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L’assassinio di Rosa Luxemburg e il destino del proletariato tedesco nel ricordo di R. Rocker

L’assassinio di Rosa Luxemburg e il destino del proletariato tedesco nel ricordo di R. Rocker

Tratto da “Rivoluzione ed involuzione”, Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli – traduzione di Andrea Chersi

Nella parte precedente, Rocker descrive come il prolungarsi della guerra portasse ad una crescente opposizione operaia. Con il crollo del fronte e l’abdicazione del kaiser, in Germania viene proclamata la repubblica, mentre si estende il potere dei consigli degli operai e dei soldati. Il governo socialdemocratico opera attivamente per la contro rivoluzione, e le sue continue provocazioni spingono gli spartachisti ad un’insurrezione prematura.

Il governo socialista aveva intavolato negoziati coi ribelli prima dell’ingresso delle truppe a Berlino, probabilmente perché all’inizio non si sentiva sicuro sull’esito della lotta, ma soprattutto perché era stato invitato da migliaia di suoi seguaci nella capitale e nel paese ad impedire fatti di sangue, che dovevano avere incalcolabili conseguenze. Ma appena i soldati entrarono in città e superarono senza particolari sforzi le prime posizioni degli operai male armati e senza guida, il governo interruppe ogni trattativa ulteriore con un pretesto qualsiasi e lasciò libero corso agli avvenimenti, anche se pure allora sarebbe stato in condizioni di mettere fine alla sanguinosa catastrofe. Non c’è scusante per questo spargimento di sangue, in qualsiasi modo si giudichino le cause immediate di quei fatti. Thiers e Gallifet, che avevano soffocato l’insurrezione della Comune parigina con spaventosa brutalità, erano in fin dei conti rappresentanti delle classi dominanti in Francia; ma il governo responsabile dell’annientamento di centinaia di operai a Berlino, era composto da socialisti usciti dal seno del proletariato.

I giorni che seguirono l’ingresso delle truppe furono giorni di terrore, di barbarie indescrivibile e di brutalità spaventosa. L’Edenhotel, dove si era installato lo stato maggiore delle truppe reazionarie, divenne il centro di una dittatura militare, la cui ripugnante scelleratezza non arretrò dinanzi ad alcun crimine. I prigionieri furono fucilati in massa, tra cui molti che non avevano avuto alcuna parte nei combattimenti e che erano stati catturati per caso per strada dai mercenari e trascinati sul posto dell’esecuzione. Orde armate penetrarono nelle case dei lavoratori, maltrattarono gli abitanti e ruppero tutti i mobili. Chi opponeva resistenza veniva immediatamente assassinato. Il militarismo, che era stato sconfitto in guerra, si ridestò ora all’improvviso a nuova vita, scaricando il suo furore contro il popolo.

Che l’insurrezione non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscita, anche senza l’intervento dei militari e con tutta probabilità sarebbe finita male, si può ammetterlo con precisione.

Per avere successo non solo le mancavano tutte le condizioni strategiche, ma anche tutte le condizioni politiche. Perfino la «Rote Fahne» comunista spiegò poi, in un articolo ironico: “E dentro (nel Polizeipräsidium) c’erano i capi e deliberavano. Deliberarono per tutto il pomeriggio, rimasero lì tutta la notte a deliberare; c’erano il mattino dopo, allo spuntar del dì, in parte ancora, in parte di nuovo, e continuarono a deliberare. E ripresero a riunirsi le folle nella Siegesallee e i capi erano ancora seduti a deliberare. Deliberavano, deliberavano, deliberavano. No, quelle masse non erano mature per prendere il potere, sennò per propria decisione avrebbero messo degli uomini alla loro testa e il primo gesto rivoluzionario sarebbe stato di far smettere di deliberare i capi nel Polizeipräsidium.”

Perciò tanto peggio dev’essere giudicata la condotta del governo, che di certo conosceva la situazione reale. In tali circostanze assume maggiore plausibilità l’accusa degli indipendenti e degli spartachisti secondo cui il governo Ebert-Scheidemann volle farli cadere in una trappola con la destituzione di Eichhorn. Ma risulta incomprensibile che loro ci siano cascati con un’azione talmente priva di prospettive e sulla quale per tempo Rosa Luxemburg aveva messo in guardia.

