I manicomi sono stati chiusi negli anni Settanta, ma l’orrore psichiatrico non è finito. Gabbie chimiche, camicie di forza, persone legate al letto, elettroshock, lobotomia continuano a segnare le vite di chi finisce impigliato nelle reti della psichiatria. La fine delle prigioni dei matti non è stata la fine della follia, come categoria/catena da usare contro chi vive con disagio la propria vita.
Un disagio che sarebbe sciocco negare, ma è criminale imprigionare.
Eppure avviene ogni giorno con i TSO, i trattamenti sanitari obbligatori. Chi è folle è “fuori”. Fuori di testa, fuori dal consesso umano, fuori dalle regole, che formalmente ne tutelano l’integrità fisica e la libertà.
Ogni tanto qualcuno ci lascia la pelle. L’ultimo è stato Andrea Soldi, strangolato dai vigili urbani incaricati di catturarlo per imporgli un TSO, un Trattamento Sanitario Obbligatorio. Andrea è stato ammazzato perché non voleva più essere imbottito di psicofarmaci a lento rilascio, perché voleva un’alternativa alla gabbia chimica in cui era rinchiuso da anni.
Andrea aveva 45 anni e viveva a Torino. Il 5 agosto è stato ucciso sulla panchina di corso Umbria sulla quale trascorreva tanta parte delle sue giornate. In zona lo conoscevano tutti: in tanti hanno assistito alla sua morte ed hanno dichiarato pubblicamente la loro indignazione. Oltre cinquanta persone hanno raccontato che Andrea, uno uomo ben voluto da tutti, è stato circondato dai vigili e stretto al collo, finché il suo viso si è fatto nero, la lingua fuori, il respiro ridotto a nulla.
Andrea Soldi, lo ha dimostrato l’autopsia, è morto soffocato. Era in grave crisi respiratoria quando è stato caricato sull’ambulanza ammanettato alla schiena e a faccia in giù. All’ospedale Maria Vittoria è arrivato morto.
La “sua” panchina è stata riempita di fiori e ricordi della gente del quartiere, attonita per una morte tanto “folle” e violenta. Eppure la violenza delle istituzioni che hanno rubato la vita di Andrea è sin troppo normale, sin troppo diffusa per essere l’eccezione e non la regola. L’associazione tra follia e pericolosità è un pregiudizio radicato, che apre la via ad ogni sorta di abuso.
Andrea, che tutti ricordano come una persona tranquilla, non si era presentato alla visita psichiatrica mensile, perché non voleva sottoporsi all’abituale iniezione a lento rilascio di haldol, un potente e dannoso neurolettico, che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali, tra cui anche la psicosi per cui veniva “curato”.
In Italia la legge stabilisce che i ricoveri debbano essere volontari (TSV), ma che si possa comunque ricorrere alla coercizione quando l’individuo presenta alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, oppure rifiuti la terapia psichiatrica, oppure non possa essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero. L’eccezionalità del provvedimento dovrebbe essere garantita dall’iter attuativo: il TSO deve essere disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza, su proposta motivata da un medico e convalidata da uno psichiatra operante nella struttura sanitaria pubblica, e inviato al Giudice Tutelare operante sul territorio che deve convalidarlo entro 48h. Il confine tra TSV e TSO è labile, perché la possibilità del ricovero obbligatorio è usata come ricatto in caso di mancata accondiscendenza al volere dei medici. Rifiutare le cure è di fatto impossibile, perché il farlo è considerato in se “sintomo di malattia” e apre la strada al ricovero obbligatorio.
Andrea è il terzo morto in poco meno di un mese.
Prima di lui era toccato a Mauro Guerra di Sant’Urbano in provincia di Padova. Anche Mauro, come Andrea, aveva tentato di sottrarsi ad un TSO, fuggendo nei campi, scalzo e in mutande. Raggiunto da un carabiniere si era difeso, mentre il collega, estratta la pistola, lo aveva freddato.
Massimiliano Manzone è invece morto in repartino. Massimiliano aveva 39 anni e faceva il pescatore ad Agnone, nel Cilento, era ricoverato in TSO nell’ospedale S. Argenio di Polla.
