La Rete al tempo della grande paura

Tutti quelli che usano attualmente un computer, un telefonino o un tablet per comunicare con gli altri stanno partecipando, volenti o nolenti, al più grande esperimento di psicologia sociale applicata della storia.

La pandemia in atto ci pone al centro di una situazione epocale non solo per la portata globale di quello che sta accadendo, ma anche perché si accompagna a misure di separazione, contenimento e segregazione fisica che non hanno precedenti moderni in quanto a estensione geografica e numero di persone coinvolte. Questa condizione eccezionale sta avendo e avrà sicuramente un impatto non trascurabile sia sui singoli individui che sui comportamenti collettivi. Non solo per quello che riguarda l’uso degli strumenti di comunicazione.

Il primo effetto è stato che l’uso della Rete è aumentato in modo significativo, soprattutto in Italia e in Europa. Già dai primi giorni dell’epidemia alcuni dei più noti servizi commerciali che trasmettono video, film e serie televisive hanno annunciato di aver deciso di limitare la qualità delle immagini trasmesse per non contribuire all’aumento del traffico dati. E sono numerosi gli articoli che segnalano un notevole incremento delle video chiamate, sia per motivi di lavoro che personali. I più catastrofici paventano addirittura un possibile “collasso” di Internet.

In uno scenario del genere, in una situazione della quale non è possibile prevedere la durata e le conseguenze, si collocano le vite personali ma anche quelle collettive dei gruppi, organizzati o meno, che fino a ieri potevano riunirsi nella vita reale e che oggi non possono più farlo.

Semplificando al massimo ogni persona appartiene in questo momento a una di queste categorie: coloro che continuano a uscire quotidianamente per motivi di lavoro, coloro che escono saltuariamente e infine quelli che restano chiusi in casa. In tutti e tre i casi le persone hanno comunque aumentato l’uso della comunicazione digitale, perché anche chi esce di casa ogni giorno è costretto a usare quelle modalità se vuole restare in contatto con quelli che hanno meno libertà di movimento. Le reazioni dei singoli a questa costrizione cambia a seconda delle caratteristiche della personalità e del rapporto che si aveva e si ha con la tecnologia. Chi già in precedenza utilizzava comunemente strumenti digitali avrà avuto meno problemi, ma sicuramente si sarà dovuto scontrare con il “divario digitale” nel momento in cui ha provato a interagire con altri che invece non sono altrettanto abili. Una parte delle persone starà sicuramente acquisendo, per forza di cose, una maggiore capacità di usare computer ma ci saranno anche quelli condannati a vivere in un isolamento ancora maggiore in quanto non sono in possesso o hanno problemi nell’uso di determinati strumenti.

Una situazione del genere, alquanto diversificata e mai verificatasi in precedenza, rende difficile una valutazione dell’impatto che avrà a medio e lungo termine sul rapporto tra i singoli e la comunicazione via computer. Ma soprattutto dell’impatto che avrà sui rapporti sociali in generale. In altre parole il risultato dell’esperimento nel quale stiamo vivendo lo conosceremo, forse, solo fra molto tempo.

Volendo a tutti i costi cercare un aspetto positivo in questa situazione si potrebbe sostenere che l’uso forzato di computer e della Rete farà aumentare il numero di persone capaci di usarli in modo meno passivo e quindi permetterà di diminuire il “divario digitale”. Dall’altra faccia della medaglia invece si potrebbe ritenere questo momento come quello più favorevole allo sviluppo di una maggiore dipendenza individuale da mezzi di comunicazione che nella quasi totalità dei casi sono stati creati e vengono gestiti da organizzazioni gerarchiche e basate sullo sfruttamento. Strumenti sempre più usati per il controllo della popolazione e per la diffusione capillare dell’ideologia dominante. Probabilmente si verificheranno entrambe le cose, e il prevalere di un aspetto sull’altro contribuirà non poco a determinare il risultato finale.

Da tempo è noto che i rapporti interpersonali che passano esclusivamente tramite la comunicazione mediata da computer non sono salutari a meno che non siano dovuti a situazioni particolari e specifiche. Un conto è una videochiamata con qualcuno che si trova a migliaia di chilometri di distanza e che non si può raggiungere in altro modo, un altro è con chi abita a due isolati di distanza. Purtroppo oggi il secondo caso è diventato molto più frequente ma, essendo causato da un evento eccezionale, è vissuto come qualcosa di imprevedibile e soprattutto momentaneo. In realtà c’è il rischio concreto che determinate modalità di interazione possano diventare quelle più abituali anche quando l’emergenza sarà finita.