Il 16 gennaio si diffuse per le strade di Berlino la terribile notizia che Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, arrestati nella notte nel loro nascondiglio, erano stati assassinati. Dapprima si cercò di presentare il fatto come se Liebknecht avesse voluto sfuggire ai soldati e questi l’avessero ucciso. Di Rosa Luxemburg si disse che nel trasferimento venne strappata ai suoi guardiani da una folla inferocita, linciata e il suo cadavere buttato nel canale Landwehr. Nessuno credette a una simile panzana. Come fu subito stabilito, il rapporto ufficiale era una evidente menzogna. Tutt’e due erano stati consegnati prigionieri all’Edenhotel e poi uccisi in maniera bestiale durante il trasferimento in prigione dalla soldataglia, spinta al vile assassinio dai suoi ufficiali. Poiché il misfatto non poté essere nascosto a lungo, nel maggio 1919, quattro degli ufficiali vennero portati dinanzi ad una corte marziale, che naturalmente li mandò assolti. Uno di loro, il tenente Vogel, si era procurato in precedenza un passaporto falso per fuggire all’estero, dato che esistevano prove evidenti della sua colpevolezza. Solo il soldato Runge, un bruto bestiale, che abbatté a colpi di calcio di fucile Rosa Luxemburg, fu condannato a una paio di anni di prigione, ma poi fu liberato a causa di una supposta deficienza mentale. Gli ufficiali accusati, invece, rimasero al loro posto sotto il ministro socialista della Guerra Noske, in modo da potere intervenire poi contro la Repubblica come capintesta nel cosiddetto putsch di Kapp.

Il cadavere di Rosa Luxemburg venne ritrovato nel canale Landwehr solo qualche mese dopo. I funerali delle due vittime di una barbarie tanto insensata quanto bestiale si trasformarono in gigantesche manifestazioni di massa, ma i loro assassini rimasero impuniti. Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg furono oggetto di generale venerazione da parte di ampi settori del proletariato tedesco. Erano stati i primi, ancora all’inizio della guerra, a protestare invano contro il sanguinoso massacro dei popoli e per questo furono maledetti come traditori dalla muta dei patriottardi e perfino da molti dei loro vecchi compagni.

Tutt’e due pagarono con la vita la loro azione coraggiosa, ma le loro parole echeggiarono come voce nel deserto dell’ubriacatura nazionalista. Neanche i loro più feroci avversari riuscirono a mettere in dubbio l’idealismo ardente e l’onestà della loro convinzione. Anche quelli che non condividevano le loro idee, dovettero rendere tributo alla loro grandezza di carattere. Con loro il partito comunista appena fondato perse i suoi dirigenti più rappresentativi. Non sono certo da confondere con la susseguente cricca dirigente del KPD, che ubbidì incondizionatamente ad ogni ordine di Mosca e che accusò come controrivoluzionario chiunque non vi si sottometteva completamente. Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg non erano personalità malleabili che si adattassero passivamente a qualsiasi mandato e che potessero tradire le loro idee. Questo si vide in modo particolarmente chiaro nello scritto di Rosa Luxemburg sulla Rivoluzione russa, che fu pubblicato dopo la sua morte, ma che già allora disse ai dittatori del Cremlino più di una verità molesta e li incitò a “mettere la loro morale democratica e la loro ragione al di sopra dell’ambizione propagandistica”. Nel corpo fragile e minuto di quella donna straordinaria, dominava un alto spirito ed un’anima sensibile che non sarebbe mai stata capace di sottomettersi alla dottrina demagogica di una nuova casta di politicanti dominatori, per i quali il socialismo doveva fungere solo da copertura.

Che due persone naturalmente così brillanti abbiano dovuto cadere vittima delle bande assassine di una nullità brutale, tenebrosa, come Noske, è davvero simbolico. Con loro si era assassinata la rivoluzione tedesca, riconsegnando il futuro della Germania ai vecchi poteri, che aiutarono poi le orde criminali di Hitler a trascinare il popolo tedesco, come una banda di galeotti, nel terzo Reich.

