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Le due velocità

Le due velocità

Molte realtà del sud Italia viaggiano a due velocità ma, a ben pensarci, il fenomeno non è solo del sud: questo dualismo si evidenzia sicuramente con maggior vigore nei territori meridionali italiani, ma è un fenomeno che interessa l’intera area europea. Due velocità in termini di attuazione di piani strutturali, di investimenti, di ammodernamenti, di strategie tese ad un non meglio identificato sviluppo: processi che viaggiano scientemente separati, spesso agendo nello stesso contesto regionale.

A ben osservare il territorio nazionale abbiamo due coste, quella Tirrenica e quella Ionico-adriatica: nella prima “sfrecciano” i treni ad alta velocità, pur se tale linea si ferma in Campania; sull’altra dorsale dondolano intercity o cigolano treni diesel. Passando al trasporto su gomma, abbiamo sulla costa tirrenica la più grande autostrada del paese, l’autostrada del sole e la rinnovata Salerno-Reggio Calabria, mentre dall’altro versante ci si ritrova la statale Romea, l’autostrada adriatica e la SS 106 un’arteria spesso caratterizzate (soprattutto le statali) da restringimenti, tratti sconnessi, pendenze anomale e tutta una serie di problemi assai più peculiari per un tratturo che per una grossa arteria di traffico.

Queste le due velocità ma il fenomeno, nella sua complessità, si trasferisce quasi intonso nelle aree urbane con la storicizzata dualità centro periferia: anche qui la dotazione di servizi va scemando in maniera direttamente proporzionale alla distanza dal centro urbano, rade linee di autobus, soppressione di corse durante i fine settimana, soppressione di treni per pendolari.

La questione si fa più preoccupante quando ad essere poste a confronto sono le aree costiere con quelle dell’entroterra, (con ovvia esclusione dei grossi centri del centro e del nord Italia, altra dualità) trasporto pubblico quasi inesistente, infrastrutture promesse da decenni e mai realizzate o cantieri interrotti e mai più ripresi per collegare i monti coi mari.

Questo scenario non serve solo a descrivere in cosa consistono le due velocità, serve anche e molto di più a capire le dinamiche economiche da un lato e l’abbandono scientifico di ampi pezzi di territorio dall’altro.

Intere aree vengono etichettate come di scarsa rilevanza economica o a “scarsa competitività locale”, quindi non meritevoli di investimenti infrastrutturali ma, in tutto questo, il dato paradossale è che alcune di queste aree sub urbane, pur trovandosi nei corridoi preferenziali di investimento, sono considerate alla stregua di isolati abitati rurali dispersi sui monti.

L’incapacità delle amministrazioni locali ha giocato un ruolo chiave in questo processo di sdoppiamento, non è però tutto imputabile solo alla negligenza degli enti locali od alla voracità di talune comunità montane. Questo poteva essere vero fino agli anni ’90, ora il discorso è un po’ più complesso e deve essere decostruito a partire dai principi della “sostenibilità economica” dell’opera e del ritorno dell’investimento che acuisce le due velocità, portando ad investire sulle aree maggiormente frequentate e tagliare quelle “improduttive”, delegando nel caso dei trasporti il tutto alla libera impresa privata (il caso delle autolinee che sostituiscono le corse dei treni sul versante ionico-adriatico) o al trasporto individuale.

La rilevanza economica di un qualsiasi riassetto del territorio, da un punto di vista infrastrutturale, diventa la conditio sine qua non per operare e sbloccare situazioni paradossali quanto disastrose, il che spazza via la rilevanza sociale delle stesse opere.

Ma volendo, per un momento, ragionare all’interno di questa logica, ci si imbatte immancabilmente in un’altra serie di paradossi, che confermano l’interesse di mantenere la doppia velocità.

Uno tra questi è il mantra dell’incentivazione dell’economia derivante dal turismo, una serie di enunciazioni di intenti. Analogo discorso per quanto concerne la doppia velocità delle aree urbane: nei fatti si usano gli strumenti della concertazione e della pianificazione strategica per concedere cubatura edificabile per la realizzazione di resort e villaggi turistici, che storicamente non generano apprezzabili ricadute sull’economia locale. Si introducono deroghe a destra e a manca per favorire la speculazione immobiliare, si concedono sgravi fiscali agli investitori e, morale della favola, il divario fra le due velocità si fa sempre più grande. I luoghi turistici diventano inaccessibili a chi non può permetterseli e il raggio d’azione dell’innalzamento dei costi si allarga costantemente divorando le periferie con la scusa del rinnovamento urbano e della riqualificazione. L’insostenibilità delle operazioni viene scaricata sui residenti storici che devono far posto ai nuovi abitanti temporanei, turisti, viaggiatori, conferenzieri ed una folta schiera di individualità precarie che hanno fatto dell’effimero il loro orizzonte di senso. Ora la nuova occupazione urbana si misura sulla forza centrifuga della gentrificazione, nuovi insediamenti periferici assolutamente destrutturati, nelle quali si riversano i “profughi urbani”, si ravvivano vecchi tessuti poco abitati semplicemente perché costa meno vivere ma spostarsi diventa un grosso problema, da qui l’isolamento sociale, la pseudo ghettizzazione della middle class declassata.

Tessere una razionale ed efficiente rete di trasporti è fondamentale per scardinare l’isolamento sociale, per ridare dignità residenziale a periferie isolate e raggiungibili con i soli mezzi di trasporto individuali, in una parola riconnettere il centro urbano con la periferia, magari superando la definizione stessa di periferia, connotata con un senso di decadente inferiorità.

Scavando quindi nell’importanza del sistema infrastrutturale di trasporti, emergono le contraddizioni del tanto idolatrato “sistema paese” che tutto può essere tranne che un sistema scevro da particolarismi. Se andiamo indietro nel tempo fin dai periodi del boom economico, vediamo come i sistemi di trasporto individuale e collettivo, siano stati, fino ad un certo punto, sviluppati in parallelo, per poi subire una differenziazione. Non basta, un trattamento differenziato del trasporto pubblico collettivo, che veniva via via ridimensionato in favore del trasporto individuale, ha creato accelerazioni nella dismissione del primo in favore del secondo, con città e territori limitrofi invasi da automobili che scoraggiavano l’utilizzo dei mezzi pubblici.

L’aziendalizzazione del paese e la logica della convenienza economica ha accelerato la differenza di velocità tra aree limitrofe persino della stessa regione, creando di fatto situazioni nelle quali immaginare un reale sviluppo economico, connotato da sostenibilità non meramente finanziaria ma soprattutto sociale ed ambientale, è tanto più assurdo quanto più le soluzioni proposte continuano ad essere incanalate nella stessa logica che ha acuito il problema.

J. R.

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