La guerra che si allarga. Polonia: la crisi dei droni

Mentre molta dell’attenzione è rivolta a Gaza, si toccano in Europa nuovi picchi di tensione internazionale. La Polonia ha denunciato l’incursione di numerosi droni russi nel proprio spazio aereo. Stando a fonti giornalistiche e governative ucraine si tratterebbe almeno in buona parte di droni Gerbera non armati, usati per confondere l’antiaerea, che utilizzano anche componenti elettroniche statunitensi e australiane. Dei tanti episodi di sconfinamento in questi tre anni e mezzo di guerra, questo è sicuramente quello più massiccio, in particolare in Polonia. La Russia ha negato ogni responsabilità, la Bielorussia ha dichiarato che questi droni russi sarebbero stati portati fuori rotta da armi di disturbo elettronico utilizzate dall’antiaerea ucraina contro i droni.

Purtroppo in questi anni di guerra abbiamo imparato che la propaganda bellica crea una cortina di disinformazione tale da rendere quasi impossibile comprendere non solo la dinamica e l’effettiva portata, ma a volte anche la stessa consistenza di alcuni fatti. Certo è che entrambi gli schieramenti vogliono proseguire ed estendere la guerra, o comunque passare ad un ulteriore stato di allerta in Europa e ad un ulteriore livello di militarizzazione dei confini. Basti pensare allo schieramento, annunciato, di 40000 soldati polacchi sul confine orientale del paese e alle esercitazioni militari congiunte russe e bielorusse in corso a distanza di relativamente pochi chilometri.

Quella che è stata chiamata “crisi dei droni” ha portato difatti ad un innalzamento della militarizzazione del confine orientale della Polonia e ad un aumento dell’impegno della NATO con la nuova operazione “Eastern Sentry”. Si tratta di un’operazione che ha lo scopo di rafforzare la capacità della NATO su quello che viene definito “fianco est”. Nasce in risposta all’invocazione da parte della Polonia dell’articolo 4 del Trattato NATO, una procedura con cui si richiede la consultazione su questioni militari nel Consiglio dell’alleanza nel caso in cui sia minacciata l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di uno stato membro. Queste procedure danno in genere seguito all’avvio di operazioni militari.

È la terza volta che negli ultimi 11 anni è stato invocato l’articolo 4 nel quadro del conflitto in Europa orientale. Le due occasioni precedenti hanno coinciso con momenti significativi di svolta del conflitto e con un maggiore impegno militare dell’alleanza. Il primo caso fu a marzo 2014, per iniziativa di Lettonia, Lituania e Polonia, in seguito all’occupazione della Crimea da parte della Federazione Russa. Nel secondo caso, che coincise con l’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022, l’iniziativa fu molto più larga, comprendendo oltre a Lettonia, Lituania e Polonia, anche Estonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. I precedenti lascerebbero quindi pensare che si possa essere di fronte ad un ulteriore punto di svolta sia dell’impegno NATO sia delle forme del conflitto in corso.

In effetti, al di là dell’allarme lanciato dai media, le dichiarazioni delle autorità politiche e militari sembrano voler marcare l’avvio di una nuova fase. «Siamo preparati e pronti a difendere ogni centimetro di territorio» ha dichiarato Mark Rutte Segretario Generale della NATO. «L’Europa deve combattere» ha esordito nel proprio discorso sullo stato della UE, la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, che ha fatto eco a Rutte affermando che «L’Europa difenderà ogni centimetro quadrato del suo territorio». Parlando della necessità di costruire un «muro di droni», ha aggiunto che «Possiamo quindi utilizzare la nostra forza industriale per aiutare l’Ucraina a rispondere a questi attacchi con i droni» ed ha annunciato che l’UE «concluderà un’Alleanza per i droni (Drone alliance) con l’Ucraina», a cui ha già assicurato un nuovo finanziamento di 6 miliardi di euro (già diventati 7) per la costruzione di droni. Nello stesso discorso ha anche dichiarato che «L’Ucraina rimborserà il prestito solo una volta che la Russia avrà pagato i risarcimenti». Buttano benzina sul fuoco le stesse parole del presidente del Consiglio dei ministri polacco Tusk «Questa situazione ci pone tutti più vicini ad un conflitto aperto, più vicini che mai dalla seconda guerra mondiale».

Così come il discorso del Presidente della Repubblica italiana Mattarella, che dichiara «ci si muove su un crinale, in cui anche senza volerlo si può scivolare in un baratro di violenza», richiamando l’inizio della Prima guerra mondiale, suona più come una minaccia che come un monito come lo vorrebbe presentare la stampa.