In quei giorni agitati si affermò spesso che il governo Ebert-Scheidemann aveva preordinato l’assassinio di Liebknecht e di Rosa Luxemburg per liberarsi di due nemici molto tenaci.

Ma non si riuscì mai a raggiungere prove reali di questa accusa. Mancava ogni credibilità per tale ipotesi, giacché i nuovi statisti erano troppo meschini. Fu proprio la loro paura della rivoluzione a spingerli a cercare appoggio nelle destre, per potere mantenere il loro ruolo di arlecchini fino a che l’assemblea nazionale non dava la sua benedizione al nuovo ordine. Ma, nel loro incredibile intontimento e nella loro deplorevole titubanza, avevano suscitato forze che erano ben superiori a loro quanto ad energia spietata e brutale e che dopo avergli messo le armi in mano fecero la guerra contro i loro stessi compatrioti e non si preoccuparono affatto del governo. Quell’indolenza fu imperdonabile. Ciò che fino allora nessun governo nato da una rivoluzione aveva ottenuto, avvenne in Germania e fu un fatto incomprensibile per gli altri popoli. Infatti, che un partito che per decenni aveva ribadito i suoi principi rivoluzionari e socialisti, poche settimane dopo lo scoppio della rivoluzione, mettesse spontaneamente armi a disposizione degli elementi della controrivoluzione; che, per dirla in un altro modo, fornisse la corda con cui poi doveva essere impiccato, era una cosa possibile solo in Germania. Quanto meno, la storia non fornisce altri esempi del genere.

Ciò che ebbe inizio nelle giornate sanguinose del gennaio 1919 fu proseguito sistematicamente nei successivi quindici mesi dal ministro della Wehrmacht repubblicana, Gustav Noske.

Ovunque nel paese il governo organizzò i cosiddetti Freikorps, che offrirono comodi punti di riferimento per soldati abbandonati, oscuri avventurieri e cavalieri d’industria di ogni genere, guidati da ufficiali super-reazionari del vecchio esercito. Le insurrezioni isolate dei ceti operai rivoluzionari contro questa tattica suicida, che scoppiarono a Brema, Amburgo, Braunschweig, Lipsia, Monaco e in altre località del paese, furono schiacciate con spietata brutalità da queste orde. Già allora si capì chiaramente che cosa sarebbe successo in Germania se queste bande avessero ripreso il potere. Quando poi nacque la Reichswehr repubblicana, composta in gran parte da membri dei precedenti Freikorps, sotto l’influenza di Noske, tutti i comandi superiori furono occupati dagli junker, che selezionarono accuratamente i loro uomini e cercarono di eludere le clausole di pace del trattato di Versailles con ogni mezzo, facendo tutti i preparativi per una prossima guerra. Tutto ciò fu effettuato con l’approvazione dello stravagante governo repubblicano, che si lasciò prendere tranquillamente per il naso dalla nuova reazione e non volle né vedere né sentire nulla.

In qualche caso, che vedremo più avanti, il nuovo comando dell’esercito operò per conto proprio, senza mettere il governo a conoscenza dei suoi progetti.

Si è spesso cercato di attribuire tutti questi fatti al tradimento consapevole dei dirigenti socialisti, ma in realtà le cause erano ben più profonde. La Germania è un paese pressoché privo di tradizioni rivoluzionarie. I capi spirituali del socialismo tedesco, Marx, Engels e Lassalle, erano, per il loro modo di pensare, autoritari dichiarati e sostenitori di un centralismo politico che combatteva fondamentalmente qualsiasi impulso libertario. Da Marx ed Engels il proletariato tedesco prese semplicemente la fede nel carattere vincolante dello sviluppo economico che, come ogni fatalismo, non poteva essere favorevole ad una rivoluzione del pensiero; ma da Lassalle prese tutto l’arsenale dell’azione politica, che gli doveva risultare ancor più nocivo. Lassalle fu per tutta la vita un nazionalista prussiano conclamato, con grandi simpatie per la politica estera di Bismarck e nella sua ardente idolatria statalista cercò di coniugare gli interessi dello Stato nazionale coi suoi progetti di riforma socialista.

Rudolf Rocker

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