E’ salato il prezzo da pagare per passare la frontiera della Fortezza Europa: annegamenti in mare, reclusione all’interno dei lager di stato, umiliazioni quotidiane, privazione e negazione dei più elementari diritti. E’ questo l’inferno dei profughi che arrivano in Italia. I “miracolati”, quelli sfuggiti a prigionia e tortura,quelli che non vengono inghiottiti dalle acque, quelli che non finiscono nelle bare di stato, seppelliti nelle fosse comuni di Lampedusa. Benvenuti in Italia: CIE, CARA, CDA, CAS (a breve, hot spot, hub chiusi, hub aperti) portano nomi diversi, ma sono tutti riconducibili al sistema dell’accoglienza scaturito dalle scelte securitarie adottate dall’Italia.
Il fallimentare piano dell’Emergenza Nord-Africa, conclusosi due anni fa, avrebbe dovuto prescrivere la chiusura di una stagione della vergogna: quella della disumanità e dell’assistenzialismo tipici dell’”accoglienza” da campo-profughi, da posteggio per migliaia di persone che approdano sulle coste mediterranee. La nascita dei C.A.S., un anno fa, si pone, invece, in continuità con l’operazione precedente. Lo stato italiano continua a spendere milioni di euro in affido diretto ad albergatori, cooperative nate per l’occasione, strutture in disuso (hotel, ristoranti, agriturismi, caserme), videosorveglianza. Ancora una volta assistiamo a barbarie e degrado istituzionalizzati.
Non servono parcheggi per i migranti in fuga da guerre, carestie, tortura e violenza estrema, ma progetti di cittadinanza e di inclusione fin dal primo arrivo. Già quattro mesi fa, insieme alle referenti della Campagna LasciateCIEntrare, avevamo avuto modo di visitare il C.A.S. di Spineto, Aprigliano, ai piedi della Sila Grande. Attualmente ospita 84 richiedenti asilo prevalentemente africani . Si tratta di un ex ristorante dismesso e riadattato a centro di accoglienza straordinaria per migranti, molti dei quali provenienti da Amantea, dall’ex albergo Ninfa Marina, trasferiti di forza nell’entroterra silano in seguito alla protesta dello scorso 8 ottobre per le strade della città. La struttura è isolata per diversi chilometri dal centro abitato. Sono presenti 14 donne di nazionalità somala e nigeriana, le quali lamentano l’assoluta mancanza di assistenza sanitaria e le pessime condizioni di vita all’interno del centro.
La protesta alla quale hanno dato vita quattro giorni fa, i migranti presenti nella struttura, è scaturita dalla mancata fermata da parte dell’autobus delle Ferrovie della Calabria per consentire ai richiedenti asilo della struttura di arrivare a Cosenza dove avrebbero protestato davanti alla Prefettura per il divieto imposto dai gestori della struttura di effettuare l’iscrizione anagrafica.
Un pretesto conseguente allo stato di abbandono, di isolamento, di passività, di emarginazione spaziale e sociale al quale sono assoggettati i richiedenti asilo di Spineto. Hanno protestato bloccando il traffico in entrambe le direzioni sulla strada silana con cassonetti e materassi che poi sono stati dati alle fiamme. Già nei giorni precedenti si erano verificati alcuni episodi di discriminazione a bordo dell’autobus che dalle montagne silane porta a Cosenza, alcuni pendolari avevano protestato ad alta voce e con pesanti ingiurie rivolte ai migranti sorpresi a viaggiare senza biglietto. Salvini docet! Anche nel sud di Italia. Poco importa che dietro alla falsa accoglienza di persone scampate all’inferno della guerra, all’arsura del deserto, alla traversata del Mediterraneo si nasconda un enorme business milionario. I centri di assistenza straordinaria rappresentano l’esempio più significativo della gestione del fenomeno immigrazione: inazione, incertezza del futuro, mancanza di spiegazioni, assenza o carenza di servizi essenziali, sospensione temporale che reitera i traumi delle violenze subite durante il viaggio, prigionieri della non accoglienza.
Tutto ciò finisce per penalizzare le persone trasformandole in soggetti passivi di decisioni che non riescono a capire. I migranti di Spineto raccontano di sentirsi abbandonati, nessun reale processo di inserimento sociale è stato messo in atto finora nei confronti di queste persone “parcheggiate” in mezzo alle montagne silane. Raccontano che la struttura non riesce a contenere tutti e per questo motivo i gestori della cooperativa “Sant’Anna” hanno portato dei materassi nel vano delle scale dove dormono la maggior parte delle donne. Una situazione deprimente in cui le persone si trovano a vivere, senza la benché minima tutela dal punto di vista psicologico e legale (le persone intervistate raccontano di essere state diniegate dalla commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato ma di non avere mai incontrato l’operatore legale né l’avvocato, né di essere stati informati della possibilità di presentare ricorso). Un ragazzo ha raccontato di soffrire di disturbi di tipo psicologico, di sentire “la testa come una pentola in ebollizione”, implorandoci di portarlo via da quel posto dove continua a pensare giorno e notte al suicidio.
Quest’ennesima protesta e le ripetute stragi in mare degli ultimi giorni ripropongono la necessità di modificare totalmente le politiche migratorie degli ultimi venti anni, garantendo libertà di movimento e chiudendo i mega ghetti di accoglienza che accoglienza non è: si tratta solo di speculazione, emarginazione, negazione di diritti essenziali.
Associazione “La Kasbah”