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Gli ultimi dati sull’inflazione USA segnalano un brusco innalzamento dell’indice dei prezzi: “Su base mensile l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo è stato pari allo 0,8%, mentre il confronto annuo ha segnato un +4,2%, dal +2,6% registrato a marzo. È quanto emerge dai dati del Bureau of Labor Statistics. Il rialzo è stato superiore alle attese del consenso che erano attestate su un +3,6%.” secondo quanto scrive il WSJ Italia.

L’indice “core”, che esclude alimentari e energia, ha registrato il mese scorso un aumento mensile dello 0,9%, il più alto aumento dell’indice mensile dal settembre 1982. Anche su base annua l’indice core è aumentato, passando dall’1,6% di marzo al 3,0 di aprile. Si tratta solo di un segnale, visto che il principale contributo all’aumento dell’indice dei prezzi è stato dato dall’indice dei prezzi di autoveicoli usati, che ha visto un aumento del 10,00% ad aprile, che da solo ha contribuito per oltre un terzo agli aumenti. Si tratta del balzo più ampio dal 1953, anno di inizio delle serie storiche dell’indice dei prezzi.

Se però a questo segnale aggiungiamo le indicazioni emerse dagli incontri delle principali società USA quotate in borsa con gli analisti, in occasione dei conti trimestrali, abbiamo un segnale ancora più convincente. Secondo quanto scrive il Financial Times, le società USA prevedono di aumentare i prezzi in risposta all’aumento della pressione inflazionistica. È opinione degli amministratori che le società saranno costrette a trasferire sui prezzi gli aumenti dei costi delle materie prime, dell’energia e dei semilavorati che usano nelle loro produzioni. A fine marzo, il legname aveva raggiunto il suo prezzo più alto di sempre, dopo un rally di quasi il 60% dall’inizio dell’anno. Rame, alluminio e greggio Brent sono aumentati bruscamente da gennaio, di circa il 20% o più. Dalla carta igienica alle lavatrici ai burritos dei ristoranti, i consumatori statunitensi dovranno far fronte ad un’ondata di aumenti dei prezzi, che hanno lo scopo di mantenere elevati gli utili degli azionisti. Secondo i dati di FactSet, l’utile per azione aumenterà del 33,8% rispetto al primo trimestre dello scorso anno, il più alto aumento annuale in un decennio. Il denaro facile per qualcuno è facilissimo, per altri continua a rimanere un problema.

Nonostante questi segnali è difficile che la politica monetaria della Federal Reserve cambi: i riferimenti rimangono la gestione della forza lavoro (tasso di disoccupazione, tasso di partecipazione alla forza lavoro, crescita dei salari), in altre parole il saggio di plusvalore; d’altra parte il cambiamento della politica monetaria può avere conseguenze incalcolabili sulle società: negli Stati Uniti quasi 200 grandi società si sono unite ai ranghi delle cosiddette “aziende zombie” dall’inizio della pandemia ed ora rappresentano il 20% delle prime 3.000 maggiori società quotate in borsa. Con debiti per 1.360 miliardi di dollari. Il vero malato è però il bilancio federale. Con un debito pubblico che supera il prodotto interno lordo annuo gli Stati Uniti rischiano, con una stretta monetaria, di entrare nel circolo vizioso di fare debito per pagare gli interessi!

La teoria monetarista è stata alla base delle politiche di austerità che hanno dominato le scelte dei governi negli ultimi decenni. Questa teoria afferma che un aumento dell’offerta di moneta deve portare all’inflazione: la velocità del denaro è ritenuta costante ma questo non è vero, specialmente durante i crolli ed in particolare durante il crollo COVID.

L’enorme aumento dell’offerta di moneta è stato dissipato dalla caduta senza precedenti della velocità del denaro. Quindi contrariamente alla teoria monetarista, i prezzi di beni e servizi non sono stati guidati dalle iniezioni di credito monetario. Questo denaro non è sparito ma non è finito nelle mani di chi aveva più bisogno di spenderlo, di chi aveva più bisogno di acquistare beni e servizi di prima necessità, così come non è finito nel potenziamento dei servizi sociali, dalla sanità alla scuola. Questo denaro è finito nei depositi di banche e altre istituzioni finanziarie. Questo denaro è stato accumulato o utilizzato per finanziare la speculazione in attività finanziarie (un mercato azionario in forte espansione e investimenti in hedge fund, ecc.). Quindi la velocità del denaro nelle transazioni di beni e servizi è precipitata.

