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La crisi ecologica. Anarchismo e rapporto umanità-ambiente.

La crisi ecologica. Anarchismo e rapporto umanità-ambiente.

Tratto da un opuscolo che riproduce il testo di una conferenza che l’autore tenne a Carrara l’8 ottobre del 1984. L’opuscolo fu pubblicato per la prima volta, poco dopo, sempre nell’ottobre dell’84 dal Circolo Culturale Anarchico di Carrara. Alcune leggere modifiche per migliorare la leggibilità del testo sono a cura di Enrico Voccia.

(…) e siamo appena agli inizi. Questa crisi ambientale va valutata in maniera radicale: il problema va ben al di là dal far approvare leggi, ben al di là dal cercare cure parziali; non è soltanto un problema di ripulire l’acqua e l’aria, perché lo sappiamo noi in America dove di leggi ve ne sono molte ma la situazione peggiora invece di migliorare. Noi dovremmo tentare di intervenire in questo processo (…) non è soltanto una questione di legislazione, non è solo un problema di stabilire controlli sulle multinazionali: ogni anno verrà prodotto più veleno di quanto qualunque chimico, agente o commissione governativa possa controllare e catalogare. A decine di migliaia vengono sintetizzati ogni anno nuovi veleni e il massimo che un governo efficiente può fare è limitarne la produzione di una decina o una ventina, per accorgersi soltanto una generazione più tardi che erano migliaia quelli molto pericolosi.

Il problema è insito nella società stessa. È un problema che è vecchio di migliaia di anni ma è divenuto enorme nella società di oggi, in cui tutta la mentalità è basata sulla crescita o la morte. Mi riferisco all’economia di mercato, dove non ci sono limiti alla crescita e al consumo, stante che il principale obiettivo della società è di espandersi, espandersi, espandersi. Il risultato del sistema di mercato è che ogni cosa è un prodotto fatto per la vendita. La foresta non è quindi altro se non legno da vendere o carta, una mucca non è altro che una bistecca, un maiale è soltanto una salsiccia e – lasciatemi essere piuttosto cattivo – la donna non è altro che una fabbrica di bambini.

È tutta la stessa mentalità, costruita all’interno della struttura stessa della società. La moderna economia di mercato dice che il progresso non viene dalla cooperazione ma dalla competizione; questo avviene per la prima volta nella storia della società umana. Per centinaia e anche migliaia di anni, in ogni società fin dai primi raccoglitori di alimenti, attraverso i primi insediamenti agricoli e di villaggio, perfino nel Medioevo, vi era perlomeno un’idea a proposito della società – a prescindere da quanto una classe opprimesse le altre – che la gente doveva cooperare per far sì che la società potesse avanzare.

A partire però dal ’600 in Italia, nelle Fiandre, poi in Inghilterra e in Francia e specialmente negli Stati Uniti è emersa una sensibilità completamente nuova: il progresso è il controllo della natura, delle persone e dell’ambiente; la natura è il nemico; la natura è il luogo dove c’è la lotta per l’esistenza, il che riflette esattamente l’economia di mercato, dove tutto esiste per combattersi, per crescere o morire. Questo apprendono i bambini dal momento in cui nascono, questo si insegna loro quando vanno a scuola, questo è il mondo che trovano quando vanno a lavorare nelle industrie, nelle fattorie o nelle professioni.

Tutto questo è diventata l’etica, la religione e la sensibilità con cui la società è sì pazza ma utilizza i metodi più razionali per poter sfogare al meglio la propria pazzia. Che poi è la famosa teoria del capitano Achab in Moby Dick, il romanzo di Herman Melville, che dice: “I miei scopi possono essere completamente insani ma i miei metodi per raggiungerli sono razionali”. Nella scienza e nella tecnologia abbiamo messo insieme i metodi più razionali e la miglior organizzazione, il più potente motore sociale per causare un danno maggiore di qualunque società precedente. Abbiamo centralizzato questa pazzia in uno stato potente, in grosse multinazionali che lavorano dentro lo stato ma non conoscono frontiere nazionali, che cooperano per un unico proposito: produrre, produrre, produrre e, siccome loro producono così tanto, tu devi consumare, consumare, consumare…

Marx disse: “abbiamo sviluppato il feticismo della merce”; col feticismo dei bisogni, compriamo più di quello di cui abbiamo bisogno, mentre a milioni muoiono per fame nel Terzo Mondo e spesso anche intorno alle nostre città. Questa società crede, inculca nella mentalità, che il progresso viene dalla competizione e dal furto, che l’unica via è continuare questo processo e ingigantirlo… ma finirà col mandare in frantumi l’intero pianeta.

