Individuo e comunità educante

Dopo l’articolo di Cosimo Scarinzi, passo ora ad analizzare l’articolo di Nicholas Tomeo “La Scuola Competitiva Contro l’Apprendimento. Copiare? Perché No?” comparso in Umanità Nova n. 18 del 3 giugno scorso che anch’esso, come il primo, mi è piaciuto molto. Tomeo, partendo dall’analisi del sociologo dell’educazione Marcello Dei il quale, analizzando il diffusissimo costume della copia nelle istituzioni educative, vede un rapporto causa-effetto di questo con la corruzione sociale, ne rovesciava l’argomentazione, per cui il “copiare a scuola potrebbe invece essere figlio dello stesso sistema che la scuola statale vuole creare, ossia un sistema profondamente competitivo, liberista e capitalista. (…) il copiare a scuola è un qualcosa di negativo, ma solo perché mette in mostra il sistema competitivo di cui la scuola statale è parte integrante. (…) Se le scuole fungessero da luoghi di scambio di idee e saperi, aperte al dissenso, volte alla distruzione dell’idea di ruoli fissi di educatore e educando, ossia luoghi dove si pratica l’interscambio di conoscenze e quindi dei ruoli di insegnanti tra professori e studenti, e dove, proprio per questo, il copiare, che non sarebbe più tale, venisse invece incentivato e preso come metodo per imparare insieme per imparare tutti, si darebbe un senso politico-sociale al copiare che diverrebbe, di conseguenza, cooperativismo e solidarietà.”

Proverò qui ad allargare il discorso di Tomeo, partendo dall’unico aspetto che non mi ha convinto fino in fondo. L’idea di ruoli fissi in un processo educativo è certamente dannosa alla buona riuscita di un insegnamento di massa e di qualità: ad esempio, il ruolo del professore non può essere dato per scontato e lo si deve conquistare sul campo, mostrando effettivamente di volta in volta le proprie conoscenze e capacità, nonché la capacità di trasmetterle ed aprendosi in ogni momento alla possibilità concreta che si sia concretizzata l’ideale dell’insegnamento – un alunna/o che è giunto al livello di poter trasmettere a sua volta un sapere valido – e dargli spazio senza se e senza ma. Proprio per questo, però, in una scuola di massa ideale, basata appunto sul solidarismo e la cooperazione, occorre evitare che si fissino i ruoli tra “copiatore” e “passatore” – questo per due ordini di motivi.

Il primo ordine di motivi, maggiormente evidente, riguarda il “copiatore” che resta fissato nel suo ruolo: come si può facilmente immaginare, il risultato finale di tanti anni di esclusiva professione copista è l’analfabetismo funzionale – ad un certo punto, cosa che è esperienza comune di chiunque operi ad un qualunque livello del mondo dell’istruzione, questi non è nemmeno più capace di copiare come si deve, con esiti solitamente tragicomici…

Il secondo ordine di motivi, meno evidente, riguarda invece il “passatore” che resta fissato nel suo ruolo. Di solito è quello “bravo”, che ha acquisito determinate competenze in un certo campo del sapere e proprio per questo gli si chiede di interpretare, nella relazione sociale, quel personaggio, cosa che per vari motivi fa volentieri. Il problema è che l’acquisizione di competenze, come Tomeo sottolinea, è un processo sociale e cooperativo, che passa attraverso la continua interazione con gli altri, per cui se gli altri sono sempre di più degli analfabeti funzionali, anche la “bravura” di costui sarà molto relativa e, sicuramente, molto inferiore a quella che avrebbe potuto essere all’interno di un contesto effettivamente cooperativo nell’acquisizione e formazione delle conoscenze. Quest’ultimo fenomeno è perfettamente riscontrabile nella rete: alcuni siti studenteschi – o nati tali – che sono il luogo deputato per la copia 2.0, di anno in anno peggiorano la qualità dei loro “suggerimenti”, segno evidente che le nuove generazioni di collaboratori sono decisamente più scadenti di quelle dei primi anni.

Insomma, l’aspetto cooperativistico e solidale di una scuola di massa dove il copiare venisse preso come metodo per imparare insieme e per imparare tutti al meglio, non può essere dato per scontato ma, al contrario, pianificato attentamente e con cura: su questo, la pedagogia libertaria deve iniziare una riflessione attenta che vada oltre la “pars destruens”. Come dicevo nell’articolo comparso sullo scorso numero di Umanità Nova – “Gli Inganni Ideologici degli Stakeholders dell’Ignoranza di Massa” – le strategie statali di depotenziamento di un insegnamento di massa qualitativamente elevato sono passate anche tramite il fatto che l’acquisizione del sapere, in qualunque forma la si possa immaginare e per quanto il processo educativo ti abbia portato ad amare il sapere, comporta sempre ed inevitabilmente un certo livello di fatica mentale e di stress; ora copiare è certamente e da sempre una strategia efficace per ridurre l’una e l’altra. La tentazione di impostare il proprio percorso educativo in questo modo è perciò una tentazione fortissima in quanto, come dicevo sempre nell’articolo scorso, per capire i danni dell’ignoranza – in primo luogo subire senza adeguati strumenti di difesa la subordinazione sociale e gli inganni del potere – occorre essere almeno un minimo sapienti. Questa è una questione che non può ignorare nessuno che sia interessato ad un livello elevato dell’istruzione di massa e ad opporsi alle strategie statali volte all’analfabetismo funzionale di massa.

Enrico Voccia

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