La denuncia è della sorella Adele. Suo fratello in occasione di due precedenti ricoveri, nel 2010 e nel 2013, aveva telefonato alla famiglia ogni giorno. Questa volta nei 12 giorni di ricovero coatto ha chiamato solo l’ultimo giorno, chiedendo un avvocato. La telefonata si interrompe bruscamente. Massimiliano Malzone muore tre ore dopo. Durante il ricovero i medici negano le visite ai parenti.
Il medico che ha avvisato la famiglia della morte dell’uomo è tristemente noto. Prima di approdare alla struttura di S. Argenio lavorava nel repartino dell’ospedale di Vallo della Lucania, chiuso dopo la morte di un maestro elementare, l’anarchico Francesco Mastrogiovanni. Per quella morte i medici in servizio sono stati condannati a quattro anni per sequestro di persona, morte come conseguenza di altro reato e falso ideologico.
Il processo d’appello per quella vicenda si concluderà a settembre.
Il 31 luglio del 2009 Francesco Mastrogiovanni entra nel repartino psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania.
Ne uscirà morto.
Francesco fa il maestro, in quei giorni è in vacanza al mare. Lo accusano falsamente di aver tamponato qualche auto e invece di una multa lo portano in repartino.
Francesco ha su di se il marchio dell’anarchico pericoloso: nel 1972 venne ferito durante un aggressione fascista, che si concluse con la morte dello squadrista Falvella, ucciso con il suo stesso coltello dall’anarchico Giovanni Marini, che intervenne per aiutare Francesco.
Nel 1999 venne arrestato perché protestava per una multa. Calci, pugni e manganellate, poi un’accusa di resistenza e lesioni. Il carcere, una condanna a tre anni, poi cancellata in appello.
Francesco era nel mirino dei carabinieri. Lo sapeva e aveva paura. Prima della cattura per il TSO dice “se mi portano all’ospedale di Vallo non ne esco vivo”.
In ospedale viene sedato pesantemente e legato al letto: le mani in alto, i piedi in basso. Crocefisso.
Viene lasciato lì senza cibo, senza acqua, senza “cure”. Griderà di dolore, ma nessuno lo ascolterà: sanguina dalle profonde ferite ai polsi inflitte dai legacci. Man mano la voce di Franco si farà più flebile, nella sete di aria dell’agonia. Verrà liberato 92 ore dopo, quando era morto da quasi sei.
I suoi parenti non potranno vederlo né avere sue notizie. Solo la loro caparbietà a non credere alle bugie dei medici ha fatto sì che questo crimine non passasse sotto silenzio.
La morte di Francesco Mastrogiovanni è divenuta un caso nazionale perché in quel repartino c’erano le telecamere, che ne hanno registrato la terribile agonia. Non ci sono riprese invece a S. Argenio e in tanti altri ospedali, dove i meccanismi disciplinari della psichiatria torturano uomini e donne, le cui vite turbano l’ordine sociale.
All’ospedale Niguarda di Milano la denuncia di una dozzina di morti sospette in repartino è rimasta senza esito.
Lo scorso autunno a S. Ambrogio in bassa Val Susa è morto un uomo di settant’anni durante la cattura per l’esecuzione del TSO: già legato e sedato gli è stata fatta un’ulteriore iniezione, che l’ha ucciso. Alla sorella è stato impedito di avvicinarsi.
Pochi sono i casi che vengono alla luce. Sono le punte di un iceberg che resta sommerso, nascosto dalla pretesa che il male di vivere sia una “malattia” e la prigione psichiatrica, con i suoi lacci chimici e di cotone, sia una cura.
La psichiatria non è una disciplina medica ma un meccanismo disciplinare che investe come un treno in corsa le vite di chi non “ci sta dentro”, di chi eccede la norma e da fastidio. Chi rifiuta la gabbia chimica, chi non accetta di gonfiarsi di psicofarmaci, chi vive in strada, chi è troppo povero per pagarsi una psicoterapia, rischia la gabbia del repartino, il TSO, i legacci a gambe e braccia, l’umiliazione del pannolone e del rimbambimento da psicofarmaci. Uomini e donne non sono liberi di scegliere la propria vita, liberi di decidere se assumere o meno dei farmaci.
Se rifiuti le cure dimostri di essere malato. Una follia. La normale follia psichiatrica.
ma. ma.
www.anarresinfo.noblogs.org