L’operazione “Eastern Sentry” al momento coinvolge sul piano operativo la Francia con tre caccia rafale, la Germania con quattro eurofighter, e la Danimarca con due F-16 e una fregata anti aerea. Il Regno Unito ha annunciato la propria partecipazione. Sembra che a Roma siano ancora incerti sul da farsi, alcuni giornali riportano che il governo starebbe valutando di partecipare all’operazione con alcuni F- 35, ma che la Lega preferirebbe concentrare l’impegno militare sulle missioni neocoloniali nel Mediterraneo e in Africa. Questa falsa contrapposizione interna al governo rappresentata dai media ufficiali, ci ricorda però come l’Italia sia impegnata in maniera importante sia nell’Europa orientale sia in diversi paesi dell’Africa e del cosiddetto Medio Oriente.

L’Italia è comunque già largamente impegnata in Europa orientale fin dal 2014. L’arco che va dal Baltico al Mar Nero è anzi al momento il “fronte” in cui è schierato il maggior numero di uomini e mezzi delle forze armate italiane. Sono in totale 3503 soldati, 1155 mezzi terrestri, 3 unità navali, 23 velivoli, così schierati: 453 soldati 3 navi e 2 aerei per il potenziamento della presenza navale NATO nel Mar Baltico, nel Mar Nero e nel Mediterraneo; 300 soldati e 12 aerei per il potenziamento della difesa aerea NATO con base a Rammstein in Germania; 2340 soldati, 1052 mezzi terrestri, 9 aerei dislocati tra Bulgaria, Romania, Ungheria e Slovacchia per il Battlegroup NATO il cui comando è in mano all’Italia e ha sede in Bulgaria; 330 soldati e 103 mezzi per il Battlegroup NATO in Lettonia; 80 militari per la missione europea EUMAM di addestramento alle forze armate ucraine. Va considerato che ad Est troviamo anche l’ormai “storica” presenza italiana nei Balcani con 1797 soldati, 508 mezzi terrestri e 5 mezzi aerei.

Si potrebbe pensare: ma le missioni militari in Italia devono passare dal parlamento, l’Italia non può finire in guerra per un incidente diplomatico, per una semplice provocazione. Sbagliato! Non è più così. Da questo anno il governo ha di fatto carta bianca sulle missioni militari. È stata infatti istituita una “Forza ad alta e altissima prontezza operativa”, che come si può notare confrontando i numeri delle missioni appena menzionate, per le dimensioni delle operazioni militari italiane costituisce un contingente alquanto consistente dal momento che comprende 2867 militari, 359 mezzi terrestri, 4 mezzi navali e 15 mezzi aerei. Questo contingente può essere impiegato di fatto a discrezione dell’esecutivo. Si legge infatti nei documenti parlamentari relativi all’approvazione delle missioni militari avvenuta lo scorso aprile, che l’effettivo impiego di queste forze “al momento del verificarsi della crisi o dell’emergenza, deve essere comunque deliberato dal Consiglio dei ministri, previa comunicazione al Presidente della Repubblica. La deliberazione è trasmessa alle Camere, le quali, entro cinque giorni, con appositi atti di indirizzo, secondo i rispettivi regolamenti, ne autorizzano l’impiego o ne negano l’autorizzazione. Entro novanta giorni dall’approvazione degli atti di indirizzo di autorizzazione, il Governo riferisce alle Camere sul permanere delle situazioni di crisi o di emergenza che hanno determinato l’effettivo impiego delle forze.” Per quanto la formulazione tenti di indorare la pillola, il governo ha carta bianca sugli interventi militari. Può infatti essere avviata una missione, anche con gravi implicazioni politiche e militari, per iniziativa esclusiva del governo. È chiaro che l’autorizzazione dopo cinque giorni rappresenta una garanzia parlamentare solo formale, dal momento che interviene a cose fatte. In questo modo la legge 168 del 2024 ha in parte riformato le procedure per la partecipazione delle missioni militari all’estero, introducendo anche una maggiore opacità dei documenti parlamentari e rendendo possibile una interoperabilità tra le diverse missioni, in modo che le forze impiegate in uno specifico contesto possano essere più facilmente reimpiegate in un altro a seconda della necessità.

Ma l’opacità delle informazioni e dei processi decisionali in campo militare e non solo non è l’unico piano su cui leggere queste novità. Si ha la formalizzazione di un andamento già affermatosi nella prassi, dando quindi copertura legale alla prepotenza del governo in questo campo che ha dominato negli ultimi decenni lo scenario politico, sotto governi di qualunque colore. Ma soprattutto si dà più potere all’esecutivo in campo militare, ciò significa in tempi di tensioni internazionali, più potere per agire su un piano di campagna militare, ed avere già pronti strumenti in caso di guerra. Quando il governo, il Presidente della Repubblica o i partiti di opposizione si allarmano candidamente per la situazione internazionale, parlano di rischio di guerra, quando dicono che l’Italia vuole la pace, ma che se necessario saprà fare la sua parte, ecco, in realtà cercano di convincerci, di convincere la popolazione tutta, che bisogna fare la guerra, perché la guerra è già da un pezzo che la stanno preparando. Noi dobbiamo esser pronti fin da ora a far crollare il terreno sotto i piedi ai padroni della guerra.

Dario Antonelli

Related posts