto che non saresti venuto l’altr’anno ai RIA-D, che ancora ti dovevi riprendere da quelli del 2012…Nel 2023 pensi di fare un passaggio oppure no?

MN: Non voglio passare per un vecchio rompipalle. È il mio carattere. Magari vedo delle cose che non vanno e avrei la tendenza a intervenire, magari causando una reazione da parte dei giovani che si sentirebbero “controllati”. No, non è questo lo scopo. Preferisco non essere presente. Bah, è una cosa molto personale.

UN: Beh, fai un po’ come ti pare…

MN: Lo spero.. (Risate)

***

Michel è fatto così: generoso, impegnato in tremila cose, ma non al punto da sembrare “ingombrante”. Semmai interviene a levare d’impaccio gli altri, come nel marzo 1999, quando testimoniò a processo in difesa di una coppia di compagni, rei di aver dato alloggio al brigatista Ghiringelli, nella cui sacca furono rinvenute delle armi, paragonandoli a  “La Jeanne” e a “L’Auvergnat” di Brassens… Una coppia, testimoniò, abituata ad ospitare gente e che non aveva compreso che, nel caso di Ghiringelli, “il gatto randagio fosse più paragonabile a un lupo”…

Espace Noir

UN: Sulle origini di Espace Noir, mi avevi detto che fu Maurice Born, architetto libertario, a creare il progetto, a fine 1984.

MN: Sì, qui era tutto in rovina. Il Comune voleva fare un parcheggio (che sarebbe stato più redditizio). Il vicinato si oppose e il terreno venne, di conseguenza, svalutato. Fu allora che venne ripreso da Maurice.

UN: A proposito di Comune, un po’ di tempo fa, non avevi falsificato dei biglietti dei trasporti pubblici?

MN: Sì, fu quando il Comune di La Chaux-de-Fonds aveva aumentato le tariffe dei mezzi pubblici. Avevamo, con dei compagni, fabbricato dei mini abbonamenti…Ci fu anche un processo, nel quale fummo assolti, poiché il giudice ha ritenuto che…

UN: …fosse una buona azione?

MN: No, non è esattamente ciò che ha detto…(risate). Ha ritenuto che il caso non creava un precedente giuridico tale da dover essere perseguito. Per ritornare a Maurice Born, ebbe il denaro per comprare il terreno da un’eredità. Alla cooperativa culturale di Espace Noir, che aveva creato con altri compagni, la cessione venne rifiutata, poiché non dava garanzie, si paventava che fallisse e cose di questo genere.

UN: Espace Noir è una cooperativa culturale autogestita che comunque è un progetto a sé stante. Non è integrata, per dire, nella FLM.

MN: Esatto. Vogliamo che sia un luogo d’incontro per i diversi gruppi e le diverse tendenze del movimento, per le persone della regione, che sia qualcosa di aperto a tutte e tutti.

UN: Dal punto di vista autogestionario, il progetto lo fu sin dall’inizio.

MN: Sì. Maurice ha fatto i piani e con un gruppo di compagni di St.Imier si sono dati da fare nella costruzione. Poi è chiaro che per le utenze, l’elettricità ad esempio, hanno dovuto ricorrere a una ditta, ma per il resto, è stato tutto costruito da loro.

UN: Maurice Born, che era di St.Imier, non c’è più…

MN: Sì, se n’è andato un paio d’anni fa. Dopo aver lasciato EN, si era dedicato alle edizioni Canevas, che hanno pubblicato, oltre a svariati autori locali, ad esempio, i 3 discorsi di Bakunin agli operai orologiai di St.Imier o rieditato la storia della Federazione Giurassiana di Marianne Enckell.

UN: EN aprì i suoi battenti nel 1986, dopo quasi 2 anni di lavori. Tu sei subentrato nel 1988, giusto? Hai conseguito più tardi anche un diploma si ristoratore.

MN: Si, è esatto. La licenza la devi comunque avere per gestire la taverna. Quando il precedente compagno che l’aveva, Jacques Faser, se n’è andato, ho preso il diploma, perché non ci rompessero con questa storia della licenza…

UN: EN ha un teatro con un palco o una sala concerti, una biblioteca, una taverna, un cinemino di 35 posti (il più piccolo della Svizzera si legge da qualche parte) e degli appartamenti ripartiti su più piani percorsi da dei ballatoi interni alla struttura, dove spesso sono esposti dei quadri o trovano spazio delle iniziative culturali in genere. Appartamenti che ospitano ad esempio persone con situazioni abitative difficili o profughi, come attualmente degli ucraini o dei compagnə di passaggio. Per essere relativamente piccolo, EN è comunque un concentrato di attività…

MN: Beh sì, nella sala concerti o teatro (nel sottosuolo) possono stare sedute sulle 70 persone o durante i concerti trovare posto, con l’andirivieni, anche un centinaio. E nel sottosuolo c’è anche il nostro cinema.

UN: Volevo farti invece una domanda più pertinente alle difficoltà relative all’autogestione, senza per questo, volervi fare i conti in tasca…Tutto intorno a noi vige il sistema capitalista, per cui, immagino che dev’essere stata dura resistere tutti questi anni, riuscendo comunque a far quadrare i conti.

MN;: Sì (Michel si fa più serio)…Soprattutto considerando che EN si trova in un paesino di 5000 abitanti. La gente che viene dal paese o dai dintorni ci sostiene con le sottoscrizioni, poi ci sono quelli che ci danno dei contributi di 50-100 franchi all’anno, ma è chiaro che arriviamo sempre abbastanza al limite coi conti…

UN: EN, che ottiene una minima sovvenzione dal Comune, potrebbe essere in aperta contraddizione coi principi anarchici… Immagino che la sovvenzione sia giustificata dal Comune per scopi culturali.

MN: Sì è così. Per quanto riguarda la sovvenzione, che come hai detto non è proprio enorme, non sono soldi statali….Sono soldi della collettività gestiti dallo Stato…

UN: Bravo Michel, bella risposta! In ogni caso siete ancora qui dopo quasi 40 anni.

MN: Sì, non è stata una cosa semplice; un paio di volte eravamo sull’orlo del baratro e siamo dovuti ricorrere al crowdfunding, va ricordato anche questo.

UN: Qualcuno che lavora a EN percepisce un salario?

MN: Allora, la maggior parte delle persone qui sono volontari, poi è chiaro che se lavori alla taverna, ad esempio, dove ci sono degli orari, ricevi una paga. È altrettanto vero che la disponibilità per i turni la danno i collaboratori e le collaboratrici. Ciò vuol dire che per coprire i diversi turni ci vogliono tante persone disponibili. La paga non è certamente alta e le persone o hanno un lavoro accanto o prendono dei sussidi di disoccupazione per vivere.

UN: Grazie Michel, per la tua consueta franchezza e della bella chiacchierata.

MN: Grazie a te.

***

Alla taverna di Espace Noir, dopo aver lasciato Michel, incontro Pierre-Alain Zermatten, letteralmente uno dei costruttori di Espace Noir. Mi racconta di come, nel novembre 1984, lui Maurice Born e altri compagni e compagne costruirono l’edificio attuale sulle rovine di un casamento antecedente del 1920. Pierre-Alain mi indica le travi in legno massiccio del soffitto della taverna, sfidando sé stesso nel riconoscere quali vennero prese dalla vecchia costruzione e che datano quindi di ormai più di un secolo. Come Umanità Nova, del resto…

Un compagno della redazione

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