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La rivoluzione. Tra caso e necessità

La rivoluzione. Tra caso e necessità

Si tratta di un libro che unisce una riflessione attuale con una serie di articoli scritti dal militante nel corso della sua lunghissima attività. Giunto alla soglia di novanta anni, Octavio riesamina le speranze e le delusioni, le azioni e i pensieri che lo hanno attraversato nei circa settanta anni di impegno anarchico.

Nel suo prologo Tomas Ibáñez definisce bene l’elemento essenziale dell’esperienza di Alberola: l’unità indissolubile tra pensiero e azione, l’inestricabile nesso che collega i due aspetti di una vita condotta con generosità e impeto. Più volte si trovano in queste pagine riflessioni che ruotano attorno al desiderio di realizzare un cambiamento rivoluzionario di fronte ai problemi insolubili del mondo capitalista. È questo mondo che sta conducendo, oltre all’oppressione sociale sempre più pesante, verso la distruzione della natura e perciò verso la fine della stessa umanità ormai quasi soffocata e avvelenata al di là del sopportabile.

Questo concetto del vicolo cieco giunto agli ultimi passi ritorna in modo quasi ossessivo lungo il testo, peraltro ricco di incitamenti a continuare e radicalizzare la lotta sociale. Ecco l’idea della ”necessità” impellente che dovrebbe comportare sforzi rivoluzionari incisivi e decisi.

La vita di Octavio è densa di episodi nei quali la volontà rivoluzionaria emerge senza remore. Dall’addestramento dei guerriglieri cubani in Messico negli anni Cinquanta agli attacchi al regime franchista negli anni Sessanta, egli dimostra come l’intento di coniugare strettamente la teoria con la pratica sia stato l’asse portante della sua esistenza.

La rivoluzione non solo pensata, ma realizzata concretamente, è un obiettivo tanto importante per Alberola che non vuole perdere nessuna occasione favorevole (ecco il senso del “caso”). A questo fine si possono, anzi si devono, superare le barriere ideologiche e gli anarchici militanti dovrebbero procedere senza indugi con ogni movimento “emancipatore”. La stessa distinzione con i marxisti sarebbe quindi da mettere da parte collaborando quando se ne possa verificare la sostanziale coerenza rivoluzionaria e non solo il progetto della “conquista del potere”.

Ecco il valore dell’autopresentazione quale “anarchico non ortodosso” che Octavio riprende spesso. Accanto a questa eterodossia, si trova il rifiuto di simboli ed etichette facili da assegnare o da portare. Simboli ed etichette che spesso nascondono una visione del movimento formale e immobilista e che non esprimono la prioritaria volontà di abbattere il sistema oppressivo del capitalismo e dello Stato. Il conflitto tra un movimento che sopravvive coltivando i miti del passato e trascurando le possibilità di una vera lotta anarchica esplode all’interno dell’esilio libertario, soprattutto in Francia, dopo la tragica sconfitta del 1939. La vittoria del franchismo ha significato lo sradicamento di molta parte dell’anarchismo ormai privato del rapporto stretto e fecondo con il popolo spagnolo e le sue potenzialità antiautoritarie.

Alberola non è l’unico a considerare urgente una lotta frontale al franchismo per non far perdere la stessa credibilità delle proposte libertarie in una società che, già dai primi anni Sessanta, sta mutando notevolmente. Al congresso del MLE (sigla che unisce la CNT, la FAI e la FIJL) del 1961 a Limoges viene approvata una mozione particolarmente impegnativa: si dà vita ad un organismo denominato DI (Defensa Interior) per condurre azioni armate antifranchiste all’interno dei confini spagnoli.

Egli parte dal Messico per partecipare al cruciale Congresso e poi abbandona definitivamente il paese americano e si trasferisce in Europa a coordinare la lotta clandestina del DI. Ma le iniziative clandestine e di attacco durano poco: nell’agosto 1963 due giovani compagni, vengono garrottati a Madrid accusati di star preparando un attentato contro alti esponenti franchisti. Il grave evento spinge le dirigenze della CNT e della FAI a ritirare di fatto l’appoggio a DI che resta con il solo sostegno delle Juventudes Libertarias.

Si sviluppa quindi un’aspra polemica interna che porta alla rottura aperta con quello che Octavio definisce “conformismo disfattista e paralizzante”. Lui sostiene che si sta cedendo al ricatto del governo francese che minaccia ripetutamente di mettere fuori legge la CNT dell’esilio. La linea interna che prevale è quella di “preparare i nostri quadri militanti”, come scrive Gaston Leval che ritiene sia venuto il momento di superare “l’ossessione della lotta violenta”. Dopo un periodo di riorganizzazione, i giovani dei gruppi libertari portati all’azione riprendono nel 1966 l’attività con varie iniziative di solidarietà verso i prigionieri e le vittime della repressione. Si vuole impedire che il franchismo meno retrivo e una finta opposizione moderata riescano a trovare una complicità per far continuare il sistema capitalista dopo la morte di Franco.

Tra l’altro, Alberola profetizza una vera e propria “transazione” per il passaggio indolore al postfranchismo. Una trasformazione che franchisti “aperturisti” stanno concordando con rilevanti settori riformisti sindacali e politici. In effetti, nel novembre 1975, questi dirigenti politici convergono ad un accordo e raggiungono un compromesso in base al quale nessun responsabile della repressione del regime debba rendere conto delle proprie responsabilità.

Nel nuovo contesto, Octavio non rinuncia a sollecitare, rivolto soprattutto ai giovani ribelli, atti di aperta rivolta contro il sistema capitalista. D’altra parte egli aveva già valorizzato il movimento del Sessantotto, particolarmente vivace nella Francia nella quale viveva, come fonte di nuove prospettive rivoluzionarie. Cercava perciò di mantenere in vita uno spirito di contestazione costante e diffusa.

Dopo la libertà vigilata in Belgio, che fa seguito alla preparazione di un’azione contro un rappresentante franchista presso la Comunità Europea, per cui aveva passato vari mesi in carcere, Alberola ricorda che accettò l’invito di alcuni giovani che si battevano per la liberazione di Puig Antich, arrestato nel novembre 1973. Riprese quindi un periodo di clandestinità. Su questo punto il libro resta però alquanto superficiale: non si descrive alcun particolare dell’azione progettata per salvare Puig Antich che fu garrottato, malgrado una notevole mobilitazione internazionale, il 2 marzo 1974 a Barcellona.

Si rievoca inoltre il sequestro a Parigi del Direttore del Banco di Bilbao nel maggio 1974, ma senza indicare l’obiettivo specifico di tale iniziativa rivendicata dal GARI (Grupos de Acción Revolucionaria Internacionalista) che comportò anche ad Octavio un ulteriore arresto e strascichi repressivi.

Nel complesso, la lettura di questo notevole lavoro di ricostruzione autobiografica ci permette di entrare nelle difficili atmosfere dell’esilio spagnolo segnate da attese deluse e da volontà di lottare pur in condizioni quasi proibitive. Indirettamente è un esempio di quanto e come la militanza anarchica attraversi fasi di entusiasmo e altre di depressione psicologica e di carenze organizzative. Una lotta che comunque, ha ragione Octavio, va sempre e comunque mantenuta anche per la costante ricerca di dignità umana e coerenza rivoluzionaria.

Claudio Venza


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