“L’esonero contributivo triennale, introdotto dalla legge di stabilità 2015, risulta avere avuto un effetto determinante sull’incremento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (…) Le assunzioni (attivate da datori di lavoro privati) a gennaio 2016 sono risultate 407.000, con un calo di 120.000 unità (–23%) sul gennaio 2015 e 94.000 unità (-18%) sul gennaio 2014 (…) Il rallentamento ha coinvolto soprattutto i contratti a tempo indeterminato (–70.000, pari a 39%, sul gennaio 2015 e -50.000, pari a -32%, sul gennaio 2014” (Inps-Osservatorio sul precariato, report mensile Gennaio 2016).
A conferma del fatto che quello di Gennaio non è stato un banale incidente di percorso ma una ben precisa tendenza, i dati sull’andamento dell’occupazione nel mese di Febbraio forniti lo scorso 1° Aprile dall’Istat hanno rincarato la dose: tasso di disoccupazione salito all’11,7%, tasso di occupazione in calo al 56,4%, occupati scesi di 97.000 (di cui ben 92.000 a tempo determinato, e si tratta del primo calo da Gennaio 2015), inattivi saliti di 58.000, soprattutto donne. “Dopo la forte crescita registrata a gennaio 2016 (+0,7%, pari a +98 mila) – scrive l’Istat – presumibilmente associata al meccanismo di incentivi introdotto dalla legge di Stabilità 2015, il calo registrato nell’ultimo mese riporta la stima dei dipendenti permanenti ai livelli di dicembre 2015”.
In questo frangente, quella stampa che per tutto il 2015 ha presa per buona qualsiasi panzana governativa, dando credito all’esecutivo anche quando i dati che provenivano dalle stanze romane erano palesemente falsi (vedi in Agosto la notizia dei 630.585 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato successivamente sbugiardata da Il Manifesto), ancora una volta non ha perso l’occasione per reggere il sacco al Governo
I quotidiani hanno infatti scelto di dire-e-non-dire, pubblicando la sequela di dati negativi forniti da Inps e Istat e segnalando molto genericamente che alla base di questa vera e propria débacle ci potrebbe essere il calo degli incentivi alle imprese (scesi dal 1° Gennaio a “soli” 3.250 euro ), allo stesso tempo guardandosi bene però dal pubblicare una puntuale indagine sulla intera questione della decontribuzione alle imprese perché questo vorrebbe dire prendere una china particolarmente rischiosa che finirebbe per scavare una intera voragine sotto i piedi di Renzi and Co.
Eppure è sotto gli occhi di tutti che esiste una più che evidente correlazione tra l’improvviso calo dell’occupazione (in un solo mese sono scomparsi ben 92.000 posti di lavoro “a tempo determinato e a tutele crescenti”, ovvero il fiore all’occhiello di Renzi, e la contemporanea sforbiciata inferta alla decontribuzione.
La cartina di tornasole che dà un senso a tutto questo, era stata infatti – fin da Gennaio 2015, e quindi a Jobs Act ancora non approvato – la corsa all’accaparramento dei fondi messi a disposizione dalla Legge di stabilità 2015, utilizzati in massima parte nelle cosiddette “stabilizzazioni”, ovvero per trasformare contratti precari di vario genere nella nuova fattispecie.
Oggi è del tutto evidente che il cosiddetto boom occupazionale (in realtà la stabilizzazione di rapporti di lavoro preesistenti) si è verificato grazie ad un provvedimento che ha letteralmente dopato il mondo del lavoro grazie alla messa a disposizione delle aziende di qualcosa come 15 miliardi di euro prelevati dai conti pubblici.
In poche parole, la vera e unica molla che ha spinto la crescita dei contratti a tempo indeterminato non sono stati né l’abolizione dell’articolo 18 né la flessibilità in entrata e in uscita – come affermavano il Governo e la folta schiera di giuslavoristi al suo servizio – bensì, molto più prosaicamente, quegli 8.060 euro annui di cui hanno beneficiato e ancora beneficeranno per altri due anni gli imprenditori italiani.
