I guai dell'Eni

L’inchiesta giudiziaria della Procura di Milano sull’ENI per corruzione internazionale è culminata un mese fa con il rinvio a giudizio per i vertici della multinazionale italiana.[1] Le scoperte dell’acqua calda sono sempre sospette, perciò qualcuno si chiede che senso abbia scoprire improvvisamente che la penetrazione delle multinazionali sia caratterizzata da giri di tangenti. Da sempre tutte le multinazionali operano come agenzie private di politica estera e da sempre comprano la “fedeltà” dei loro partner locali. Inoltre soltanto in base ad una mitizzazione della magistratura tipica del “politicorretto” si può ritenere che certe inchieste si basino su indagini autonome e non su “imbeccate” ad hoc.
Come a prevenire e contrastare queste ovvie perplessità, il settimanale “l’Espresso” ha lanciato una serie di notizie che colorano un quadro a tinte forti. La vicenda ENI in Nigeria, o almeno i suoi risvolti, avrebbero infatti a che vedere persino con un tentato omicidio ai danni di un esponente dell’agenzia anticorruzione nigeriana.[2]
“Lotta alla corruzione” è una di quelle espressioni che “suonano bene”, come anche “diritti umani”; espressioni che catturano l’opinione pubblica con il loro messaggio educativo ed edificante. L’opinione di “sinistra” è particolarmente vulnerabile alla trappola del “suonabenismo” e, in effetti l’educazionismo è il razzismo in versione di “sinistra”, poiché, guarda caso, ci sono sempre popoli che hanno sempre molto più bisogno di essere educati di altri.
Intanto non si considerano dei segnali che dovrebbero mettere sull’avviso. Un organo dell’imperialismo come la Banca Mondiale ha fatto della lotta alla corruzione la sua bandiera.[3] Non c’è da stupirsene se si osservano le conseguenze: da un lato si apre uno spazio illimitato all’ingerenza negli affari interni dei vari Paesi, dall’altro lato si inseguono categorie astratte come la “legalità” facendo perdere di vista il vero problema, cioè i rapporti di forza. Quando tra le parti vi sia eccessiva sproporzione di forze non c’è legalità che tenga, perciò l’abuso ed il sopruso divengono inevitabili.
In questa rappresentazione scandalistica e moralistica è passata in secondo piano una notizia che ha invece aspetti davvero sorprendenti. L’ENI è stata citata in giudizio per disastro ambientale da una tribù nigeriana con la richiesta di due milioni di euro di risarcimento.[4] La sorpresa non sta nel disastro ambientale in sé, che rientra anch’esso nel consueto comportamento delle multinazionali, ma nel fatto che l’ENI non abbia ritenuto di evitare la vertenza giudiziaria e di conciliare pagando, tanto più che due milioni di euro per un’azienda come l’ENI non sono certo un problema. Persino nell’irrealistica ipotesi che il disastro ambientale non fosse dell’entità denunciata, l’atteggiamento dell’ENI non avrebbe senso e contrasterebbe con i criteri che avevano consentito in passato all’azienda di affermarsi. L’ENI è sì una multinazionale, ma comunque l’esponente di un imperialismo debole come quello italiano che, come tale, non può permettersi certe arroganze. Un imperialismo debole paga gli alleati e i complici, ma anche i neutrali perché rimangano neutrali; paga poi i nemici perché comidadsiano un po’ meno nemici; un imperialismo debole paga i governi e paga le opposizioni, senza trascurare di pagare i potenziali oppositori. Queste sono le regole auree in base alle quali Enrico Mattei aveva costruito il suo impero. Fuori di queste regole, un imperialismo debole si condanna all’impotenza.
L’imperialismo debole sta al gradino più basso della gerarchia imperialistica, sotto l’imperialismo dominante (quello degli USA e delle sue multinazionali) e al di sotto dei sub-imperialismi, come quello francese in Africa ed in parte dell’Europa, e quello tedesco nell’Europa orientale. A differenza dei sub-imperialismi, l’imperialismo debole non si vede riconosciuto un suo preciso feudo, ma deve ritagliarsi gli spazi di manovra di volta in volta. L’imperialismo debole è caratteristico di Paesi come l’Italia, che subiscono a loro volta un’ingerenza coloniale, sia da parte dell’imperialismo dominante che dei sub-imperialismi.
L’imperialismo debole rischia però di cascare in una crisi di identità e percepirsi erroneamente come un sub-imperialismo, illudendosi di avere a disposizione un proprio orticello riconosciuto e protetto. Già l’aggressione alla Libia del 2011 aveva posto in evidenza la crisi di identità dell’ENI, che si era fatto sorprendere dal regolamento di conti allestito ai suoi danni dalle multinazionali sub-imperialistiche Total e BP.
Un altro episodio che sortisce con tutta probabilità da questo stato confusionale dell’ENI è quello della nave Saipem, società dell’ENI, bloccata dalla flotta militare turca nelle acque territoriali cipriote.[5] È evidente che l’ENI in questa circostanza si sia illusa di potersi basare sul ”diritto” e non abbia quindi provveduto a pagare il “pizzo” ad Erdogan.
Per uno dei paradossi della Storia, oggi l’ENI rischia di soccombere travolta dalle accuse di corruzione; non per aver corrotto, ma per non averlo fatto abbastanza.
comidad
NOTE
[1] http://www.corriere.it/cronache/17_dicembre_20/eni-tangenti-nigeria-processo-descalzi-0efc47c2-e562-11e7-bb03-a8143f47e27e.shtml
[2] http://espresso.repubblica.it/affari/2018/02/16/news/maxi-tangenti-eni-giallo-in-nigeria-killer-sparano-al-capo-dell-anticorruzione-1.318400?refresh_ce
[3] http://www.worldbank.org/en/topic/governance/brief/anti-corruption
[4] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/09/risarcimento-per-il-disastro-ambientale-in-nigeria-eni-sara-giudicata-in-italia-prima-vittoria-della-comunita-ikebiri/4082340/
[5] https://www.agi.it/estero/la_turchia_blocca_ancora_la_nave_eni_una_prova_di_forza_di_ankara_-3482431/news/2018-02-13/

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