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La costruzione del soggetto nazionalista

La costruzione del soggetto nazionalista

È cosa risaputa che l’utilizzo di determinate forme linguistiche o di altre non sia un dato neutro ma rimandi a strutture di pensiero che sono diretta conseguenza della struttura sociale. A titolo di esempio si può notare come nella comunicazione, sia giornalistica, sia manualistica ma anche nel registro colloquiale, si tenda a trasformare gli stati in soggetti individuali: l’Italia ha dichiarato, la Russia ha fatto, gli Stati Uniti annunciano e via dicendo. Una forma linguistica innocente? Non proprio.

La trasformazione degli stati in soggetti dotati di volontà propria presente in questa forma linguistica, che non è una peculiarità dell’italiano ma che si ritrova anche in altre lingue, rimanda ad alcuni equivoci di base. Proviamo a smascherarli.

Si potrebbe, tanto per iniziare, dire che gli stati non sono soggetti unitari e coesi bensì il risultato dell’equilibrio di potere tra varie componenti dell’élite politica e più in generale della classe dominante. Andando poi nemmeno tanto più in profondità si può dire chiaramente che le decisioni degli stati non sono prese in base a una “volontà generale” della popolazione come vorrebbe l’ideologia liberale, ma sono prese in base ai rapporti di forza esistenti all’interno della popolazione di quello stato e dei rapporti di forza tra quello stato e altri stati. Sicché al posto di dire che “l’Italia” “ha fatto” o “ha detto” bisognerebbe dire che la classe dirigente italiana “ha fatto o detto”. Il problema è che quella che per un soggetto con un minimo di cultura politica e sociale è fondamentalmente una banalità, per tantissimi non lo è.

La formula linguistica che abbiamo preso in esame rimanda, infatti, a un non detto della democrazia: il suo essere una maschera. La continuità delle politiche di governo si esplica nella continuità degli apparati che resistono ai cambi al vertice del potere, sia esecutivo sia legislativo. Lo stesso potere esecutivo, nel corso dei decenni, ha assunto un ruolo di preminenza rispetto a quello legislativo, con parlamenti che sulle questioni più urgenti semplicemente ratificano le decisioni prese dai governi, in altre parole da funzionari non eletti che costituiscono l’ossatura dei ministeri.

Questa formula linguistica, inoltre e soprattutto, va nella direzione di costruire un’identità nazionale: un nazionalismo che è assai spesso ben radicato anche in molti di coloro che criticano, ovviamente non da un punto di vista rivoluzionario, le scelte operate dai governi.

Ricordiamoci, ad esempio, i richiami all’italianità operati dal movimento dei Forconi e similari, cosa di cui coloro che pensavano di potersi buttare a pesce su quel coacervo di rivendicazioni reazionarie e borghesi facevano finta di non accorgersi. Di là però del Movimento dei Forconi, oramai un ricordo un po’ sbiadito, gli stessi richiami li possiamo ritrovare nella retorica messa in atto dai Cinque Stelle e dai loro epigoni: anche lì certi pezzi di movimento facevano finta di niente, attirati dall’esistenza di una “forza antisistema” che ha finito per andare al governo prima con la Lega in nome del sovranismo e poi con iPD, Lega e lo spezzatino del centro-destra – il tutto sotto l’egida di Draghi.

Richiami all’italianità che arrivano non solo dall’ambito delle forze politiche ma anche dall’insopportabile retorica dispiegata dai media in occasioni di vittorie sportive o di premi nell’ambito dello spettacolo, con gli stessi effetti nefasti. Insomma, una formula linguistica apparentemente innocente ma che in realtà rimanda a un fatto: una società basata sullo sfruttamento, sulla divisione in classi, sull’oppressione di genere, sulla razzializzazione e sulla pura e semplice rapina a mano armata non può che tentare di nascondere le sue divisioni e, nel nascondere le sue divisioni deve spesso nascondere anche quelle degli altri stati. In questo modo tutti i russi divengono colpevoli delle scelte del governo russo, persino quelli di secoli passati, ed è legittimo sabotare seminari su di un autore russo. Contro la barbarie russa può l’Italia, baluardo della civiltà, secondo questa demenziale retorica, tirarsi indietro?

La comunicazione mainstream attuale sembra essere tornata ai tempi del grande gioco di kiplinghiana memoria, dove i giornali dei paesi liberali europei pubblicavano vignette che rappresentavano gli stati coinvolti nelle dispute tramite allegorie. Si trattava di una strategia comunicativa volta a costruire una base di massa al nazionalismo che tragicamente ebbe successo, come insegna la prima guerra mondiale con il movimento di massa dei volontari.

L’attuale conflitto in Europa sta riportando in auge i nazionalismi. A fianco dei più classici nazionalismi emerge una forma di nazionalismo europeo buona per attrarre quei “ceti riflessivi” che si sono innamorati dell’idea di una Europa unita. Persino pezzi del movimentume italiano, come l’area post-disobbediente bolognese, si inventano come “matrioti europei”! Basare la propria strategia politica, sempre che di strategia si possa parlare per personaggi la cui visione è tanto quando arriva a sei mesi, sull’opportunismo permette sempre di partorire perle di idiozia.

I nazionalismi servono a irregimentare le masse per mandarle al macello negli scontri interimperialisti. È necessario allora denunciare il ruolo dei media, a prescindere da quale sia il loro blocco di riferimento, che vogliono costruire un discorso pubblico nazionalista. È necessario svelare i loro trucchetti, gli interessi economici a cui soggiaciono, la falsità delle notizie fornite, le strategie retoriche utilizzate.

È necessario, inoltre, denunciare con forza il ruolo di quelle componenti di movimento che si intruppano al seguito di questo o quel blocco imperialista, siano nostalgici stalinisti con il feticcio delle marcette militari, o post-tutto che cercano di accattivarsi la parte di ceto politico istituzionale dalle cui briciole elargite in forma di fondi per progetti socio-culturali dipende il loro sostentamento.

Storicamente parlando, i conflitti tra blocchi imperialisti hanno portato alla polarizzazione di posizioni entro i movimenti sociali: non solo una polarizzazione tra chi parteggiava per blocchi avversi tra di loro ma anche tra chi parteggiava per un qualsiasi blocco e tra chi rimaneva fedele al suo compito: costruire una capacità di azione autonoma rispetto agli stati e alle borghesie. Non ci stupiamo se oggi, ancora una volta, sarà così.

Tallide

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