I precedenti momenti sull’inquinamento non sono altro che dei semplici episodi in una vasta, orgiastica, distruzione che sta continuando, tentando di semplificare la vita sulla Terra. Noi stiamo facendo girare all’indietro l’orologio dell’evoluzione: da un ambiente complesso, dal quale nacquero le specie umane, ricco di varietà di vita, con un’evoluzione di quattro milioni di anni, andiamo verso un mondo semplice, ricoperto di cemento, lavorato con gli agenti chimici, i cui oceani sono morti, la cui aria è avvelenata, come l’atmosfera all’inizio della vita sul pianeta.

Oggi c’è una particolare qualità di inquinamento, che non è fatto soltanto di natura chimica, non è fatto solo di radiazioni ma anche di semplificazione. Il complesso ecosistema, su cui hanno basato la vita tutte le forme sviluppate di organismi, ora si sta semplificando e sta tornando verso l’età in cui la vita in se stessa era talmente semplice che la maggior parte del pianeta era disabitata. Questo è il tipo di crisi che la nostra società deve fronteggiare. Dobbiamo prendere in considerazione che ogni problema ecologico è un problema sociale e non soltanto un problema politico o risolvibile solo con delle leggi: la sostanza sta nel ristrutturare l’intera società in maniera che essa possa convivere con la natura.

L’unico modo in cui possiamo convivere con la natura passa attraverso il momento in cui viviamo in armonia con gli altri. Il tentativo di dominare la natura, il tentativo di conquistarla e di sfruttarla, ha le sue radici nel tentativo di dominare l’uomo, di dominare la donna, che rappresenta la personificazione della natura, in una società patriarcale. È un concetto molto importante che dobbiamo comprendere: il movimento femminista, il movimento pacifista e il movimento comunitario sono connessi e possono tutti essere coordinati in una stessa ottica (…). Dove sta la soluzione?

Riassumo alcuni dei pensieri su cui ho scritto, discusso e che altri hanno affrontato. Il grosso problema della semplificazione della vita che ci troviamo ad affrontare non è soltanto la semplificazione della natura ma è la semplificazione dello spirito umano: attraverso la televisione, l’elettronica, il cinema, la stampa centralizzata, le scuole tecniche si insegna alla gente a pensare come macchine. Un problema che diventa ancora più serio oggi, nel momento in cui il computer sta prendendo sempre più piede.

Cominciamo a pensare alla realtà come fanno i computer, invece che biologicamente come organismi umani. In America abbiamo il problema dei giovani che sanno programmare genialmente un computer ma che non sanno leggere una riga su un giornale. Tutto il loro mondo dell’esperienza nella realtà non è organico, non è dialettico, non è basato su dei processi e degli sviluppi: è strettamente lineare e matematico. Non riescono a pensare oltre a quello che vedono sullo schermo del computer o della televisione. Oggi in America la gente guarda la televisione per sei sette ore al giorno. Lavorano, mangiano, vanno a letto, fanno all’amore forse, mentre guardano la televisione o ascoltano con gli auricolari, anche quando vanno in bicicletta, musica rock. Deve esserci del rumore. Se non c’è rumore, una presenza, se devono guardare se stessi in tranquillità, diventano terrorizzati a causa del vuoto dei loro spiriti (…).

Dobbiamo cominciare a spegnere la televisione. Dobbiamo fermare i motori. Dobbiamo cominciare a creare nuove strutture nella nostra società, nelle nostre comunità, nel nostro quartiere, dove la gente può rincontrarsi e riscoprire l’arte di parlare con gli altri, in maniera diretta e organica (e non solo attraverso la televisione o il telefono), così che si possa restituire la carica sociale alla gente. Dobbiamo decentralizzare la società in modo che possiamo controllare la società, perché lo stato centralizzato delle corporations non soltanto ci sta rendendo impotenti ma sta tentando di distruggere lo stesso spirito di ribellione, lo stesso spirito di critica e una generazione potrebbe emergere senza che nemmeno conosca il significato della parola libertà. Come ha detto George Orwell: “Noi stiamo usando la parola libertà in un significato puramente meccanico e strumentale: diciamo ‘questa sedia è libera’, non che la gente è libera, perché non sappiamo più cosa vuol dire la parola libertà”. Orwell intravvide questo pericolo molti anni fa, e noi cominciamo a vederne la realtà…

