La memoria perduta

Sono un detrattore di Tito, dell’esperienza jugoslava come capitalismo di stato anche se non allineato all’URSS. Mi fan ribrezzo la repressione, le torture e l’uccisione dei comunisti e socialisti oppositori al regime titino finiti a Goli Otok e altri lager, anche se molti di questi erano filostalinisti, la logica del taglione “loro a noi, noi a loro” in un campo che si sosteneva, falsamente, rivoluzionario era e resta inaccettabile. Ricordo le centinaia di operai e le loro famiglie monfalconesi, convinti comunisti, soprattutto dei cantieri navali, emigrati nella jugoslavia socialista terra di speranze e finiti massacrati come controrivoluzionari, non tanto e non solo all’Isola Calva ma dopo l’”esilio”, il rimpatrio, senza più casa, lavoro e due volte ostracizzati: come comunisti e allo stesso tempo come controrivoluzionari.
 Tuttavia oggi, 10 febbraio, è un giorno del ricordo monco, di un ricordo infimo, persino squallido. La storia è storia e va raccontata tutta, fino in fondo.
 Va raccontata la storia di un occupazione militare, di un’aggressione infame senza neppure una dichiarazione di guerra, quella dell’Italia al regno jugoslavo. E allora ricordo.
Ricordo l’accerchiamento di Lubiana, i km di filo spinato con cui hanno trasformato una città viva e europea in un lager a cielo aperto.


I rastrellamenti, le carcerazioni, le uccisioni.


Ricordo le deportazioni a centinaia e poi migliaia, i campi di concentramento a decine sia in Jugoslavia sia in Italia dove morirono decine di migliaia di civili sloveni e croati, moltissimi bambini, di fame e di stenti.


Ricordo i partigiani farsi sempre più coraggiosi e poi più numerosi, ricordo incursioni e azioni straordinarie, atti estremi per liberare le proprie terre dal nazifascismo.


Ricordo la capitolazione dell’Italia fascista, lo sbandamento dell’esercito italiano che per anni incendiava i villaggi slavi mentre i militari si facevano fotografare sorridenti, le decapitazioni di partigiani, gli stupri di donne.

Ricordo il prevalere dei partigiani e poi dell’esercito jugoslavo, l’uccisione dei fascisti, dei collaborazionisti e le vendette personali, come in ogni guerra, sempre.

Ricordo le poche foibe utilizzate da nazisti, fascisti e poi dai comunisti.


Ricordo i processi e le fucilazioni con il beneplacito degli alleati.


Ricordo che nessun criminale italiano è mai stato consegnato alla Jugoslavia. Ricordo la spartizione dei bottini di guerra: i confini, roba da Stati, quelli che le guerre le vogliono e poi le fanno fare ai disgraziati.


Ricordo che non ci fu alcun sterminio di italiani in quanto italiani da parte dei “barbari slavo-comunisti”, ma una guerra e le sue conseguenze tragiche dove i prepotenti di prima, da perdenti poi pagano un prezzo come aggressori, occupanti e assassini.


Un prezzo pagato sicuramente anche da chi non avrebbe dovuto pagare, come in ogni sporca Guerra, dove s’iniziano a pagari i conti e non si faranno sconti. Ogni morto è un morto di troppo. Ma ogni morto ha un nome e una storia, e le storie non sono mai uguali e non hanno lo stesso peso: o si racconta tutta la storia, fino in fondo, senza reticenze e senza propaganda o quella che si racconta non sarà altro che l’ennesimo caricatore pronto per essere innestato nel mitragliatore della prossima guerra.

Stefano Raspa

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