Le banche centrali hanno speso ingenti somme di denaro e sostenuto banche e imprese senza che i prezzi aumentassero. Mentre la somma di denaro è aumentata, la sua velocità di rotazione è diminuita. C’è stato anche un aumento senza precedenti del prezzo delle attività finanziarie: il problema è continuerà?

La risposta è complessa ma c’è certamente un fattore decisivo: quanto valore è presente nelle economie, quanto affluisce ai capitalisti come profitto e quanto va in salario ai lavoratori. Lo sviluppo di queste variabili determina la domanda. I capitalisti guidano la domanda di beni capitali e, in quanto acquirenti di forza-lavoro, la domanda dei salariati per i beni di consumo. Il livello dei profitti è quindi centrale e ad esso si adeguano i salari ma anche l’offerta di moneta gioca un ruolo importante, perché questa è intesa a compensare la debolezza dei profitti e quindi a stimolare la domanda.

Sindacati e partiti di sinistra, anche qualche teorico del movimento, hanno salutato con entusiasmo la politica del denaro facile, convinti che avrebbe permesso di ridurre la disoccupazione, aumentare salari e pensioni ed erogare un reddito qualsiasi a chi ne era privo. Una politica monetaria espansiva, giustificata dall’emergenza covid, in realtà vuole rispondere al problema della bassa redditività del capitale, che attanaglia l’economia capitalistica in modo crescente, fenomeno che è diventato critico a partire dalla crisi, non ancora risolta, del 2008. Questa politica è volta a mantenere alta la quota di reddito nazionale destinata ai profitti.

Ritornando alle trimestrali USA ed alle dichiarazioni dei responsabili delle società quotate agli analisti, possiamo dire che scaricando gli aumenti dei costi sui prezzi, gli amministratori delle società non garantiscono solo alti dividendi agli azionisti: sfruttando la rigidità dei salari nominali, riducono i salari reali ed aumentano il profitto industriale, allargando la quota del profitto, la fetta di torta da cui tutti, capitalisti, banchieri, governanti, militari, preti vengono mantenuti alle spalle della classe operaia. La risposta data dall’amministratore delegato della Honeywell, Darius Adamczyk, non è solo una previsione, è anche una speranza: “L’inflazione sta prendendo piede, non ci sono dubbi”.

Il denaro facile quindi, prima o poi, si traduce in uno spostamento di quote di reddito a favore dei capitalisti industriali, gli unici che possono gestire gli aumenti dei costi scaricandoli sulla clientela e gli unici che traggono benefici dalla svalutazione dei crediti che deriva dalla diminuzione della capacità di acquisto del denaro.

Da qui la disponibilità dei capitalisti a concedere aumenti salariali, purché rimangano al di sotto del tasso di inflazione e l’assurdità di una politica che baratta servizi sociali gratuiti ed universali con reddito monetario: il reddito indiretto garantito dai servizi sociali non sarà mai compensato da una somma di denaro destinata, un giorno o l’altro, a perdere potere d’acquisto. Sotto il rapporto monetario si nasconde il rapporto di dominio per cui le classi sfruttate mantengono le classi privilegiate con il loro lavoro non pagato.

Da questo punto di vista, non c’è salvezza per gli sfruttati all’interno del modo di produzione capitalistico. Se anche la lotta per gli aumenti salariali è incapace di migliorare le condizioni dei lavoratori, a che serve lottare? Semplice: immaginiamoci quale sarebbe la nostra condizione se queste lotte non ci fossero! Lottando, organizzandoci, unendoci è possibile resistere alle pretese di padroni e governo e, nella lotta, costruire quegli organismi che saranno lo scheletro della nuova società.

L’inflazione che arriverà e che è stata preparata dalla politica del denaro facile amplierà ancora il fossato fra le due parti della società: spetta a noi impegnarci per colmarlo.

Tiziano Antonelli

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