Tutto il resto è pura e semplice mistificazione, compresa la definizione stessa di “Tempo indeterminato a tutele crescenti”, che sarebbe più corretto definire “a tempo indeterminabile” dato che lo stesso Jobs Act ha allargato a dismisura le maglie dei licenziamenti, ammettendo anche quelli illegittimi.
Va da sé, che al primo stormir di foglie fioccheranno le “dismissioni” di personale prontamente segnalate da Inps e Istat come semplici “cessazioni” e liquidate con poche mensilità di risarcimento (quelle che il Governo definisce come “tutele”) in modo da consentire alle imprese di fare ulteriormente cassa, lucrando sulla differenza tra l’importo del risarcimento e quello ben maggiore derivante dal beneficio fiscale.
Per quanto ci riguarda, che la creatura di Renzi sia destinata a fare un flop non ci sorprende assolutamente né ci accoderemo alla schiera di coloro che domani criticheranno il Governo per avere fallito l’obbiettivo, perché – in realtà – il suo reale obbiettivo il Governo lo ha già pienamente raggiunto.
Credere infatti che l’obbiettivo fosse realmente quello di creare una occupazione stabile e protetta significa non avere compreso assolutamente nulla del Jobs Act e dei motivi per cui l’attuale Governo ha messo in piedi una tale operazione di pura mistificazione.
Basti osservare come, a partire dal 2012, utilizzando l’arma del ricatto, i tecnocrati europei hanno imposto come condizione per erogare fondi a paesi del sud Europa in difficoltà come la Grecia, il Portogallo, la Spagna, l’Italia e ora anche la Francia, una serie di pesantissime Contro-riforme del lavoro con lo scopo di “rilanciare la competitività” e contraddistinte da un comune denominatore, devastante per i lavoratori: taglio generalizzato degli stipendi e dei sussidi di disoccupazione, contrattazione decentrata, totale libertà di licenziamento e taglio delle relative indennità ecc ecc., insomma tutto l’armamentario per imporre il totale dispotismo all’interno dei luoghi di lavoro.
Perché quindi stupirsi se – una volta svanita la cortina di fumo mediatica – si scoprirà che della meravigliosa riforma del lavoro resteranno solo pochi nuovi posti di lavoro (forse) mentre subentreranno il lavoro precario di tutti i generi, ivi compreso l’utilizzo sempre più devastante dei famigerati Vouchers e, naturalmente, un mare di disoccupazione, oltretutto colpita da sussidi infimi e con una possibilità di re-impiego infinitesimale dato che la A.N.P.A.L. l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, nata solo lo scorso 1 Gennaio 2016, stenta a partire.
Per non parlare poi della “Garanzia giovani” (Youth guarantee), un piano europeo finanziato da 1,5 miliardi di euro (anche con fondi comunitari) rivolto ai giovani sotto i 25 anni, neo-diplomati, neo-laureati, disoccupati, inattivi, al fine di garantire loro offerte di lavoro, formazione o stage entro 4 mesi dalla fine del percorso di studi o dalla perdita del lavoro.
Ebbene, dal 1 Maggio 2014 gli iscritti al portale sono stati in tutto 865.000, 642.000 coloro che hanno sostenuto il colloquio di rito e firmato il “Patto di servizio, 227.000 il numero dei giovani che hanno ottenuto una qualsiasi forma di sostegno al lavoro, tra tirocini, stage o apprendistato mentre solo 32.000 sono coloro che hanno poi ottenuto un posto di lavoro di qualsiasi genere.
Passare dalle tutele “nel contratto” alle tutele “nel mercato” come affermava un ben noto Giuslavorista, suggeritore del Governo; è questo ciò che intendeva costui ?
Dulcis in fundo, qualcuno ha fatto sommessamente notare che nel solo 2015 sono stati oltre 1,5 milioni i contratti di lavoro che hanno usufruito dell’esonero contributivo.
Ne deriva che, secondo alcune stime, nel corso del triennio 2015-2018 la decontribuzione verrà a costare non i 15 miliardi di copertura già stimata, bensì più o meno 19,5 miliardi.
Da dove racimolerà il Governo gli altri 4,5 miliardi di euro ?
peffe