Dal punto di vista collettivo gli effetti si amplificano e si complicano in quanto anche i singoli si trovano a interagire in un contesto più ampio quando partecipano, in modo più o meno attivo, a uno delle tanti funzioni “social”. Oggi sono ancora troppe le realtà che usano strumenti di comunicazione commerciali tipo “FaceBook”, “Twitter”, “Instagram” o similari per la loro attività sociale e politica. Mettendo da parte tutte le critiche fatte e che si potrebbero ancora fare a questa attitudine va tenuto conto, che in questo contesto, anche i famigerati “social media” sono diventati uno, ma non certo l’unico possibile, dei canali che possono essere usati per continuare a mantenere almeno un minimo di collegamento tra le realtà politiche organizzate e l’insieme dei loro interlocutori. Ma sarebbe comunque, come sempre, un simulacro di socialità rispetto ai contatti personali che dovrebbero avvenire nel mondo reale.

Reagire all’isolamento è il primo compito che ci dobbiamo dare, cercare di aggirare – anche solo per qualche momento – le regole che ci vorrebbero chiusi in casa 24 ore al giorno o che ci costringono a uscire solo per andare a lavorare, magari in un contesto dove non sono state prese adeguate misure di sicurezza. Ma, oggettivamente, è difficile pensare in questo momento a un modo, che non sia dannoso per qualcuno, per ritornare a incontrarsi fuori. Anche per questo siamo, come mai prima, costretti a usare computer e Rete per comunicare.

Un modo per non subire passivamente quello che accade e per cercare di attenuarne gli effetti negativi potrebbe essere quello di trasformare i momenti di reclusione e isolamento sociale in una buona occasione per studiare come utilizzare i sistemi di comunicazione vecchi e nuovi. Per capire se e come sia possibile usare in modo non convenzionale alcuni di quelli esistenti ma, soprattutto, spendere questo tempo sospeso lavorando alla creazione di ambiti di collegamento che abbiano caratteristiche non gerarchiche e commerciali. Qualcosa che possa servire non solo durante una emergenza ma anche quando questa sarà passata.

Non approfittare di questa occasione significa regalare alle strutture dello sfruttamento la migliore occasione possibile per trasformare la maggior parte della popolazione in individui dipendenti in modo assoluto e acritico da determinati strumenti e modalità di comunicazione e dalla propaganda che oggi passa soprattutto attraverso l’uso che i politici e il Governo fanno dei “social media”. Un buon esempio di questo scenario e dei futuri possibili è dato dalla discussione sull’uso di applicazioni da installare sul cellulare che siano in grado di mantenere in memoria tutti gli spostamenti personali. Oggi potrebbero essere usate per tenere sotto controllo una pandemia, domani per ragioni molto meno salutari.

Molti sono convinti che chi usa molto Internet vive in una specie di “bolla” ideologica personale dove viene esposto quasi esclusivamente alle informazioni filtrate in base al suo profilo digitale. Da un mese a questa parte questa “bolla” individuale si è allargata a dismisura, diventando in qualche modo collettiva, in quanto non c’è possibilità per alcuno di scampare all’unico tema del giorno, un “trend topic” capace di filtrare completamente tutto il resto dei problemi esistenti in una società divisa in classi. Già oggi le comunicazioni ufficiali riescono invece a penetrare molto più ampiamente e in profondità rispetto a ieri proprio a causa della specificità del momento e contrastare questa situazione dovrebbe essere un altro dei “compiti a casa” che ci dovremmo dare.

Uno dei miti fondanti racconta che “Arpanet” che sia stata creata per resistere a un attacco nucleare e questo perché in quegli anni la grande paura aveva l’aspetto di una guerra a base di bombe nucleari. Oggi gli scenari e i timori collettivi sono decisamente diversi, come pure è cambiata la Rete nel corso degli anni e adesso il nemico è invisibile e comune a tutti. Probabilmente, alla fine di questa crisi, quella che sarà cambiata sarà proprio Internet.

Pepsy

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