Frontiere Guerra ai migranti

Dopo l’ultima agghiacciante strage di immigrati nel Canale di Sicilia, centinaia e centinaia di morti annegati non sono serviti a indirizzare il dibattito politico sulla questione dei flussi migratori in una direzione anche solo vagamente accettabile.

La reazione del presidente del consiglio Matteo Renzi, al di là delle solite frasi ad effetto condite da retorica e buoni sentimenti, è stata di tipo squisitamente militare. In un editoriale pubblicato sul New York Times1, Renzi ha chiarito l’orientamento dell’esecutivo nell’approccio alla questione sostenendo che le attuali operazioni marittime dell’Unione europea vanno rafforzate raddoppiando le risorse investite e ampliando il loro raggio di azione, al di là del pattugliamento dei confini. Come? Renzi ha preso a esempio le operazioni navali antipirateria della Ue nel Corno d’Africa tanto che, secondo lui, una simile iniziativa dovrebbe essere sviluppata per la lotta ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo.

«Abbiamo bisogno di nuovi strumenti, nonché di fondi supplementari – ha chiarito Renzi – per un efficace coordinamento tra gli Stati membri e le agenzie dell’Unione per fornire risposte ai richiedenti asilo, offrire rifugio a chi ne ha bisogno e rimpatriare i migranti irregolari. Abbiamo bisogno di più funzionari internazionali che operino in Africa e che trattino sul posto le questioni relative alla migrazione. E abbiamo bisogno di essere in grado di trasferire efficacemente i richiedenti asilo da un paese all’altro dell’Unione europea, in base a dove si può ottenere la migliore protezione». Tradotto dal renziano all’italiano, significa che il governo auspica una militarizzazione del Mediterraneo, battaglie in mare aperto tra unità militari europee e scafisti, e la creazione in loco (ovvero in Africa) di strutture di internamento, identificazione ed eventuale smistamento di immigrati (con la scusa di non voler far partire i barconi e contrastare, così, i trafficanti di uomini).

Renzi è stato chiaro: «Non tutti i passeggeri sui barconi sono famiglie innocenti». Una bella strizzata d’occhio ai sentimenti paranoici di molti elettori che, influenzati dalla propaganda razzista della Lega Nord e di altre forze reazionarie, sono convinti che l’Isis o altri terroristi islamici vengano in Italia a bordo delle carrette del mare per issare le loro bandiere sul cupolone di San Pietro.

Non è quindi casuale che in Parlamento, sia stata approvata dalla maggioranza la proposta di Forza Italia con cui si impegna il governo a sollecitare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a «valutare l’opportunità di emanare risoluzioni che permettano alla Comunità internazionale l’applicazione di misure in accordo con quanto stabilito dagli articoli 41 e 42 della Carta Onu». Di che si tratta? Si tratta degli articoli che parlano esplicitamente di blocco economico e di blocco navale. Se poi il Consiglio di sicurezza dell’Onu «ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale». Tale azione, dice ancora la norma, «può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri nell’ambito delle Nazioni Unite». Tradotto dal politichese Onu all’italiano: guerra.

Quindi, quando si parla di «distruggere i barconi», «intervenire in Libia», «intraprendere operazioni di polizia internazionale» e altre cose di questo tipo, si profila un pericolosissimo salto di qualità.

Da parte sua, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha provato a spegnere gli ardori interventisti di Matteo Renzi sostenendo che «non esiste una soluzione militare alla tragedia umana che sta avvenendo nel Mediterraneo. È cruciale un approccio complessivo che guardi alla radice delle cause, alla sicurezza e ai diritti umani dei migranti e dei rifugiati, cosi come avere canali legali e regolari di immigrazione. Le Nazioni Unite sono pronte a collaborare con i nostri partner europei a questo fine». Ma la storia insegna che le strade (insanguinate) dell’Onu sono sempre state lastricate di buone intenzioni.

Nel frattempo, il consiglio europeo straordinario fortemente voluto da Renzi ha stabilito che saranno stanziati più soldi per finanziare Triton (da tre a nove milioni di euro al mese) chiarendo, però, che non si trasformerà in un dispositivo di ricerca e salvataggio in mare e che conserverà, quindi, il suo carattere di operazione congiunta di pattugliamento e controllo delle frontiere. Inoltre, è passata la proposta di redistribuire meglio e più equamente il numero di rifugiati tra i vari stati membri, ma la quota è rimasta ferma a cinquemila unità. Persino la Gran Bretagna ha messo a disposizione una nave, tre elicotteri e due pattugliatori per operazioni di soccorso e salvataggio, in stretto contatto con Frontex e le autorità italiane, ma al di fuori di Triton. A patto, però, «che le persone salvate siano portate nel Paese sicuro più vicino, probabilmente in Italia, e che non chiedano asilo nel Regno Unito». Ci mancherebbe altro.

Si è poi deciso, tra le altre cose, che gli stati membri prenderanno le impronte di tutti i migranti e che verrà istituito un programma, coordinato da Frontex, per respingere rapidamente i migranti irregolari.

Insomma, di tutto si è parlato (innalzamento delle frontiere, sicurezza, controllo poliziesco) fuorché della necessità di aprire e garantire canali regolari di ingresso o di predisporre un piano sociale complessivo per l’accoglienza.

Ma su una cosa gli stati europei si son trovati d’accordo, anche se ci vorrà un po’ di tempo: fare la guerra. L’idea sarebbe quella di mettere in piedi un’azione militare che preveda «azioni chirurgiche», con obiettivi precisi, per distruggere i barconi prima del loro utilizzo, quindi anche sulle coste libiche.

Immediata la replica del ministro degli esteri del governo di Tripoli: «Non accetteremo mai che l’Ue bombardi presunte basi di trafficanti».

Impossibile non condividere queste preoccupazioni, visto che sappiamo perfettamente quanto «chirurgici» o «umanitari» possano essere i bombardamenti di qualunque aeronautica militare.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

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