I mille volti del riarmo. Nazionalismi patriottismi e retorica di guerra

La sera del 3 maggio 2025, a Domodossola, si è svolta la “Manifestazione per il Disarmo”, promossa dal Comitato Ossola, di cui faccio parte, nell’ambito della campagna europea “Ferma il Riarmo”. Un evento partecipato e sentito, iniziato con interventi e musica e culminato in una fiaccolata per le vie della città. Ma non possiamo nasconderci dietro un semplice momento locale: la cronaca nazionale e internazionale ci impone di alzare la voce con forza contro una deriva che sta accelerando in modo drammatico.

In Italia, come in tutta Europa, le spese militari continuano a crescere in modo vertiginoso. Il governo ha recentemente celebrato l’aumento delle spese belliche fino al 2% del PIL, considerandolo un “traguardo”, ma è ormai chiaro che si tratta solo di una tappa intermedia verso obiettivi ancora più ambiziosi e pericolosi. Non è più una questione ipotetica: ci stiamo preparando a una guerra di lunga durata, su vasta scala. Il rischio concreto di un nuovo conflitto mondiale non è mai stato così vicino da decenni. Non si tratta solo di investimenti miliardari in armi e tecnologie di morte, è l’intero linguaggio politico a essersi militarizzato. I vertici europei e nazionali parlano sempre più spesso di “difesa”, “sacrificio”, “unità nazionale”, “nemico alle porte”. L’ideologia nazionalistica e patriottica viene esaltata in ogni discorso ufficiale, come se la sola via per affrontare le sfide globali fosse la chiusura dei confini, la militarizzazione della società, l’addestramento emotivo alla paura e all’odio.

Per mezzo dell’idea di un federalismo autoritario tra nazioni si pretende (ed in buona misura vi si è riusciti) di naturalizzare lo Stato. Questa sorta di blocchi nazionali ad alleanze variabili rappresenta un sistema di egoismo organizzato: l’idea che ogni persona si senta protetta da uno Stato armato è uno degli stupefacenti più elaborati che i padroni si potessero inventare. Questa impostazione ideologica europeista, nata con la scusa propagandistica di abbattere le frontiere tra gli Stati membri dell’Unione e disinnescare i totalitarismi del secolo scorso, dal manifesto di Ventotene in poi ha acquisito sempre più un profilo oscurantista. Nel modo in cui i padroni lo hanno concepito, ad esempio, il “blocco NATO” passa per la singola ideologia nazionalista. Tale affiliazione dovrebbe avere, secondo la logica dei padroni, un qualcosa di naturale e di irrinunciabile. La relazione fra nazionalismo e patriottismo (essendo quest’ultimo la versione sentimentale ed esaltata di ciò che il nazionalismo sostiene) serve a giustificare qualsiasi tipo di manovra che, in altre circostanze, verrebbe considerata abominevole. Per mezzo dell’idea di un blocco armato congiunto, inteso come “società delle nazioni in armi”, si tenta di sovrannaturare una cultura collettiva e si insiste nel naturalizzare la gerarchia sociale. La nazione armata non è un’essenza platonizzante, né una realtà storica preesistente alla volontà politica di coloro che la inventano, la organizzano e, in molte occasioni, la impongono con la forza. In una corsa al riarmo, sia il nazionalismo di ogni singolo Stato che il patriottismo ad esso associato, sono ideologie che si richiamano più alla biologia che al patto sociale. Si tratta, però, di una biologia mistica e mistificatrice, popolata da essenze eterne e santi patroni travestiti da martiri del carattere nazionale e, per proprietà commutativa, transnazionale.

Il patriottismo risiede nella glorificazione mitologica e ideologica della persona-nazione, nell’instaurazione della sua identità tramite l’esaltazione bellica difronte alle antipatrie interne od esterne, nella militarizzazione della comunità e delle mentalità individuali. Questa necessità di opposizione e di ostilità ci porta al vero motivo dell’idea di nazione: lo scontro. Senza battaglie, senza caduti, senza bandiere insanguinate, senza subalterni che diano la vita per i loro capi, non sarebbero di per sé “nazionali” né le etnie, né i costumi, né l’idioma, né la storia condivisa: è il progetto autoritario politico-ideologico del nazionalismo quello che pesca i caratteri rilevanti dal “cestino” dei dati asettici. La propaganda mass-mediatica, poi, ha il compito di avvalorarli e convertirli in “identità”. Se non ci fossero nemici, non ci sarebbero nemmeno le singole patrie: l’esercito è arrivato ad essere l’incarnazione stessa della nazione (il famoso “popolo in armi!”). Mi domando: può esistere una mentalità più terrorista di quella che considera normale vivere in un equilibrio del terrore? Quella di chi ritiene giustificate, per offesa o per difesa, le armi nucleari, di chi sperpera la ricchezza per uccidere invece che usarla per curare, per sfamare o per insegnare?

