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Il Movimento risponde alla Repressione

Il Movimento risponde alla Repressione

Il 12 Ottobre il movimento antimilitarista sardo è tornato protagonista: in risposta alla manovra repressiva intentata dalla procura di Cagliari in migliaia si sono presentati al poligono di Capo Frasca per un intenso pomeriggio di lotta, durante il quale spontaneamente si sono superati i limiti che Digos e Carabinieri volevano imporre e si è sfidato simbolicamente e fisicamente il potere militare che impone all’isola una servitù pesantissima per poter svolgere indisturbato il proprio mestiere di morte.

Nelle settimane precedenti 45 compagni sono stati raggiunti da avvisi relativi alla chiusura di indagini a proprio carico per reati commessi durante episodi delle lotte antimilitariste dal 2014 al 2017. Queste lotte hanno visto la partecipazione di moltissime persone ed organizzazioni animate dalle più diverse istanze politiche, accomunate dal comune obbiettivo e dal rispetto reciproco per gli strumenti di lotta che ciascuna intendeva mettere in atto. Peraltro le mobilitazioni hanno raggiunto risultati importanti, che sono andati oltre l’aver interrotto le esercitazioni militari o aver denunciato all’opinione pubblica l’assurdità dell’economia bellica: infatti nel 2017 l’esercito Tedesco ha deciso di abbandonare la base militare di Decimomannu innescando un processo di decadimento operativo, economico e tecnologico dei presidi militari sardi che ci auguriamo possa portare al loro definitivo smantellamento.
Il potere politico risponde a questa crisi proponendo piani di recupero e trasformazione, associati per esempio al settore aerospaziale, quasi che non si sia compresa e denunciata da tempo la sostanziale contiguità tra determinati settori dell’industria militare ed applicazioni commerciali di tipo “civile”. Non dimentichiamo che il poligono interforze del salto di Quirra è stato affittato non solo a forze armate di tutto il mondo per sperimentazioni di armi, ma anche ad industrie (prima tra tutte ENI) per effettuare prove distruttive su materiali in una zona “di sacrificio”, lontano da occhi indiscreti.

Le settimane scorse la notizie della crisi industriale alla fabbrica di bombe RWM di Domusnovas riempiva la stampa locale, chiamando i sindacati alla difesa del settore bellico sardo. Gli stessi sindacati che a livello nazionale chiedono il rispetto della legge che vieta la vendita di armi a paesi in guerra, a livello locale sostengono la produzione degli stessi ordigni micidiali che saranno utilizzati in Yemen dall’Arabia Saudita. Ci si chiede come i sindacati non vedano l’assurdità di lottare per mantenere una produzione illegale secondo le stesse leggi italiane ed il diritto internazionale invece che impegnarsi per una riconversione produttiva: c’è da rimanere sconcertati.
Come ulteriore paradosso bisogna dire che la crisi è stata indotta dalla Mozione Parlamentare 1/00204 del 26 giugno scorso – votata all’unanimità da tutte le forze politiche compresi Lega e Fratelli d’Italia – circa il blocco dell’esportazione e del transito di bombe per aereo e missili verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
Fatto sta che poter titolare “Antimilitaristi? No, Terroristi!” è stata una tentazione irresistibile per il giornale dei padroni, lo stesso giornale che nel 2014 chiamava alla mobilitazione contro le servitù militari distribuendo addirittura in edicola una apposita bandierina. Quella manifestazione del 2014 a Capo Frasca vide la partecipazione di oltre 10.000 persone e fu l’inizio di un movimento che negli anni seguenti ha cercato di mantenere alto il livello di mobilitazione e di conflittualità e che oggi viene perseguito da magistrati che cercano di ridurre quelle lotte ad un progetto eversivo che in particolare 5 compagne/i tra i 45 indagati avrebbero messo in atto per manipolare verso esiti violenti un movimento che, evidentemente, non aveva alcun bisogno di essere eterodiretto e che ha sempre dichiarato apertamente e pubblicamente i propri metodi ed obbiettivi. A queste compagne/i è stato riservato il famigerato art. 270 bis: “Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.”

Ecco perché la giornata del 12 ottobre a Capo Frasca assume una importanza molto rilevante: il movimento antimilitarista si riappropria della piazza e lo fa rivendicando e praticando le modalità di protesta che la magistratura intende criminalizzare, mostrando che la solidarietà si pratica anche nei fatti, a viso aperto.
Recentemente sono stati archiviati i primi procedimenti a carico dei pastori protagonisti della vertenza latte della scorsa primavera. Nel corso di quei fatti ci sono state moltissime “violazioni delle regole” ma un moto amplissimo di solidarietà verso gli allevatori ha fatto si che in ogni dove apparisse la scritta “io sto con i pastori”, spingendo così affinché gli eventi fossero interpretati nel senso di legittima manifestazioni del dissenso. Non ci aspettiamo di vedere apparire ovunque “io sto con gli antimilitaristi”: il ricatto lavorativo e la chimera del posto fisso, la propaganda, l’ignoranza e la superficialità fanno ancora del militare un mestiere desiderabile per tanti abitanti dell’isola. Tuttavia ci è sembrato, almeno per un giorno, che la voglia di rilanciare le lotte, di ripartire con le mobilitazioni, sia di nuovo alta. Non può esserci solidarietà più efficace e gradita di questa.

G.C.

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