“Faccio questo perché voi adulti mi state rubando il futuro”.
Il clima, negli ultimi trent’anni, è stato uno degli argomenti fondamentali del discourse occidentale. La politica (post) industriale portata avanti dai grandi padroni, con l’avallo di governi di ogni tipo e di ogni paese, sta mettendo in ginocchio la condizione climatica del nostro pianeta. I riferimenti all’ecologia sono presenti in qualsiasi comizio elettorale, frequentemente di partiti vicino al centro sinistra. Serie tv, film, programmi televisivi, inchieste di ogni tipo conducono sempre alla stessa tesi: il pianeta non ha più le forze di resistere al suo sfruttamento. Da poco meno di un anno, al centro del dibattito politico e dell’opinione pubblica vi è un’attivista svedese di soli 15 anni, Greta Thunberg. Questa ragazzina una mattina ha deciso di non andare a scuola per mettersi davanti al parlamento svedese e protestare contro l’indifferenza del suo governo nei confronti dei problemi climatici globali. L’estrema destra, come al solito, grida al complotto perpetrato chissà da quale mano occulta; la “sinistra” istituzionale ne parla con toni idilliaci, come della figura capace di cambiare le carte in tavola. Insomma, al centro dell’attenzione si trova una adolescente che, nonostante la sua tenera età, è stata in grado di sviluppare una sua opinione sulle condizioni del mondo attuale. Difficile, in tale contesto, non pensare a Simone, ragazzino della medesima età della Thunberg, il quale affrontò a Torre Maura gli attivisti di Casapound. In un certo senso, del fulcro del problema non si parla mai. Il solito bisogno di far propaganda impedisce ai politicanti di affrontare il vero problema.
Nostra patria è il mondo intero…
Mentre si registra, tristemente, che una gran parte dei cittadini è inebetita dal solito dibattito politico su questioni al margine del problema, dall’altro lato della barricata troviamo ragazzi intenti a protestare e cercare soluzioni ai disastri imminenti. In tutto il mondo assistiamo ad un’ondata di protesta da parte di studenti. Abbiamo testimonianze in modo particolare dalla Svezia, dal Belgio, dagli Stati Uniti, dall’Australia, dalla Svizzera, dal Regno Unito. Davanti all’indifferenza di chi non ha bisogno di pensare ad un futuro lontano, coloro che abiteranno il mondo di domani fanno opposizione alle politiche governative, le quali non scongiureranno il disastro ecologico. Di là dello schieramento politico degli attivisti in questione, dovrebbe far piacere constatare come dei giovani in età scolastica non hanno intenzione di restare a guardare. Ci sta chi, come la Thunberg, ha ottenuto solamente della notorietà mediatica ed è stata utilizzata ai soliti fini propagandistici. Nei giorni in cui scrivo queste note la ragazzina svedese si trova a Roma, accolta da istituzioni politiche e religiose. Anche se i governi, chiaramente, utilizzeranno demagogicamente queste figure, possiamo assodare che l’indifferenza non appartiene a numerosi giovani di tutto il mondo. Lo studio dovrebbe permettere lo sviluppo del senso critico, cosa che non sembra mancare a questo movimento di protesta. Per gli interessi di pochi, saranno in tanti a dover pagare. Invece di legarsi alle solite politiche nazionali e nazionaliste, di pensare “al nostro paese”, questi vedono in grande, pensano alla salvezza dell’intero pianeta.
La chiusura dei vari governi nei confronti di un serio dibattito sul clima e sulle conseguenze della globalizzazione selvaggia non permette ai più di avere una panoramica lucida sul problema. Il magnate statunitense Trump ed il primo ministro ungherese Orban hanno aperto le porte a governi che fanno finta di badare ai problemi economici e commerciali dei propri paesi. La facile retorica dell’“aiutiamoli a casa loro” o del menefreghismo più assoluto nei confronti di questioni importanti come quelle ambientali hanno fatto breccia nell’opinione pubblica media. Testate giornalistiche, twit di noti ministri, parlano, come al solito, solo di ciò che può portare acqua al proprio mulino invece di proporre soluzioni significative.
Mentre succede tutto ciò, in zone poste al margine dell’economia globalizzata, accadono catastrofi senza precedenti. La notte tra il 14 ed il 15 Marzo scorso il ciclone Idai ha colpito la città di Beira, in Mozambico, per poi portare la devastazione anche in Zimbabwe ed in Malawi. Le conseguenze del cataclisma sono decisamente allarmanti: la stima dei morti è più di mille, senza contare i numerosi dispersi. Precedentemente a ciò, le zone sopracitate sono state alle prese con alluvioni continue. Beria risulta distrutta al 90% e tra gli sfollati, spostati in luoghi “più sicuri” come la città di Dondo, si sta diffondendo il colera. La malattia ha contagiato più di mille persone e causato numerose morti. Questa emergenza, quindi, si sarebbe venuta a creare da oltre un mese.
In tutto questo tempo i media, almeno del “belpaese”, non hanno manifestato il minimo interesse per questo drammatico evento: chi scrive ha avuto numerosi problemi nel reperire queste poche informazioni. Nel passato sono avvenuti fenomeni simili in numerosi paesi asiatici, ma l’impatto mediatico è stato decisamente maggiore. Per mesi e mesi i discorsi dei mezzi di informazioni è stato concentrato sui minimi dettagli di queste catastrofi, affiancando tutto ciò a continue campagne di solidarietà economica per l’aiuto nelle località colpite. Invece, questa volta, assistiamo al silenzio più completo. Anche digitando su google il nome dell’uragano non è possibile reperire ricche informazioni, i link “utili” riguardano campagne di aiuto o, semplicemente, informazioni senza incisività.
Nel momento in cui uno dei nodi fondamentali dell’informazione occidentale verte su di un’attivista di matrice ambientalista, proprio davanti ad una devastazione causata da fattori climatici assistiamo al voltafaccia più assoluto. In un momento in cui il clima è uno degli argomenti caldi della campagna elettorale permanente dei politicanti di palazzo, di questo avvenimento non si è parlato minimamente. È chiaro che al governo del nostro paese non farebbe comodo constatare come effettivamente ci sia un’emergenza in più paesi dell’Africa, dove sarebbe difficile “aiutarli a casa loro”. Fortunatamente abbiamo un esempio da seguire: una fiamma di speranza e consapevolezza è riposta nelle generazioni prossime, le quali si stanno già battendo per un futuro migliore e per un pianeta vivo nel quale vivere senza fattori divisori. Elementi, questi ultimi, che portano alla miseria di tanti e alla fortuna di pochi.
Lorenzetto