Essere internazionalisti significa essere razionalmente convinti che la divisione in nazioni (che non ha nulla di naturale) non faccia altro che impedire l’emancipazione umana e che la mitologia patriottica serva sempre a dare legittimità al potere dell’oligarchia più abbietta e rapace. È legittimo che l’individuo, a partire dagli atti e dai fatti rivoluzionari del Secolo dei Lumi (il cui ideale, certamente, era universalista e non nazionale), difenda il diritto alla propria libertà di credenza, di espressione, di associazione e di intervento nella vita pubblica; ma convertire il popolo in un unico individuo è un’altra cosa. L’identità nazionale servì, a suo tempo (e serve tuttora) per dotare di un mito legittimante la funzione centralistica dello Stato. Nessuna comunità umana è, né mai è stata, naturale: l’Europa è tanto convenzionale (ossia inventata da alcuni, pattuita con altri e imposta e difesa contro i rimanenti) quanto lo sono l’Italia, la Germania o l’Inghilterra. Tutte le frontiere sono artificiali, tutti i popoli sono nati dal sangue, dall’oppressione, dalle depredazioni, a prescindere dal tempo trascorso. Darsi ostentatamente un’identità (nazionale o continentale che sia), con tutto il suo armamentario, sia bellico che di segni e simboli, si aggiunge alla logica degli imperialismi, punta all’annessione di territori che a loro volta resistono alla nuova conquista, ecc… Il fatto che questa invenzione UE sia riuscita male è evidente: la querelle anti-europeista continua ad essere presente come prima, sebbene ora con una diversa aggressività nei tratti, e lo si è visto con l’aggressione a chi portava in piazza a Torino, al corteo del 25 aprile, le bandiere dell’Unione Europea. Ci sono, poi, nazionalismi di incomprensibili patriottismi schiacciati che attuano sia politiche legate all’amministrazione centrale (di cui fanno parte), sia creano affinità con altre realtà, legate o nemiche del palazzo di vetro. Questa retorica di guerra non si limita alla politica estera: questa spaccatura “pro-Europa” versus “pro-Putin”, “pro-democrazie occidentali” versus “pro-Asse della Resistenza”, serve anche a giustificare una repressione interna sempre più brutale. Il nuovo “Decreto Sicurezza”, varato recentemente, ha rafforzato il potere delle forze dell’ordine, limitando ulteriormente il diritto di manifestare e introducendo pene più severe per chi dissente. L’applicazione concreta di queste norme sta diventando evidente in tutta Italia. Emblematico è quanto accade alle manifestazioni pacifiche in solidarietà al popolo palestinese, contro l’aumento delle spese militari e l’introduzione di nuove leggi repressive: cariche ingiustificate con violenza inaudita con la chiara volontà di disperdere e spaccare i cortei solo perché i partecipanti osano mettere in discussione l’autorità e la logica di guerra. Scene che sarebbero state impensabili fino a pochi anni fa, e che oggi diventano normalità.

È contro tutto questo che ho manifestato il 3 maggio a Domodossola, insieme a tante e tanti che non si arrendono all’idea che la guerra sia inevitabile. Perché la vera sicurezza non si costruisce con le armi, ma con la giustizia sociale, la cooperazione, la solidarietà tra i popoli.

Rifiutiamo ogni nazionalismo, ogni richiamo patriottico che ci spinge a vedere nell’altro un nemico! La pace non è un’utopia: è una scelta politica concreta, urgente, necessaria. E la nostra lotta continuerà finché ogni logica bellicista sarà smascherata e respinta. Perché nostra Patria è il mondo intero e nostra legge la libertà!

‘Gnazio

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