Molte persone cominciano ad essere convinte che il modo come in cui vanno le cose oggi è il modo in cui le cose è logico che vadano. Non conoscono niente di storia, non sanno cosa vuol dire futuro, vivono nel presente, nell’ora e si preoccupano soltanto di se stessi. Ciascuno sta diventando talmente uguale agli altri che per essere differente deve comprare vestiti diversi, tagliarsi i capelli in modo diverso e tutto passa attraverso la moda. Questo è il mondo delle mode, perché la gente sta diventando talmente uguale dentro che cerca sempre più di differenziarsi esternamente con i vestiti, con il mobilio e merci diverse.

La decentralizzazione della società è il primo passo verso la soluzione del problema ecologico. In un momento in cui lo stato sta diventando sempre più potente, sempre più centralizzato, noi dobbiamo cominciare a dar vita, alla base della società, a relazioni e strutture che siano di contropotere contro lo stato centralizzato. Passo passo, poco a poco, nel nostro quartiere, nella nostra città, nella nostra realtà insomma, nelle assemblee in cui parliamo, possiamo prendere il controllo delle nostre comunità, delle nostre città, dei nostri luoghi di produzione. (…) noi del movimento ecologico, per non parlare di noi che siamo nella sinistra, che siamo nel movimento femminista, in quello pacifista o antimilitarista, dobbiamo parlare a questo bisogno dell’Uomo di essere padrone della propria esistenza o altrimenti i reazionari prenderanno inevitabilmente questo argomento e questo potere, in modo da razionalizzare e totalizzare la società.

Il nostro grosso problema di oggi è reclamare per il movimento ecologico, femminista e pacifista – in modo che si lavori insieme all’unisono, con una prospettiva comune – l’impulso libertario che esiste in ognuno di noi, specialmente in una società in cui si tenta il controllo sociale diffuso. Dobbiamo prendere delle iniziative contro questo crollo ecologico; dobbiamo federare la base di questi gruppi, in maniera da costituire un contropotere contro lo stato e le multinazionali e questo è il primo passo. Il secondo passo è quello di sviluppare l’alternativa al demenziale sistema di competizione, di rivalità, a questa sistematica educazione all’antagonismo e all’egotismo, verso un nuovo mutualismo, una nuova reciprocità, un mutuo appoggio; dobbiamo sviluppare le cosiddette economie sotterranee: una economia morale (come diciamo in U.S.A.) e non di mercato (…).

Non sto dicendo che dobbiamo tornare all’età della pietra. Io credo nel valore della tecnologia ma dico che dobbiamo sviluppare una tecnologia che armonizzi i nostri rapporti con la natura, con gli altri individui. Abbiamo bisogno di una tecnologia che riporti il sole e la terra nella nostra vita, non perché io sono sentimentale a proposito dell’agricoltura ma perché credo che oggi la gente abbia bisogno di una tecnologia che riporti la gente vicino alle risorse naturali, con una tecnologia solare, del vento, una agricoltura organica. Sono appunto tecnologie che restaurano i nostri rapporti con la natura e reimbastiscono i nostri rapporti individuali (…).

Una società ecologica deve essere una società libertaria, in cui la gente vive in confederazione e in comunità con gli altri, il cui scopo non è il progresso nella competizione, un progresso nell’egotismo, un progresso nella dominazione della natura, un progresso che mantenga la dominazione dell’Uomo – come purtroppo anche gente di sinistra crede. Deve essere progresso verso la cooperazione, attraverso il mutualismo, il reciproco aiuto nell’armonia. In breve, un mondo pacificato in cui la creatività ed il progresso scaturiscano dall’armonia e non dalla competizione. Senza questo, non soltanto faremo a pezzi il pianeta ma faremo a pezzi lo spirito umano. Questo è il messaggio vero che comporta il problema ecologico, perché se le cose vanno avanti così, noi non sapremo nemmeno più che il problema continua a esistere.

Murray Bookchin

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