La scabrosa questione delle “liste di proscrizione”, applicate con puntiglio nella selezione della manodopera addetta ai padiglioni dell’Expo, non accenna a quietarsi a dispetto della fitta cortina di silenzio che la circonda.
Riassumendo, le prime notizie erano state rivelate da una nota radio milanese, in seguito riprese da alcuni organi di informazione di secondo o terzo livello ma anche dalla stampa del gruppo De Benedetti (Repubblica ed Espresso), che avevano dato spazio - una tantum - alla notizia, forse più per un tentativo di smarcarsi dal gregge e poter fare così bella figura nei confronti dei lettori più democratici che per dovere di cronaca.
Per il resto, dimostrando cosa si intenda per giornalismo investigativo di stampo anglosassone, gli altri organi di informazione avevano invece scelto di collocare l’intera vicenda sotto il classico tappeto per non disturbare i manovratori, ovvero la società Expo, la Questura di Milano e il Ministero degli interni, che di questo pasticcio sono stati gli artefici.
Dato che per le alte sfere l’argomento appare alquanto scomodo, perché mai turbare l’animo dei cittadini mettendo in piazza alcune inconfessabili verità che riguardano l’Evento dell’anno ?
Se dell’Expo siamo quotidianamente obbligati a parlare – si sarà detto qualcuno – è sufficiente pubblicare quotidianamente un paio delle tante ed inconsistenti note di costume confezionate dai redattori della cronaca cittadina ed il dovere di cronaca è soddisfatto. E infatti così è stato.
Ciononostante la questione dei licenziamenti “per motivi di sicurezza che non possono essere rivelati” non accenna a placarsi.
Se non altro perché – esaminando i fatti – tutta la vicenda appare come un clamoroso autogol, l’ultimo di una lunga serie, dovuto a quel pressappochismo che è la principale caratteristica dell’Expo.
Un madornale errore di tempistica che ha creato il fattaccio, se si considera che molti tra gli addetti felicemente assunti per l’Expo (ormai il numero di 5/600 persone coinvolte nel pasticcio è più che congruo) erano stati esaminati preliminarmente, poi selezionati tra i migliori e, dopo avere superato tutte le ulteriori prove, finalmente considerati idonei e assunti, infine debitamente muniti di “pass” personale e di divisa di ordinanza e avviati al lavoro nei padiglioni …
… solo per essere improvvisamente licenziati in tronco, non perché siano risultati incapaci di svolgere le mansioni loro assegnate o perché abbiano mostrato segni di squilibrio mentale, bensì perché sono stati segnalati come “indesiderati” da un qualcosa, un qualcosa che alla fine ha avuto anche un nome: Archivio SDI.
Verosimilmente, l’operazione di verifica sui candidati avrebbe dovuto operare in maniera “soft”, scartando preventivamente coloro che risultavano sospetti (e qui ci sarebbe molto da discutere su cosa si intenda per “sospetto”)
In realtà, ciò che ha creato il pasticcio è stata la lentezza della macchina burocratico-poliziesca, che ha imposto (oppure solo suggerito, a seconda delle opposte versioni dei fatti) il ritiro dei “pass” e i conseguenti licenziamenti quando ormai il tempo massimo era già scaduto, ovvero quando coloro che a posteriori sarebbero stati espulsi erano probabilmente già all’interno del sito, magari al lavoro per apprestare gli stands.
Un particolare del tutto insignificante per un meccanismo che, una volta messo in moto, procede inesorabilmente la sua marcia senza porsi dubbi di sorta.
Un disastroso errore che ha posto in grave imbarazzo il Governo e, a maggior ragione, il Viminale, perché ha rivelato un segreto di Pulcinella: l’esistenza di un archivio informatico in base al quale ogni cittadino italiano potrebbe (ma il condizionale è corretto in questo caso?) essere stato oggetto di una attività “informativa” nel corso della sua vita.
Una serie di note, segnalazioni o altro, atte a dare conto della personalità del soggetto e della sua eventuale pericolosità per il cosiddetto ordine pubblico.
Per dare un esempio concreto, un conoscente di chi scrive, persona di retto comportamento e con prole, dovendo ottenere un attestato rilasciato dalla Questura si è sentito chiedere con spiacevole insistenza spiegazioni in merito alla sua frequentazione di un certo bar, avvenuta circa quindici anni addietro.
Solo a posteriori costui si è ricordato che il locale era poi stato chiuso in quanto luogo di piccolo spaccio e, facendo mente locale, ha con sorpresa collegato le domande postegli con l’attività “collaterale” del bar, alla quale era comunque del tutto estraneo. Ma il suo nome risultava all’epoca tra i frequentatori del locale … e risulta ancora oggi a quanto pare.
Informazioni e dettagli personali che, come il caso Expo ci dimostra in maniera lampante, anche in mancanza di denunce in corso o di condanne penali potrebbero prima o poi ritorcersi contro chiunque all’improvviso, senza che il tapino di turno possa smarcarsi da un qualcosa che non solo gli è totalmente ignoto ma che lo condanna inesorabilmente e senza processo.
Considerati il totale silenzio stampa mantenuto fino ad oggi dal governo e la confusa quanto imbarazzatissima spiegazione fornita dal sottosegretario agli Interni Bubbico, é evidente che la topica delle liste di proscrizione ha messo a nudo una questione riservata. Possiamo quindi solo immaginare quale scompiglio abbia creato nelle alte sfere del Ministero degli interni.
Come sembra dire un grande quotidiano … se sei stato licenziato è perché hai frequentato i Centri sociali e così impari la prossima volta … fornendo al Viminale un penoso “assist” che, in realtà, peggiora ancor di più la situazione.
Sia perché le discriminazioni (arbitrarie) poste in essere hanno spesso ben poco a che vedere con la frequentazione di Centri sociali, sia perché questa furbesca e semplicistica spiegazione ha un fondamento giuridico assai poco solido.
Per quanto ci riguarda, il fatto che esista un qualsivoglia sistema di schedatura politica non ci sorprende né tanto né poco. Anzi, ci saremmo meravigliati se non esistesse.
Sappiamo invece molto bene che esiste da sempre e ne siamo da sempre pienamente coscienti, così come sappiamo che, da che mondo è mondo, il capitale ha da sempre utilizzato le informazioni di provenienza questurina per valutare le assunzioni di personale e per fare attività di spionaggio nelle aziende.
Così come non ci stupisce che una attività di schedatura venga utilizzata per colpire coloro che si ingegnano a rimediare un salario qualsiasi, anche di merda, a dispetto di essere stati elegantemente definiti Bamboccioni o Choosy da quella classe dirigente che oggi gode del massimo discredito.
ZTL