Land Grabbing e questione di genere

Facciamo seguito all’articolo sul Land Grabbing pubblicato nel n. 30 del 27 ottobre 2019 di Umanità Nova per evidenziare una delle conseguenze più significative del fenomeno, in altre parole il legame tra l’accaparramento della terra e la questione di genere, soprattutto per quanto riguarda il continente africano.
Ricordiamo che l’agricoltura rappresenta il più importante settore economico per la popolazione africana. Nel continente il 63,9% della popolazione è situato in aree rurali con una punta massima del 79% in Africa orientale, mentre il 54% della popolazione attiva vive di agricoltura. L’apporto della donna alla produzione agricola rappresenta quasi il 63% della forza lavoro. Nell’ultimo ventennio la manodopera femminile impiegata nel settore agricolo ha raggiunto in taluni paesi quali il Burkina Faso, Madagascar, Zambia ed Etiopia il 75% dell’intera forza lavoro femminile. Nelle economie di sussistenza agropastorali le donne assicurano più del 90% della produzione di cibo ed i più recenti studi della Banca Mondiale hanno attestato che nei paesi sub-sahariani la produzione alimentare potrebbe aumentare sino al 20% % se le donne avessero gli stessi diritti fondiari degli uomini.
L’impatto del fenomeno di acquisizione di terra su larga scala incide pesantemente sul mondo agricolo sia per quanto riguarda i diritti sull’uso della terra sia sulle modalità di produzione del settore. Il Land Grabbing risulta essere una della cause, forse la più diretta, per l’erosione dei diritti delle donne soprattutto in Africa. È doveroso premettere che la disparità di genere nell’esercizio dei diritti sul controllo del suolo e sulla sua produzione non sono esclusivi delle aree economicamente meno sviluppate ma sono anche ravvisabili anche nei paesi “più evoluti”.
Nella parte occidentale del mondo, pur in assenza di vincoli giuridici che regolano la proprietà della suolo, il ruolo della donna nella gestione della terra è del tutto marginale. In quindici stati dell’Unione Europea le donne possiedono solo il 20% dei terreni agricoli rispetto al 77% posseduto dai maschi ed il 3% dei governi, mentre l’impiego delle donne come lavoratrici agricole è spesso sottopagato. Il colonialismo di antica data e quello più recente del Land Grabbing scardinando l’antico diritto consuetudinario che regolava i diritti sull’utilizzo della terra e la produzione agricola ha aggravato la situazione di genere ed ha contribuito a rafforzare la struttura patriarcale della società.
Occorre premettere che il diritto consuetudinario era e rimane fortemente discriminatorio nei confronti delle donne. La consuetudine riservava alla donna il diritto di mettere a cultura un appezzamento se questo derivava da un matrimonio o da lasciti parentali. Il matrimonio, nella pratiche consuetudinarie, risultava l’unico mezzo per accedere all’uso del suolo, infatti le vedove non ereditano al terra del marito. Gli uomini, tramite la discendenza tribale, si assicurano i diritti sulla terra mentre le donne ne hanno accesso a tali diritti solo se stabiliscono una relazione coniugale con un uomo della stirpe/famiglia che gode di tali diritti.
Il Land Grabbing ha aggravato la situazione: la legge influenzata dall’occidente ha contribuito a creare una situazione fondiaria insostenibile. Il diritto occidentale considera la terra in un solo modo, quello dell’esercizio dei diritti tramite i titoli di proprietà. Ne deriva che tale impostazione non è in sintonia con la tradizione consuetudinaria per la quale il suolo è usufruibile liberamente da chi per generazioni ci vive e lo lavora. L’adozione del diritto occidentale nel possesso ed utilizzo del suolo ha distrutto quel poco che restava nel continente africano del diritto consuetudinario che assicurava alle donne una relativa sicurezza economica e sociale: quanto meno vi era una maggiore possibilità, rispetto ad oggi, di provvedere al sostentamento proprio e della famiglia.
Inoltre nell’ampia gamma del diritto consuetudinario africano vi erano anche esempi che riservavano alle donne privilegi nel possesso e nell’uso della terra. In alcuni paesi tra i quali il Malawi, in alcune parti del Mozambico e dello Zambia era in uso una tradizione matrilineare per la quale il 75% circa di terra comprese le risorse derivante dalla loro coltivazione veniva ereditata da madre a figlia. Tale situazione si è modificata radicalmente in senso patriarcale con l’introduzione del diritto di proprietà occidentale del suolo.
L’interdizione dell’uso delle terre comuni colpisce in particolare le donne, in quanto principali responsabili nella gestione delle risorse legate alla terra come per la distribuzione dell’acqua, l’approvvigionamento del legno o di altro combustibile e la conservazione dei prodotti della terra. A seguito della distruzione dell’ambiente queste operazioni richiedono un maggiore investimento di tempo ed energia per cui le donne hanno minori possibilità di dedicarsi ad attività che procurano reddito, come la produzione di prodotti artigianali ed agricoli da vendere al mercato.
La riduzione del reddito e le difficoltà di reperimento del cibo e di combustibile possono avere conseguenze negative sull’intera famiglia come il rischio di denutrizione. Altrettanto significativo è l’effetto sul sapere che le donne da tempo conservano e si tramandano: quello della conoscenza delle piante e dei prodotti della foresta, nonché dei mezzi per procurarseli e delle reti di supporto comunitario costruite durante i secoli.
Le grandi opere irrigue o gli estensivi processi di deforestazione, oltre a sradicare intere comunità obbligandole a cambiare luogo in cui vivere, distruggono le importanti reti locali di sostegno, ossia il capitale sociale che le donne hanno sempre costruito e sul quale hanno e fanno affidamento nei periodi di crisi.
La vulnerabilità delle donne è rilevabile in quattro fattori. La prima deriva dai limiti e dalla discriminazione sistemica che le donne devono affrontare in relazione all’accesso, alla proprietà ed al controllo delle risorse produttive incluso la protezione legale dei titoli legati alla terra. Nel Ghana, come rilevato dai dati UXFAM del 2011, le donne costituiscono il 52% della forza lavoro nel settore agricolo, nel Mozambico la percentuale arriva al 90% ma il 70% delle decisioni sull’uso del suolo spetta agli uomini. Nel Mali è stato introdotto il concetto di “women’s field”: si tratta di terre povere che vengono cedute dai mariti alle mogli che provvedono alla messe in cultura dei terreni. Una volta che il suolo è ridiventato produttivo i mariti possono richiedere i terreni “ceduti”. Quando viene assegnato un terreno la proprietà è quasi sempre registrata a nome del capofamiglia.
Va da sé che in società fortemente patriarcali la donna rimane esclusa dai diritti di proprietà: infatti solo l’1% dei titoli di proprietà in Kenia è intestato a donne ed il 5% è cointestato. Nella maggioranza dei casi le donne sono proprietarie solo del raccolto ma non della terra.
La seconda discriminazione delle donne è nelle relazioni socio-culturali e politiche, in particolare in rapporto al loro potere di prendere decisioni, di far sentire liberamente la loro voce ed esercitare le proprie scelte nelle decisioni che riguardano le loro vite ed il loro sostentamento. Citiamo un esempio significativo della vulnerabilità socio-culturale. In Kenia, alla fine degli anni ’80 erano state suddivise delle terre all’interno delle comunità Masai e la maggioranza donne di fatto sono state escluse dall’assegnazione delle terre.
Dobbiamo altresì rilevare che anche nel caso in cui formalmente le donne sono maggiormente coinvolte nelle istituzioni spesso non ricoprono ruoli di leadership. Nello Zimbabwe, dove le donne rappresentano il 75% del Zimbabwe Farmers Union solo il 5% dei dirigenti sono donne.
Terzo aspetto è la vulnerabilità finanziaria che si sostanzia nel minor accesso al reddito e quindi al credito rispetto agli uomini.
Quarto fattore è la vulnerabilità fisica che si evidenzia nella violenza di genere e sessuale contro le donne. Gli studi sulla violenza di genere hanno rilevato che metà della donne del Kenia hanno vissuto almeno una esperienza di violenza da quando avevano quindici anni. In alcune aree del Kenia “educare con disciplina” le mogli fa parte della cultura locale. La violenza di genere si manifesta anche attraverso la prostituzione a cui le ragazze vengono spinte dalla povertà.
In conclusione si può affermare che la concentrazione fondiaria alimentata a dismisura del fenomeno del Land Grabbing determina una duplice disgregazione, quella ambientale e quella sociale. Le radici del Land Grabbing risalgono al periodo coloniale nelle strutture gerarchiche di potere patriarcale e nell’iniqua distribuzione dei diritti sulla terra e per queste ragioni esse si riflettono fortemente a livello intra-familiare e nelle comunità che si reggono sul diritto consuetudinario. Quando le donne perdono la terra non possono più alimentare le proprie famiglie, il loro ruolo sociale viene eroso degradato e devono vendere la propria forza lavoro nelle piantagioni oppure trovare soluzioni estreme come l’emigrazione o la prostituzione.
La terra rappresenta quindi un valore socio-culturale, politico,relazionale ed ambientale importante per le famiglie e le comunità rurali nel quale il ruolo della donna sta perdendo anche quella capacità, se pur relativa, che era assicurato dalla pratiche consuetudinarie del possesso e dello sfruttamento del suolo. Per contrastare tale fenomeno occorre incentivare l’agricoltura famigliare e soprattutto sostenere una sviluppo sociale della donna. Solo attraverso l’istruzione e la consapevolezza del proprio ruolo dei propri diritti la donna può avere quegli strumenti per uscire dall’antica condizione consuetudinaria ed affrontare il nuovo colonialismo del Land Grabbing.

Daniele Ratti

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